I profili istituzionali e giuridici
Simona Mori
Per «un felice Governo». La costituzione provvisoria della Repubblica bergamasca (24 marzo-5 aprile 1797)
L’esperienza della Repubblica bergamasca si situò nell’orizzonte del costituzionalismo italiano del Triennio con la precoce adozione di un documento che fissava la «forma» del «governo provvisorio», in una prima versione il 24 marzo e in una seconda, con pochi ma incisivi emendamenti, il 5 aprile.
L’atto era stato annunciato il 16 marzo, agli esordi del moto eversivo, da una mozione della Municipalità rivoluzionaria appena insediata, che prospettava al «popolo sovrano» una costituzione rispondente alla sua volontà. La carta intestata degli atti ufficiali della nuova formazione politica recava stampato un emblema a memoria di quella promessa. Esso celebrava la «Costituzione nazionale», ritraendo la Repubblica di Bergamo nelle sembianze di una giovane madre alata, a significare tanto la veloce vittoria appena colta, quanto l’ispirazione straordinaria dell’impresa. La figura, intenta a redigere il testo, è assistita da un gallo, al contempo allegoria di rigenerazione e allusione ai francesi, e da due fanciulli gemelli che si aggrappano alle vesti, due piccoli dioscuri reggenti un’asta sormontata dal cappello frigio in triplice riferimento ai principi di libertà, di uguaglianza e di fraternità.
Su un documento amministrativo giunto a noi, un avviso del Comitato per le vettovaglie datato 20 marzo 1797, ovvero precedente di qualche giorno l’emanazione della forma provvisoria, l’emblema è obliterato da una croce. L’intervento, certamente dovuto a una penna coeva, sembra alludere nello stesso linguaggio figurato al ridimensionamento che quel progetto costituzionale aveva rapidamente subito rispetto all’impegno iniziale, partecipando della precarietà che ovunque afflisse l’attività costituente nell’anno di occupazione e oltre.
1. L’adozione della norma provvisoria: aspetti generali e problemi aperti
La norma costituzionale fu adottata dal Concilio ristretto della Municipalità nominata in fretta il 13 marzo dal commissario L’Hermite, inviato da Milano come spia per sobillare i filo-francesi. La giunta era composta da un gruppo politicamente eterogeneo di consiglieri: Alessandro Carissimi, Luigi Marchesi, Francesco Moscheni, Alessandro Medolago, Pietro Calepio, Marco Alessandri, Antonio Roncalli, Alessandro Solza, tutti appartenenti al ceto civile bergamasco, parte di nobiltà titolata (Alessandri, Calepio, Medolago, Roncalli), alcuni ferventi democratici (Calepio, Alessandri, Roncalli, Marchesi), altri (Solza e Medolago) moderati.
La paternità della parte dispositiva sarebbe stata rivendicata nei suoi Mémoires da Jean Landrieux. Da tempo nell’esercito rivoluzionario, all’epoca degli eventi bergamaschi questi era protégée del generale Kilmaine, il capo di stato maggiore dell’armata d’Italia e comandante della Lombardia. Forte di quel sostegno egli aveva ottenuto la nomina a capo di stato maggiore della cavalleria e l’incarico di istituire a Milano un ufficio segreto al servizio di Bonaparte. Da quest’ultimo Landrieux sarebbe stato poco dopo inviato nella Terraferma veneta per indurre le città a insorgere, approfittando della presenza delle corpose guarnigioni francesi che erano già state imposte alla Serenissima con il pretesto di tutelarne la neutralità.
Il generale occitano era giunto a Bergamo all’indomani della ribellione della città al rettore Alessandro Ottolini per ispezionare il presidio francese; nell’occasione la Municipalità appena istituita gli aveva conferito, a suo dire, il mandato a mediare con Venezia e con le altre città venete al fine di creare una repubblica federale. Nei Mémoires egli riferisce di avere altresì provveduto a redigere una norma provvisoria di organizzazione del governo su richiesta degli stessi municipalisti. Lasciata a questi ultimi la composizione del preambolo, egli vanta di aver steso in men che non si dica l’articolato, quella «espèce de décalogue», non ritenendo necessario soffermarvisi oltre, data la generale caducità delle costituzioni e il destino già segnato dell’ignara repubblica. Riconoscendo a posteriori che l’atto superava le sue attribuzioni, Landrieux si giustifica con l’eccezionalità del momento e con la volontà di non deludere la fiducia del gruppo rivoluzionario. Quanto ai principi ispiratori, egli dichiara anacronisticamente di esser stato guidato dalla personale propensione per un «gouvernement monarchique paternel», ovvero «tout ministeriel», e dall’intento di evitare i difetti della forma direttoriale della carta francese dell’anno III, di cui «tous les Français connaissent le vices».
Se il memoriale è giudicato nel complesso poco attendibile dalla storiografia, sulla redazione della costituzione provvisoria esso trova dei riscontri. La mediazione del generale con le città venete è confermata nello stesso preambolo, mentre la natura allogena della carta è comprovata dall’intervento di Giuseppe Recuperati all’Assemblea dei deputati di cantone del 22 aprile, che accenna a «una Costituzione Provisoria dataci da chi noi non la potevamo ricusare, ma che tutt’ora è pronto a mantenerla, e sostenerla in confronto di chiunque volesse eccederne, o male interpretarne gl’articoli». D’altra parte è difficile credere che il comandante francese agisse sen...