1. Gli esordi
1. Un problema politico
È necessario partire da Copenhagen, anno 1910. Al numero 69 di Jagtvej, all’interno della Folkets Hus, ossia la Casa del popolo (demolita proprio alla vigilia dell’8 marzo 2007), si riuniscono almeno un centinaio di donne provenienti da 17 paesi diversi per la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste. Passa da qui un capitolo fondamentale della storia dell’8 marzo. Nel 1907, sempre a Copenhagen durante la prima Conferenza internazionale delle donne socialiste, Clara Zetkin aveva invitato le proletarie di tutto il mondo ad unirsi. Tre anni dopo azzarda la proposta, originata dalla mobilitazione statunitense in occasione del primo International Woman’s Day del 23 febbraio 1909, che si stabilisca in ogni paese una data per una manifestazione annuale dedicata alla questione femminile, includendovi espressamente la rivendicazione suffragista.
La risoluzione che decide, su proposta di Zetkin, di organizzare tutti gli anni una Giornata internazionale precisa che «le donne socialiste di tutti i paesi avrebbero dovuto organizzarla in collaborazione con le organizzazioni politiche e sindacali» e che «l’obiettivo immediato era quello di ottenere il diritto di voto». Sebbene avallata dal successivo congresso della Seconda Internazionale, la proposta suscita reazioni perplesse, cariche di ambiguità, dovute in qualche caso allo scarso entusiasmo con cui i partiti socialisti avevano sposato l’obiettivo del suffragio femminile.
A Vienna, a Parigi, a Berlino e a Düsseldorf tra il 1911 e il 1915 si celebrano Giornate internazionali della donna, tuttavia il primo, vero e proprio 8 marzo è quello tedesco del 1914, seppure la scelta della data pare essere stata casuale, frutto della decisione di consacrare alle donne la giornata inaugurale della ormai tradizionale «Settimana rossa» dedicata dai socialisti tedeschi alla propaganda e al reclutamento. Un’occasione per onorare e vivificare il ricordo della Comune parigina della primavera del 1871 ma anche «la dimostrazione del partito in tutta la Germania in favore del suffragio femminile». Il manifesto disegnato per l’occasione è uno dei più famosi sul tema. Al centro è raffigurata una donna «non più giovanissima, ma proprio per questo, consapevole degli sforzi fatti fino a quel momento e ben determinata a proseguire la lotta». Scalza, sventola imperiosa, quasi minacciosa, una bandiera, simbolo di un credo comune. Antinaturalistici e violenti i contrasti cromatici, di chiara ascendenza espressionista. E in basso una inequivocabile dichiarazione di intenti: «Avanti con il diritto di voto alle donne!».
La «compagna Zetkin» invita Angelica Balabanoff, allora nella direzione del Psi, a tenere per «il giorno 8 ben due conferenze per la manifestazione socialista “pro voto femminile”». Il racconto della giornata è ampiamente reso nelle pagine della rivista «La difesa delle lavoratrici», che evidenzia come la questione del voto alle donne – in quella settimana – sia al centro di manifestazioni contemporanee a «Parigi, in qualche città russa, in numerosissime città dell’Austria e dell’Olanda e in Svizzera». A chiusura dell’articolo, l’auspicio che qualcosa di paragonabile «presto» possa accadere anche in Italia.
Tre anni più tardi, nel 1917, la drammatica e cruciale celebrazione della Giornata da parte delle operaie di Pietrogrado, che darà il via alla Rivoluzione di febbraio, così descritta da Aleksandra Kollontaj: «L’8 marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario Gregoriano) Giornata internazionale delle operaie, esse sono uscite coraggiosamente nelle strade di Pietrogrado. Queste donne, operaie e mogli di soldati, esigevano pane per i loro figli e il ritorno dei mariti dalle trincee. La giornata delle operaie è divenuta una giornata memorabile nella storia». Nel frattempo in «un vibrato manifesto» le donne socialiste di Ginevra si rammaricano di dover celebrare «per la terza volta la festa del proletariato femminile internazionale […] tra il tuonare dei cannoni» e integrano la tradizionale richiesta del suffragio con lo slogan «Uguale lavoro, uguale salario!».
Già il 2 marzo 1913 ancora «La difesa delle lavoratrici» aveva annunciato: «oggi avrà luogo in Germania come in Austria, in Olanda, in Svizzera, in America e in Russia la grande manifestazione internazionale femminile», che «avrà una grande importanza politica poiché servirà a stringere più saldi vincoli fra le militanti socialiste delle diverse nazioni e stabilirà una volta di più la linea di demarcazione fra il movimento socialista e il femminismo borghese».
Il 15 febbraio 1914 «Attività femminile sociale» – bollettino del Consiglio nazionale delle donne italiane – riporta la notizia che le operaie tessili di Pietrogrado, adottando la proposta avanzata dalle femministe statunitensi qualche anno prima, avevano festeggiato “il giorno della donna” «con un trattenimento» al quale avevano preso parte centinaia di operaie.
Ma in Italia niente di simile alle celebrazioni e alle manifestazioni russe, tedesche e francesi è stato ancora sperimentato, nonostante una consistente presenza di donne straniere nelle organizzazioni italiane e reti di relazione internazionali consolidate, soprattutto con Germania e Gran Bretagna. Durante tutto il primo decennio del Novecento, l’Italia assiste al lento e progressivo fissarsi delle principali organizzazioni di categoria femminili: mondariso, tessili, operaie delle Manifatture Tabacchi, sarte, modiste e cravattaie. Chiunque abbia occasione di scorrere la stampa italiana tra il 1880 e il 1900 – ha ricordato Franca Pieroni Bortolotti – non può non essere colpito dal numero e dall’entità delle organizzazioni e delle lotte delle sigaraie di Roma, di Firenze, di Torino, delle tessili del Comasco, delle mondine. Ciò nonostante, troppo spesso viene dedicato loro un semplice trafiletto, anche dai giornali operai. Di fatto, sebbene le donne in alcuni settori superino il 50% dell’occupazione industriale, come nel caso di Milano, cuore dell’industrializzazione italiana, lo spazio più ampio, le cronache dettagliate sono dedicate ai settori trainanti, la siderurgia e la meccanica, regni incontrastati della manodopera maschile. Infine gli «obblighi domestici e il pulviscolo del lavoro a domicilio» chiudono «il cerchio dell’invisibilità finanche agli occhi dei loro compagni». Sebbene, tanto un’inchiesta come quella dell’Ufficio del lavoro sulla donna nell’industria, quanto il successo di un romanzo chiave come Una donna di Sibilla Aleramo rivelino un cambio di passo nell’interesse verso i molteplici aspetti della condizione femminile, tale interesse non regge il paragone con quanto andava prendendo corpo in altri paesi, particolarmente in Francia e in Germania.
Eppure, progressivamente le donne divengono in grado «di misurarsi con la propria condizione e di gestirne le modalità di cambiamento», avviando un’indiscutibile tendenza ad esprimere leadership autonome.
Il fatto che ottengano rispetto e ammirazione nei comizi e nei saloni delle riunioni politiche è difficile da immaginare solo perché se ne è persa la memoria. Si era soliti quantificare la misura del loro successo non solo dal numero delle persone accorse ad ascoltarle ma anche dal numero dei nuovi associati reclutati e persino, cosa non troppo rara, dal fatto che la loro presenza fungesse da sprone per la fondazione di nuove organizzazioni. La Federazione italiana operai tessili, ad esempio, intuita l’importanza del fatto che fosse una voce femminile a parlare alle operaie, incentivava l’attività delle sue conferenziere, fra le quali una delle figure più note è Carolina Annoni. Laiche, cattoliche e socialiste, «al di là delle differenti prospettive generali dalle quali muovevano e verso le quali si indirizzavano, concordavano di fatto su alcuni principi di fondo cui la società futura avrebbe dovuto conformarsi. Il valore sociale della maternità – legittima o extralegale –; la dignità personale e sociale delle donne; l’uguaglianza sociale tra i sessi, nella strenua affermazione del valore del femminile come differenza fondante un nuovo ordine sociale». A dispetto di questi tre principi condivisi, il rapporto tra femministe e socialiste resta teso fra collaborazione e conflitto – particolarmente dopo il 1910 – mentre la situazione politica italiana esprime ben poca chiarezza, persino in seno al Partito socialista, che pure sostiene di voler affrontare la questione femminile in maniera rivoluzionaria rispetto al femminismo borghese. Le maggiori divergenze riguardano proprio la questio...