1. Prima di diventare cardinale
1. Un’antica e prestigiosa famiglia
Tra le grandi famiglie aristocratiche del regno di Napoli, i Filomarino possono senz’altro essere annoverati tra coloro che svolsero, a più riprese nel corso dei secoli, un ruolo di primo piano nell’evoluzione storica del regno. Tradizionalmente, le loro origini vengono fatte risalire al IX-X secolo e alla figura di Marino, il cui figlio Madio, o Sergio in altre fonti, assunse il patronimico Filio Marini che si trasformò poi nel cognome dei suoi discendenti. Sull’identificazione storica di tali figure vi è diversità di interpretazioni: alcuni ritengono che si tratti di Marino, conte di Cuma, e di suo figlio Sergio I, duca di Napoli dall’840 al 864; secondo altre ricostruzioni, il vero capostipite della famiglia sarebbe stato Marino I, duca di Napoli dal 919 al 928, oppure Marino II, duca di Napoli dal 968 al 977 e padre di Sergio III, anch’egli alla guida del ducato dal 977 al 998.
Ben presto allargatasi in vari rami e stabilitasi in diverse zone del Mezzogiorno, la famiglia vantò tra i suoi esponenti alcune figure di spicco, tanto tra i religiosi quanto tra i militari e il personale al servizio dei diversi sovrani che si succedettero a Napoli. Tra di essi, furono spesso ricordati Stefano, arcivescovo di Taranto nel 1102; Marino (1205-1285), arcivescovo di Capua; Jacopo, feudatario di re Manfredi di Svevia (1258-1266) passato poi al servizio di Carlo I d’Angiò (1266-1282); Matteo (1262-1323), prima consigliere, ministro di re Roberto I (1309-1343), Gran Protonotario e Gran Cancelliere del Regno, in seguito arcivescovo di Napoli; Pietro, arcivescovo di Reggio Calabria dal 1405 al 1420; Tommaso, che fu Maresciallo, Gran Siniscalco del Regno e consigliere di re Ferdinando I d’Aragona (1458-1494); Marco, Giustiziere di Abruzzo e Capitanata, luogotenente e capitano a guerra dei principati e cameriere di re Ferdinando II d’Aragona (1495-1496).
Nel XIV secolo, Roffredo Filomarino aveva ottenuto da Roberto d’Angiò di inserire sul proprio scudo i gigli di Francia, e per tale ragione viene considerato il capostipite dei Filomarino dei Gigli, il ramo familiare che si sarebbe poi estinto nella seconda metà del Settecento, durante il regno di Ferdinando IV di Borbone. L’altro ramo della famiglia sorto dalla divisione trecentesca del clan era invece quello dei Filomarino delle Bande, che prendeva anch’esso il nome dai simboli presenti nel proprio stemma.
Al di là di questi e di molti altri rami secondari che si formarono e si estinsero nel corso dei secoli, all’interno della città di Napoli i Filomarino erano saldamente rappresentati nel seggio di Capuana, uno dei cinque “seggi”, detti anche “sedili”, o “piazze”, in cui era ripartita la nobiltà napoletana. Durante la dominazione spagnola (1503-1707), essi non persero affatto il loro protagonismo, ed anzi furono insigniti del Toson d’Oro e del grandato di Spagna, le due massime onorificenze disponibili all’interno della composita monarchia governata dagli Asburgo di Spagna. Al 1571 risale invece il loro ingresso nell’Ordine dei cavalieri di Malta.
All’interno di questa potente, antica e prestigiosa famiglia ebbe origine, nel corso del XVI secolo, l’ennesimo ramo secondario, distaccatosi da quello principale dei Filomarino principi della Rocca d’Aspide. A questo nuovo nucleo apparteneva Claudio, personaggio del quale si sono conservate scarsissime notizie e la cui rilevanza sembra consistere esclusivamente nella sua scelta matrimoniale e nei figli che da tale unione nacquero. Egli infatti convolò a nozze con Porzia Ricca, una giovane proveniente da una famiglia di mercanti il cui padre, Fabio, aveva comprato il titolo di duca della Pelosa. La non appartenenza della madre alla nobiltà di sangue, e le voci secondo cui ella fosse solo figlia naturale del duca e avesse svolto, da ragazza, il mestiere di lavandaia, avrebbero a lungo pesato sui figli della coppia, specie nella fase iniziale delle rispettive carriere. Non vi è accordo, nelle fonti, sul numero dei figli di Claudio e Porzia; è invece certo che quasi tutti si dedicarono alla carriera ecclesiastica: la mancanza di un titolo nobiliare da ereditare, le difficoltà economiche crescenti – specie dopo la morte del padre nel 1611 – e la facilità con cui era possibile prendere gli ordini e condurre una vita agiata all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, sono le presumibili ragioni dietro le scelte dei giovani Filomarino. Lasciando da parte Francesco, morto in giovane età, cinque furono i figli di Claudio che giunsero all’età adulta, lasciando numerose e importanti tracce di sé e del proprio operato.
Scipione, l’unico tra i fratelli a non intraprendere la via ecclesiastica, nacque nel 1585. A vent’anni diede inizio alla sua lunga e gloriosa carriera militare, vissuta dapprima nelle Fiandre, dove prese parte a numerosi assedi e battaglie. Tornato a Napoli nel 1618, partecipò a varie offensive della flotta di galere allestita dall’ambizioso viceré di quegli anni, il duca di Osuna, salvo poi rimettersi a disposizione dei generali asburgici nel teatro bellico mitteleuropeo, divenuto il principale terreno di scontro della Guerra dei Trent’anni. Scipione si distinse combattendo in prima linea nella battaglia della Montagna Bianca, il 9 novembre 1620, e in molti altri scontri negli anni successivi, anche sul fronte italiano, tra Lombardia e Piemonte. Insignito di onori e riconoscimenti già durante la sua carriera militare, ad esempio quando venne nominato membro del Consiglio Collaterale e cavaliere dell’Ordine di San Giacomo nel 1626, rientrò nel natio regno di Napoli nel 1631, assumendo vari incarichi, sia di governo che militari, per conto dei viceré Monterrey e Medina de las Torres. Ritiratosi a vita privata dal 1642 a causa del logorio fisico causato da tanti anni di combattimenti, rimase sempre motivo di vanto per la sua famiglia, che mai smise di celebrarne le imprese e i successi militari.
Vite meno movimentate ebbero invece i fratelli minori di Scipione. Ferrante, detto Gennaro, nato nel 1591, fu chierico regolare teatino e, a partire dal 1642, vescovo di Calvi; Alfonso e Marcantonio furono entrambi frati cappuccini, ma fu soprattutto il secondo, nato nel 1596, a conquistare una certa notorietà: con il nome di Francesco Maria, egli fu infatti erudito e teologo, autore dell’opera De divinis revelationibus e morì, quasi novantenne, in odore di santità. Le vite dei fratelli Filomarino, pur così diverse e condotte spesso in luoghi e contesti distanti gli uni dagli altri, si intrecciarono nuovamente a partire dagli anni Quaranta del XVII secolo, quando tutti – ad eccezione del già deceduto Alfonso – finirono con il ritrovarsi al seguito e nella corte del loro fratello maggiore.
Ascanio Filomarino, primogenito di Claudio Filomarino e Porzia Ricca, era nato a Chianche, nell’Avellinese, nel 1584. Come per i suoi fratelli, poco si sa della sua infanzia e della sua formazione, ma certamente compì studi giuridici a Napoli, dove conseguì il dottorato in utroque iure nel 1607. La morte del padre nel 1611 lo mise tuttavia in una difficile situazione, specie dal punto di vista economico. Fu probabilmente decisivo, in quegli anni, l’aiuto del potente parente Marcantonio Filomarino, divenuto principe della Rocca d’Aspide dopo la morte del fratello maggiore Tommaso: con lui Ascanio avrebbe mantenuto, anche negli anni trascorsi lontano da Napoli, uno stretto legame, serbandone sempre, anche dopo la morte di Marcantonio nel 1634, un riconoscente ricordo.
La mancata concessione di una modesta carica magistratuale costituì forse un ulteriore stimolo per andare a cercar fortuna altrove, ma dietro alla decisione di lasciare il regno vi erano ulteriori e più significative motivazioni. Alle difficoltà economiche, si aggiungevano infatti considerazioni di natura più propriamente politica, dettate dalle divisioni interne all’aristocrazia napoletana e, in particolare, dall’avversione che mostrò verso Ascanio una parte importante della nobiltà del seggio di Capuana, cui appartenevano gli stessi Filomarino. Alla base di tali contrasti vi erano forse le origini non nobiliari della madre, che rendevano Ascanio in qualche modo di rango inferiore rispetto agli altri rampolli dell’aristocrazia regnicola. Ma ancor di più, pesarono le divisioni generate dal conflitto fazionale che si stava consumando, in quegli stessi anni, nella corte di Madrid, le cui ripercussioni investirono in pieno anche il regno di Napoli.
Nella seconda metà del ventennale governo del duca di Lerma, favorito del re Filippo III d’Asburgo, giunsero in Italia nelle vesti di viceré alcuni dei principali protagonisti della competizione cortigiana per il potere. Nel pieno delle lotte intestine che spac...