1. Costruzioni intellettuali intorno al vodu
Certains mots exotiques sont chargés d’une grande puissance évocatrice. «Vaudou» est l’un d’eux. Il suggère habituelment des visions de morts mystérieuses, de rites secrets ou de saturnales célébrées par des nègres «ivres de sang, de stupre et de Dieu».
A. Métraux, Le vaudou haïtien
…disse loro che essi adoravano falsi dei di legno e di pietra. Quando disse così, un profondo mormorio serpeggiò tra la folla. Disse loro che il vero dio viveva nei cieli e che tutti gli uomini, quando morivano, andavano di fronte a lui per essere giudicati. Gli uomini cattivi e tutti gli infedeli che, nella loro cecità, si inchinavano di fronte al legno e alla pietra, venivano gettati in un fuoco che bruciava come olio di palma.
Chinua Achebe, Things fall apart
Il carico evocativo legato ad alcune parole è troppo denso perché il loro uso possa essere neutro. Vodu è una di esse e per tale motivo è importante, prima di affrontare la loro attuale fenomenologia, ripercorrere la genealogia teorica che ha portato in epoche storiche differenti all’elaborazione di tre paradigmi che in varia misura ruotano attorno a ogni discorso che abbia approcciato i vodu: il feticismo, la religione tradizionale e il sincretismo. Ognuno di essi è divenuto parte della realtà fenomenologica di chi vive e si confronta con il complesso e frammentato mondo vodu e il loro uso, tutt’altro che neutro, ricorda le implicazioni politiche, storiche e identitarie che hanno dato vita a queste costruzioni teoriche.
Rileggendo parte della letteratura che si è interessata alle forme religiose praticate nell’ex Costa degli Schiavi, cercherò di collocare i tre paradigmi nel loro contesto storico specifico, per poterne meglio evidenziare le stratificazioni semantiche. I testi, passando dall’idea di “feticismo”, elaborata verso la fine del XVIII secolo da Charles de Brosses, a quella di “religione tradizionale africana”, sviluppatasi in epoca coloniale e postcoloniale, hanno creato immagini differenti e molto persistenti attraverso cui la vita religiosa africana è stata raccontata: da un totale materialismo fatto di superstizione e magia nera, all’astrazione di concetti puramente metafisici e universalistici.
L’incontro tra gli osservatori occidentali (avventurieri, mercanti, missionari, funzionari coloniali e studiosi) e l’Africa è stato segnato da interessi economici e politici via via differenti, che hanno influenzato la prospettiva con cui si è scritto di Africa. Come ricordava Edward Evan Evans-Pritchard ([1965] 1997:60), per comprendere le varie interpretazioni che sono state date della mentalità “primitiva”, occorre innanzitutto conoscere la mentalità degli studiosi, «la loro particolare maniera di vedere le cose, tipica della classe, del sesso e dell’epoca a cui quegli studiosi appartenevano».
Lo sguardo egemone degli uomini di commercio creò, a partire dal XVI secolo, l’idea di “feticcio”, rendendo questa parola, carica d’implicazioni politiche e filosofiche, un’eredità a cui oggi sembra divenuto impossibile rinunciare (Pietz 1985:5-10). L’invenzione del termine feticcio, pregno dei significati che la sua densa etimologia comunicavano, influenzò la comprensione delle religioni locali e della mentalità di quei popoli che vennero definiti feticisti. Quando l’approccio sprezzante ma più disincantato dei primi viaggiatori fu sostituito da quello degli amministratori coloniali e di alcuni missionari, il cui scopo era interagire con i poteri locali e tradurre le religioni locali nei termini delle religioni europee, allora i feticci furono sostituiti da esseri spirituali più vicini alla sensibilità cristiana: angeli (Delafosse 1894:178-180), divinità intermedie oppure demoni.
Il desiderio di valorizzare ciò che le teorie evoluzioniste consideravano l’espressione di una religiosità inferiore e primitiva, o che secondo una successiva visione degenerazionista poteva essere solo il riflesso frammentato di una vera religione, ha portato «alla creazione di una nuova forma di vita» (Shaw 1990:339) conosciuta come “religione tradizionale africana”. Questo processo ebbe il suo apogeo negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, cioè all’epoca delle indipendenze e del nazionalismo africano, quando più forte fu l’esigenza di ridare dignità e identità al pensiero africano.
Ogni autore, che si occupò delle forme religiose praticate lungo le coste del Golfo del Bénin, instaurò un dialogo con la letteratura che l’aveva preceduto, creando in alcuni casi un universo discorsivo che si andava sempre più allontanando dall’oggetto stesso dell’analisi. Nello studio delle religioni africane è necessario distinguere tra le elaborazioni teoriche e la pratica del culto (Brenner 1989), ricordando però come i discorsi prodotti all’esterno interagiscano con quelli elaborati all’interno, diventando progressivamente parte della pratica stessa.
Il vodu ha subito, nelle pratiche discorsive, le medesime metamorfosi sopra delineate: da materia bruta, intrisa di superstizioni e magia si è diradato diventando oggetto di complesse elaborazioni metafisiche. Concetti quali quelli di “pantheon” e di “cosmogonia”, mutuati dagli studi sulla Grecia classica, sono stati introdotti in prima istanza per cercare di valorizzare e purificare il vodu e, in secondo luogo, per tradurlo e renderlo più comprensibile e vicino all’esperienza; come ricorda Augé ([1982] 2002:35), infatti, «la religione del colonizzatore prende in considerazione quella del colonizzato soltanto nel momento in cui, sicura dell’esito della prova di forza, la sottomette alla prova del senso».
I vodu, ora religione dei vodu, avevano bisogno di concetti estranei alla loro pratica per elaborare un linguaggio coerente e quindi costruire un discorso condivisibile nell’ambito dello studio delle religioni. Questo processo di lento scollamento dalla pratica, implicava anche il liberarsi delle ambiguità ontologiche dei vodu, raramente percepite come tali da chi ne praticava i culti, e la necessità di nascondere il lato oscuro e gli sconfinamenti nei territori della stregoneria o della magia, interpretati come una degenerazione di una forma pura di religione o al contrario come una più recente acquisizione, sintomo del male dei tempi moderni.
Sempre un problema di attribuzione di senso imponeva di riconoscere e fissare una frontiera tra religione e magia, che divenne in tal modo una linea estremamente sfuocata attorno alla quale gli attori sociali iniziarono a negoziare la loro posizione religiosa e politica.
Il processo di normalizzazione e di semplificazione, oltre a rispondere all’esigenza di costruzione di un’identità religiosa più definita e comunicabile, nasce anche come reazione alle accuse di stregoneria che da molti settori del complesso panorama religioso africano venivano lanciate contro chi praticava il vodu. Tale processo è ancora in atto, come testimoniano, ad esempio, i film quotidianamente trasmessi in Togo e Bénin dalle televisioni locali, spesso legate alle chiese indipendenti, e che evocano ancora le immagini di una religione dei “feticci” e della magia nera e, che facendo leva sulle paure che la stregoneria suscita, cercano di allontanare la popolazione dalla religione cosiddetta tradizionale per spingerla verso nuove e più moderne forme di pratica religiosa.
Cercherò nelle prossime pagine di articolare l’analisi della storia degli studi e della genealogia dei principali paradigmi con una definizione emica di vodu, che si avvicini in qualche misura alle concezioni locali. Tale definizione non vuole essere né esaustiva né in alcun modo autorevole, ma semplicemente aiutare a cogliere alcuni dei significati e delle ambiguità del termine, nonché alcune pratiche intimamente correlate.
Prima è necessario esaudire il compito etimologico, un esercizio un po’ sterile, che soddisfa solo apparentemente il desiderio di comprendere ciò che localmente viene accettato come ontologicamente incomprensibile, ma comunque imprescindibile, essendo il vodu l’oggetto principale di questo lavoro.
1. Vodu: un tentativo di definizione
L’etimologia del termine vodu o vodun, è controversa. Molto probabilmente appartiene alla lingua fon, dato che in ewe lo stesso concetto viene espresso anche con il termine tron o tro e in yoruba si traduce con orisha.
Bruno Gilli (2004:116), antropologo e missionario comboniano, riferendosi all’area ouatchi, scrive:
Il vodu è chiamato anche hou. Questo monosillabo indica in modo particolare il carattere ereditario del Vodu, la sua natura ermetica e l’esigenza di mantenere il più grande segreto su tutto quello che lo concerne! I termini vodu, yevhé e hu indicano la stessa entità sacra e numinosa.
Il termine hou significa, sia in ewe sia in fon, sangue. Ed è il sangue che crea l’idea di ereditarietà ipotizzata da Gilli. Il sangue, elemento essenziale per la vita dei vodu, consente inoltre alcune interpretazioni, che proverò a delineare qui di seguito. Molte sono le parole,afferenti a questo ambito semantico che contengono hou nella loro radice; un sinonimo diffuso di vodu-no, cioè capo del vodu, è hou-no, appellativo che oggi viene attribuito soprattutto ai sacerdoti di quei vodu che si presume siano originari dell’area ewe o mina, come il gorovodu o Mami Wata, e che viene infatti comunemente utilizzato in Togo. Hou-no significa “madre” – no – del sangue o del vodu – hou – e, come vedremo più avanti, mette in luce l’attribuzione materna di un ruolo prevalentemente maschile. Hou-ga, grande hou, è il capo supremo del vodu; hou-ményà significa il segreto del vodu; hounka, traducibile come “corda del sangue” o “corda dei vodu”, indica (Lovell 2002, Gilli 1987) nell’area ouatchi, tutte le persone, prevalentemente donne, che diventano devote tramite matrifiliazione. Secondo il Dictionnaire fon-français (Segurola 1963), hunkan significa sia “arteria, vena”, che “corda del vodu” e indicherebbe il segno d’appartenenza a un vodu, cioè le scarificazioni o le collane indossate delle vodussi, le spose del vodu.
Sempre Gilli (2004) propone un’interpretazione di tutt’altro valore semantico che, come vedremo, risulta essere in sintonia con le pratiche che portano alla realizzazione di un vodu. Du indicherebbe il luogo o il segno di ciò che è mantenuto segreto o di ciò che è situato dentro il buco – vò; quindi vodu come segno di ciò che non è conoscibile.
Tron, l’appellativo ewe con cui si designano le divinità...