Parte seconda
Da Bisanzio al secolo XIX
1. I libri perduti di Costantinopoli
I. La Nuova Roma era stata fondata da Costantino I nell' anno 330. La città era stata naturalmente dotata di un foro, un senato e un palazzo reale, ma anche di un ippodromo, teatri, bagni pubblici, chiese, bacini idrici, granai e statue. L' 11 maggio fu ufficialmente inaugurata quella che sarebbe diventata la capitale dell' Impero bizantino, il luogo che avrebbe conservato la tradizione culturale greca e romana. Costantinopoli ha rappresentato il legame più diretto con la cultura classica: nella storia della trasmissione dei testi antichi il mondo deve infatti ad essa la possibilità di leggere autori che altrimenti sarebbero ridotti a semplici nomi. Senza il suo contributo probabilmente non avremmo le opere di Platone, Aristotele, Erodoto, Tucidide o Archimede, per non citarne che alcuni.
Tra i secoli II e III si impose una nuova forma di libro, il codice, che apportava molti vantaggi: permetteva di scrivere sui due lati e il suo materiale, la pergamena, era più resistente del papiro all' impatto del tempo e dell' uso. Le opere trascritte nella nuova forma sono sopravvissute fino a oggi, nonostante i conflitti dei secoli VII e VIII, quando la biblioteca del Collegio reale fu bruciata senza pietà con i suoi 36.500 volumi.
Nel IX secolo, all' apice della civiltà bizantina, il numero dei libri cominciò a crescere: il patriarca Fozio (820-891) leggeva opere oggi perdute che compendiò, insieme ad altre, in una monumentale biblioteca, organizzata in 280 sezioni e in cui abbondavano le rassegne di opere in prosa di storici, narratori e oratori; leggeva i discorsi dell' oratore ateniese Licurgo e i trattati del filosofo Enesidemo, oggi scomparsi; leggeva i racconti di avventure di Achille Tazio e, pur definendoli osceni, non mancava di elogiarne la bellezza delle eroine. Fozio si distinse anche per la protezione accordata ai copisti, i quali, da grandi eruditi, si dedicavano a salvare opere antiche in codici trascritti in minuscola, scrittura che consentiva di risparmiare spazio e tempo. Questi manoscritti sostituirono i papiri e i codici in maiuscola, determinando la progressiva eliminazione degli esemplari precedenti.
Durante il regno di Costantino VII Porfirogenito vennero copiati centinaia di testi storici, filosofici e giuridici. Appartiene a questa epoca il manoscritto conosciuto come Parigino greco 1741, prodotto con finalità didattiche, e che contiene le prime versioni note della Retorica e della Poetica di Aristotele, filosofo ammirato allora per il suo Organon, ma criticato per il suo stile aspro e complicato.
I bizantini utilizzavano tre tipi di materiale per i libri: il papiro, la pergamena e la carta. L' uso del papiro era ormai limitato ai libri e ai documenti imperiali (come il cosiddetto papiro di Saint-Denis). Si ritiene che l' ultima attestazione di un documento redatto su papiro a Bisanzio sia il Typikon di Gregorio Pakourianos datato 1083. Per quanto riguarda la carta, un' invenzione cinese passata agli arabi, è ovvio che interessò enormemente i copisti. Attualmente il più antico codice greco conosciuto su carta è il Vaticano greco 2200, scritto verso l' 800 da uno scriba forse di origine araba. A Bisanzio, per contro, la carta fu introdotta tra il IX e il X secolo, ed era del tipo orientale (bombicina). Il fatto che fosse più a buon mercato di qualunque altro materiale ne favorì gradualmente la diffusione, ma la sua facile deteriorabilità costituiva motivo di preoccupazione per i monaci.
II. L' orgoglio bizantino si esprimeva in tutte le manifestazioni culturali dell' impero. Temistio [1] nel 357 si pronunciò a favore della creazione di una biblioteca imperiale che impedisse la scomparsa dei testi classici; come tutti gli eruditi del suo tempo, si riteneva uno dei difensori dell' ultimo rifugio intellettuale dell' Occidente. Il neoplatonico Michele Psello si vantava della biblioteca della madre, dotata di opere di Orfeo, Zoroastro, Parmenide, Empedocle, Platone e Aristotele. Altre biblioteche private note erano quelle di Eustazio Boilas, con 78 libri nel 1059, di Michele Attaleiates, con 54 libri nel 1079, e di Teodosio Skaranos, con 14 libri nel 1274. Anche i monasteri, va aggiunto, possedevano eccellenti biblioteche:
Perché, ignorante, vuoi identificare una biblioteca monastica con la tua anima? Tu, che non possiedi alcuna conoscenza, vorresti sottrarre alla biblioteca i suoi beni? Lascia che conservi i suoi tesori. Dopo di te verranno altri dotti e amanti della conoscenza; qualcuno di loro sarà ancora più istruito dopo avervi trascorso un po' di tempo, mentre altri, vergognandosi della loro ignoranza, troveranno nello studio ciò di cui avranno bisogno.[2]
La bibliofilia dei bizantini abbracciava ogni campo del sapere. In una lettera scritta all' imperatore Manuele I, Giovanni Tzetze racconta di aver avuto un incubo che aveva per protagonista un libro. Nel bel mezzo del fragore di una battaglia gli apparve infatti la Storia di Scizia di Dexippo di Atene, un cui esemplare aveva cercato per tutta la vita soltanto per ottenere un' informazione precisa e segreta. Il volume in questione era in fiamme, eppure si manteneva integro. La parola, affermò Tzetze, aveva vinto il fuoco.[3] Questo sogno, a modo suo, è rivelatore degli aneliti di un' epoca.
Tanti sforzi, tuttavia, non bastarono a impedire la distruzione sistematica dei libri. Nel 730 un incendio devastò una biblioteca con centinaia di manoscritti. Nel 781 un altro incendio distrusse buona parte della città bruciando centinaia di volumi, tra i quali alcuni che conservavano testi di Giovanni Crisostomo. Gli assalti alle chiese, tra l' 802 e l' 807, provocarono incendi che distrussero oltre 120.000 libri.
All' epoca della crisi iconoclasta, a cavallo dei secoli VIII e IX, l' attacco alle immagini e i disordini non risparmiarono i libri di autori di entrambe le fazioni. L' iconoclastia iniziò quando l' imperatore Leone III decise di vietare le immagini nella speranza di riconciliare cristiani, ebrei e musulmani, ma soprattutto con l' obiettivo di ridurre l' influenza della Chiesa negli affari dello Stato. Nel 725, un editto condannò l' uso delle immagini in contesti religiosi e perfino una statua del Cristo venne abbattuta. Il figlio di Leone III, Costantino Copronimo, continuò la battaglia iconoclasta e attuò misure severe contro i difensori delle immagini. Nel polemico decreto del concilio del 754 si legge:
Sulla base delle Sacre Scritture e sui Padri, dichiariamo all' unanimità, nel nome della Santa Trinità, che ogni tipo di immagine opera della maledetta arte dei pittori sarà rimossa dalla Santa Chiesa. Chiunque in futuro osi fabb...