1. Prigioni italiane: tre profili
Il presente capitolo pone le basi per una ricerca sulla carcerazione e sulla vita nelle prigioni dell’Europa occidentale nel tardo medioevo. Esso presenta tre studi locali, organizzati storiograficamente dalla terra firma alla terra incognita, e dall’eccezionale al comune: da Venezia, probabilmente la prima struttura politica che formalizzò l’uso della carcerazione punitiva, a Firenze, che fu sede di un’originale prigione appositamente costruita, sino a Bologna, città più modesta e meno eccentrica, la cui storia carceraria si conosce solo per tratti generali. Sebbene i profili che seguono debbano molto ai pochi studi esistenti sulle prigioni medievali italiane, si spingono anche oltre, sia in termini di cronologia sia per l’ampiezza della ricerca archivistica. Oltre a delineare lo sviluppo delle strutture locali, ogni profilo analizza gli aspetti materiali, giuridici, amministrativi e finanziari della carcerazione e i loro cambiamenti in un periodo di circa centocinquant’anni. Questi case studies, nel loro insieme, aumentano la nostra conoscenza delle prigioni europee e della pratica della carcerazione in epoca premoderna.
Uno dei molti vantaggi nel lavorare in un archivio di una città italiana è la relativa quantità e accessibilità dei documenti disponibili. Durante la mia ricerca, mi sono imbattuto in molte fonti precedentemente non utilizzate, soprattutto i registri prodotti dai notai delle prigioni, che aiutavano i dirigenti a controllare il traffico dei reclusi e le spese della prigione (si veda la discussione completa nel capitolo 2). Questi registri, in particolare per Firenze, forniscono molti dei dati analizzati nei capitoli seguenti.1 Riguardo al complesso bolognese (e a quello senese), i documenti a disposizione sono relativamente pochi, ma dagli inventari d’archivio e dai registri che si sono conservati appare evidente che analoghe registrazioni, oggi perdute, furono prodotte anche qui prima della fine del Trecento.2 La stessa osservazione può essere fatta per altri archivi dell’Italia centrale e settentrionale, come suggerito già dallo studio di Beltrani-Scalia.3 Un ulteriore tipo di documentazione è rappresentato dalle liste di carcerati indicati per il rilascio in occasione di feste o vittorie; queste fonti possono essere conservate sia in modo indipendente, sia all’interno degli atti del consiglio cittadino.4 Un singolare insieme di documenti, che solo Firenze può vantare, è quello relativo alle attività del comitato di supervisione della prigione. Queste memorie settimanali, nella loro monotonia o nelle loro occasionali interruzioni, forniscono preziose informazioni sulle interazioni tra i prigionieri, sui loro rapporti col personale, sull’organizzazione interna della prigione e sui modelli di dissidenza dei carcerati.5
Non esiste (e probabilmente non è mai esistito) nessun documento simile per Venezia. E questo obbliga necessariamente a scegliere strade differenti tra le fonti disponibili, in particolare le deliberazioni del Consiglio – ben conservate e in parte edite – che tra le sue tante funzioni legiferava e agiva come corte d’appello. Ho anche esaminato un considerevole numero di collezioni di atti notarili individuali, i documenti di alcuni corpi esecutivi che mantenevano stretti legami con la prigione e parecchi testamenti. Presso gli archivi e le biblioteche di Bologna, Firenze e Siena ho consultato tutte queste fonti “non organiche”, assieme a legislazioni statutarie, libri dei conti pubblici, registri di tribunali, documenti di organizzazioni caritative e delle confraternite coinvolte in particolari aspetti della vita carceraria. È questo materiale che forma l’ossatura di ciascuno dei seguenti profili.6
Venezia
La cronologia della prigione di Venezia è abbastanza ben conosciuta. Prima del tardo XIII secolo vi erano ambienti di custodia ufficiali (casoni) in ognuno dei sestieri cittadini, una prigione per debitori vicino al Ponte di Rialto e, almeno dal 1173, celle sparse all’interno e attorno al Palazzo Ducale. Durante il XIII e il XIV secolo furono ricavati ulteriori spazi all’interno del palazzo, finendo per occupare l’intero pianterreno dell’ala sud (vedi figura 4). Parecchie celle furono costruite contemporaneamente sotto il tetto dell’ala est del palazzo, incluso uno spazio per donne, che fino a quel momento erano incarcerate nei monasteri vicini.7 Molti decenni dopo, il Consiglio dei Dieci commissionò altre celle (o fece espandere quelle già esistenti) all’ultimo piano del palazzo, perché servissero come spazi di detenzione per coloro che erano sotto inchiesta. In teoria questo creava una separazione tra i detenuti della prigione superiore e quelli – tra cui i debitori – delle celle più basse.8
Figura 4. I reparti della prigione nel Palazzo Ducale, Venezia; dettaglio da una pianta del XVI secolo (Biblioteca Nazionale Marciana, MS It. VII 295 [10047], piano 6). I nomi dei reparti, da sinistra in senso antiorario, sono: Prigione delle Donne, Nuovissima (costruita nel 1519 sopra la Nuova e più tardi rinominata Vulcano), Mula, Trona, Ma...