1. Henry Thode, l’Italia, le Kunstnovellen
1. Fantasmi della storia dell’arte
La bellezza dei meccanismi dell’orologio della Gare Montparnasse a Parigi, quelli accuditi da Hugo Cabret nel film di Martin Scorsese del 2011, è incomparabilmente maggiore di quella del monumentale quadrante con le lancette, esito finale di una stupefacente concatenazione di movimenti-eventi.
Perché proviamo una tale fascinazione per i complessi, pazienti, imperfetti tentativi degli antenati ottocenteschi di impadronirsi delle nuove tecnologie e delle nuove scienze?
Una delle frustrazioni che viviamo oggi è quella di utilizzare tecnologie i cui meccanismi ci sono totalmente ignoti. Come sono stati costruiti questi metamorfici (ma poco magici) oggetti misteriosi che utilizziamo (o dai quali siamo utilizzati)? Il futuro sembrerebbe costruito da pochi individui iperspecializzati, e a noi sembra di non poter fare altro che rincorrerli. In realtà i progetti più avanzati sono messi a punto da team trasversali, caratterizzati da competenze diversificate e dalla contaminazione delle differenti visioni. Come durante il XIX secolo, quando le discipline erano più permeabili, andavano codificandosi grazie a scoperte, esperimenti e inciampi, e molte più persone partecipavano alla costruzione della modernità.
Un altro importante fattore ci sintonizza con la cultura ottocentesca, in particolare della seconda metà del secolo. Sia grazie agli studi postdisciplinari che alla rivoluzione culturale innescata da Internet, viviamo di nuovo una dimensione combinatoria del sapere che ricorda il modo di procedere degli studiosi di quell’epoca, con i quali alcuni di noi avvertono un’affinità di spirito. Oggi lo sguardo dello storico apprezza di quel passato la libertà concertatrice con la quale procedeva la ricerca. Quando non c’era una tradizione codificata da rispettare, quando i confini tra le discipline non erano ancora stati segnati, quando l’esegesi storico-artistica – venendo al campo a cui appartiene questo studio – poteva essere anche un esperimento linguistico, la ricerca era un’avventura più spericolata e promettente di quella che ci è dato di vivere oggi. La verità, per quegli studiosi, prevedeva che la ricostruzione storica e filologica fosse integrata da altre categorie del sapere e dell’invenzione creativa. Si tratta di una particolare unione di romanticismo e spirito scientifico, una sorta di “spiritualizzazione” della scienza e fin di “scientificazione” delle forme magiche, che si manifestò nel periodo che va dal 1850 al 1930.
Oliver Sacks è oggi tra i maggiori estimatori di questa scienza romantica. Come ci racconta nel suo ultimo libro, mentre era alla ricerca di un approccio «più completo, più profondo e più umano» alla malattia che stava studiando, l’emicrania, s’imbatté in un testo scritto negli anni Settanta dell’Ottocento da un medico inglese, Edward Liveing. Lo giudicò uno dei più significativi contributi della scienza e della medicina vittoriana, ma soprattutto riconobbe nella molteplicità di parametri utilizzati per la ricerca il metodo che aveva inutilmente cercato in centinaia di iperspecialistici articoli scientifici contemporanei. E identificò in se stesso l’Edward Liveing del proprio tempo.
Se consideriamo il contesto universitario in cui operava il giovane Henry Thode, comprendiamo in concreto la molteplicità di stimoli e di metodi di cui poteva fare esperienza uno studioso nella seconda metà del XIX secolo. Possiamo ricostruire questo ambiente attraverso le vicende biografiche assai documentate di Aby Warburg. Warburg, compiuti i vent’anni, si iscrisse all’università di Bonn, dove insegnava anche Thode – di soli nove anni più anziano di lui – in qualità di assistente di Carl Justi.
Appena iniziati i corsi, nel novembre 1886, in una lettera indirizzata ai genitori, Warburg scriveva:
Thode è un uomo giovane, molto intelligente e colto, con un’ottima posizione sociale e finanziaria […]. Si è compiaciuto di trovare in me e in un giovane del Meclemburgo, di nome Burmeister, dei «colleghi», come ha detto, e spero di trovare in lui una guida sicura per la mia specializzazione. Ciò che finora ci ha offerto nel suo corso sulla pittura italiana anteriore all’Ottocento è eccellente. Mi sono iscritto al suo corso […].
Un anno prima, nel 1885, Thode aveva pubblicato il libro per il quale ancora oggi è ricordato, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, nel quale sostiene che le origini del Rinascimento non risiedono nel revival antiquario e pagano del Quattrocento ma nel nuovo realismo innescato dal rinnovamento religioso francescano duecentesco, che fu altresì espressione dell’affermarsi del ceto sociale borghese e portò alla rivoluzione pittorica giottesca.
È importante rilevare che questa tesi non nega il ruolo dell’eredità classica nella svolta culturale quattrocentesca. Thode fu anzi un precoce studioso di argomenti legati all’antiquaria. Si era laureato a Vienna nel 1880 con Moriz Thausing, presentando una tesi sulla ricezione dell’antico nelle incisioni di Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano e Marco Dente, e nel 1882 aveva pubblicato un articolo dal titolo Dürers «Antikische Art». Anche due suoi scritti presi in considerazione in questa pubblicazione confermano che i suoi interessi antiquari ebbero carattere di continuità. In quello dedicato al busto di fanciulla in cera conservato a Lille, Thode tenta di ricostruire la storia dell’opera a partire da un ritrovamento archeologico rievocato da Jacob Burckhardt in Die Kultur der Renaissance in Italien, mentre il libro Somnii explanatio è la storia di un giardino mitologico, epigrafico e antiquario.
Lungi dal rigettare l’importanza dell’antico nella deflagrazione rinascimentale, Thode ebbe il merito di mostrare l’esistenza e la continuità a ritroso delle “rinascenze”, e la loro natura ambivalente: penso che questo fosse l’aspetto del lavoro del giovane e brillante maestro-collega che poté più interessare Warburg.
Il corpo docenti all’università di Bonn comprendeva personalità stimolanti, discipline sperimentali, l’ortodossia e l’eterodossia, la corrente positivista e la Kulturgeschichte allargata. Carl Justi venne definito da Warburg, che seguì i suoi corsi, «biografo su base storica di personalità che si sono innalzate sul loro milieu» e, secondo Gombrich, era «uno storico della civiltà nella grande tradizione di Burckhardt». Il suo libro su Diego Velázquez è l’opera che meglio rappresenta tali peculiarità, una pratica della storia dell’arte in seguito stigmatizzata da Benedetto Croce e Julius von Schlosser, che avrebbero indicato nella monografia stricto sensu e nella storia dello stile le principali vie percorribili per un giusto approccio critico: il tema di ogni storia dello stile deve essere il creatore o il soggetto della perfezione artistica; la sua preistoria e la sua formazione, così come la sua storia postuma e la s...