Le Storie dei Longobardi
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Le Storie dei Longobardi

Dall'Origine a Paolo Diacono

  1. 210 pagine
  2. Italian
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Le Storie dei Longobardi

Dall'Origine a Paolo Diacono

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Quando, nel 774, Desiderio viene sconfitto da Carlomagno i Longobardi perdono la loro indipendenza ma non la loro storia. Dieci anni più tardi Paolo Diacono nella sua drammatica e autobiografica Historia Langobardorum, ne ripercorre le fasi, dalla mitica origine scandinava fino agli ultimi giorni gloriosi, in un sofferto racconto. La narrazione di Paolo, però, rappresenta solo un momento dell'evoluzione secolare della memoria etnica e storica dei Longobardi. Prima oralmente poi per iscritto essi avevano mutato e adattato la visione di se stessi e dei propri re alle diverse tappe del loro migrare, dal Nord della Germania fino alle sedi italiane, senza che la conquista franca avesse arrestato il processo di elaborazione e trasformazione delle loro Storie, oramai patrimonio del Regno d'Italia.L'analisi di tutte le fonti, dalle più antiche leggende alle tardive rielaborazioni trecentesche, suffragata dal continuo raffronto con altri popoli germanici, consente una inedita ricostruzione dei percorsi della memoria e della coscienza storica dei Longobardi. Su tutto si staglia la complessa e affascinante Historia di Paolo che, alla luce di una rinnovata lettura, si riconferma come uno dei capolavori della letteratura latina del Medioevo e uno dei testi chiave per capire come la cultura medievale di stampo classico-cristiano avesse potuto recepire ed esprimere una tematica eroica.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788867285501

1. Memoria e storia

“his enim ipsis legundis in memoriam redeo mortuorum”
(Cicerone, De senectute VII, 21)
Se consideriamo le invasioni barbariche con lo spirito di un cittadino romano del IV o del V secolo esse appaiono come un fenomeno coerente ed unitario. In fondo non sono state altro che il continuo riversarsi entro i confini dell’Impero di innumerevoli gruppi di Germani, diversi per nome ma fondamentalmente identici nelle loro caratteristiche. Anche Tacito (56-117), per quanto tenti di fornire indicazioni specifiche e particolari sulle singole tribù di cui è a conoscenza, apre il De origine et situ Germanorum – composto nel 98 – con un’ampia descrizione generale che accomuna le varie popolazioni in un modello etnico e culturale tendenzialmente univoco e unitario. Ma se scendiamo sul concreto terreno della storia è impossibile non accorgersi di come una simile visione uniforme sia ingannevole. Ognuno di questi popoli, o meglio federazioni di popoli, ha avuto, infatti, una sua vicenda specifica e particolare sia prima di insediarsi entro i confini dell’Impero sia dopo. Le difficoltà emergono immediatamente, però, quando si vogliano studiare le forme in cui queste popolazioni hanno percepito il proprio passato e ne hanno trasmesso il ricordo. Le più antiche ‘storie nazionali’ rimontano al più presto alla metà del VI secolo e la loro scrittura è stata compiuta dopo il definitivo stanziamento nelle sedi della Romània. Per il periodo più antico, invece, possiamo soltanto ricorrere alle sparse informazioni offerte dagli storici romani. Ma il filtro attuato dalla lingua e dalle categorie storiografiche romane era già operante, ancor prima della composizione delle historiae, nelle stesse popolazioni germaniche per le quali la propria capacità di percezione ‘storica’ – e non solo mitica e tribale – è inscindibile dalla romanizzazione: “The Germanic world was perhaps the greatest and most enduring creation of Roman political and military genius” (Geary 1988: vi). Perciò qualora l’oggetto di studio sia quello di seguire le trasformazioni della percezione che una gens germanica, in questo caso i Longobardi, ha avuto del suo passato è inevitabile non solo affidarsi alla documentazione in latino ma anche trovarsi di fronte ad un’immagine di questa stessa storia necessariamente forgiata e modificata dalle categorie classiche di analisi. È indispensabile, perciò, procedere con estrema cautela quando si tenti di sceverare fra i vari elementi d’ogni racconto per non esagerare nel concedere maggior peso alla germanicità o alla latinità. Se è più semplice distinguere le componenti classiche, perché più familiari e note, più arduo è cogliere quelle originariamente germaniche. In questo caso siamo fortemente condizionati dal retaggio romantico nel modo di considerare i Germani e la loro letteratura tradizionale o, sarebbe meglio dire, le forme in cui si è trasmessa la loro memoria etnica e storica. Per i Longobardi, fino alla metà del VII secolo, il ricordo è affidato esclusivamente alla memoria orale. Malgrado i meccanismi che regolano la memoria etnica di popoli senza scrittura siano tendenzialmente simili nella pratica, il bagaglio di miti e tradizioni che ogni gente ha può essere notevolmente diverso. Profonda è la singolarità delle varie federazioni vuoi per il tipo di strutture memoriali, vuoi per la ricchezza dei miti e la coerenza con cui sono disposti a formare una storia, anche in stretta dipendenza dai tempi e dai modi delle rispettive etnogenesi. Come muta continuamente quella che potremmo chiamare la configurazione politica dei Germani con l’aggrupparsi e il separarsi di nuclei tribali a formare federazioni più ampie o inedite, così in corrispondenza mutano i contenuti della memoria etnica, che è orientata soprattutto verso le origini, verso il momento etnogenetico sul quale si fondano il senso del passato e dell’autoidentificazione di un gruppo, di una tribù oppure di una federazione (cfr. Le Goff 1988: 111). Ogni nuovo aggruppamento, ogni nuova etnogenesi hanno dato origine a un nuovo mito. Tanto maggiore è l’antichità e la coerenza del nucleo centrale della federazione tanto più compatto ed ampio è il patrimonio memoriale in cui se ne rispecchia la storia. Quello che non è sempre del tutto chiaro è quanto questo processo di continua storicizzazione etnica sia originario e autoctono dei Germani e quanto, invece, non sia stato generato dal contatto con l’Impero Romano. È probabile che vi si debba vedere la confluenza di due spinte fra le quali quella romana ha più operato a definire con precisione la salda consecuzione storica degli eventi fissata sull’etnogenesi e sulla creazione della monarchia. Si deve comunque partire dalla considerazione che la qualità e la complessità dei contenuti e delle forme della memoria etnica e storica dei vari popoli, o meglio federazioni di popoli, invasori è ineguale e va esattamente verificata caso per caso. Diverso, infatti, è il peso che ha avuto sulla sua costituzione e sul suo mantenimento l’antichità della federazione al momento del suo contatto con l’Impero. D’altro canto anche la prolungata condizione migratoria, tipica dei Germani Orientali, è stata un elemento di primaria importanza nel generare miti etnogenetici e nel favorire una prolungata compattezza memoriale.
Anche nella considerazione dei filtri classici e nell’influenza culturale del mondo romano si dovrà distinguere con attenzione. Non si deve dimenticare che a federazioni variamente configurate corrispondono radicali disomogeneità fra le provincie romane in cui queste si erano stanziate. È evidente che ha avuto conseguenze ben diverse occupare l’Italia oppure la Gallia oppure la Britannia. Il differente tipo di struttura politico-amministrativa al momento dell’entrata dei barbari; l’ineguale livello culturale, da vedersi come tradizioni letterarie e organizzazione scolare; la dissimile situazione linguistica, specie riguardo alla Britannia dove le locali popolazioni celtiche non hanno mai rinunciato alla loro lingua in favore del latino; l’estrema varietà e peculiarità, insomma, delle caratteristiche delle provincie d’insediamento ha comportato necessariamente distinte modalità di interrelazione sia politica sia culturale (cfr. Tabacco 1981: 81). Basti pensare al caso dei Longobardi, relativamente omogenei e unitari politicamente, che si insediano nel centro della romanità, l’Italia, in confronto ai frastagliati Anglo-Sassoni che lentamente occupano la lontana e superficialmente latinizzata Britannia. Saldamente individuati dall’autocoscienza delle proprie origini i Longobardi, come gli Ostrogoti, già avevano raggiunto un notevole grado di strutturazione nel corso delle secolari migrazioni, al contrario di federazioni giovani e con un bagaglio memoriale più labile e recente che, come i Franchi e gli Anglo-Sassoni, hanno trovato forme di compattazione e di giustificazione storiografica solo dopo essersi installate nelle terre conquistate. L’intersecarsi di queste peculiarità ha determinato dinamiche storiche e culturali che, per essere apprezzate in pieno senza correre il rischio di generalizzare, vanno analizzate singolarmente. Dunque caso per caso si dovrà tentare di ricostruire la struttura e la ricchezza della cultura tradizionale precedente all’invasione per intendere, poi, come si sia trasformata una volta raggiunte le nuove, definitive sedi. Mi pare che nell’affrontare lo studio di qualsiasi popolazione germanica, anche per le lacune nella documentazione storica, il ricorso al confronto sia doveroso e ineludibile, purché venga compiuto tenendo in debito conto le differenze e le peculiarità. Differenze che sono definite dalle appena accennate particolarità nella cultura della federazione barbarica e della provincia di insediamento nonché dalle varie modalità in cui si sono articolati i processi di accomodamento sul suolo dell’Impero. Sul piano letterario, poi, queste differenze saranno determinanti, insieme alla personalità dello storico – che si tratti di Beda o di Jordanes, di Gregorio di Tours, di Fredegario o di Paolo Diacono –, per indirizzarne le scelte, limitarne le possibilità e condizionarne i risultati. In questa maniera si definiscono i due possibili livelli nell’analisi dell’opera degli storici. Jordanes, Gregorio di Tours, Beda e Paolo Diacono, sopra tutti, forniscono in prima istanza materiali preziosi per la ricostruzione dei processi di creazione e ricreazione dei miti etnogenetici e per l’individuazione delle ragioni che hanno condotto all’invasione dell’Impero Romano. In un secondo momento però, anche alla luce di questi dati, si deve studiare ed apprezzare la loro personale interpretazione storica e letteraria degli avvenimenti. Accennare, con una rapida panoramica condotta da Ovest verso Est, a come alcuni autori dell’alto medioevo abbiano orientato le proprie scelte storiografiche può permetterci di focalizzare convergenze e divergenze esistenti fra i Longobardi e altre popolazioni germaniche.
I Visigoti si sono insediati, a partire dal 415, in una Spagna dalle antiche e salde tradizioni latine dove, dopo un breve periodo di crisi, si è potuta ricostituire una struttura scolare e culturale tanto funzionante da permettere una produzione letteraria ricca e variata (cfr. Diaz y Diaz 1976, Oroz Reta-Marcos Casquero-Diaz y Diaz 1982: 7-94 e Bodelón 1989). Però gli invasori non solo non hanno avuto uno storico di sangue visigoto, quale invece hanno trovato in Jordanes i loro cugini italiani, ma lo stesso Isidoro di Siviglia (562ca-636) ha potuto agevolmente prescindere da ogni serio discorso sulle origini nella sua Historia Gothorum o De origine Gothorum, la cui prima redazione è stata terminata nel 619 e la seconda nel 624. Quella di Isidoro è “la sola Storia in cui gli avvenimenti assumono un «senso» globale. […] serrata tra una premessa – la Laus Hispaniae, anzi De laude Spaniae – e una simmetrica Recapitulatio finale, in cui si spreme, spontaneamente o per suggerimento, una precisa ideologia” (Vinay 1978: 87). La Laus Hispaniae è “Il più bel Antivirgilio virgiliano dell’altomedioevo, oratoria di classe su un concetto chiaro: prima c’è una terra, la terra di una provincia romana, che non accetta più di essere provinciale né coinvolta in alcuna idea di universalità politica che giustifichi la colonizzazione bizantina. Su questa terra di antica nobiltà la religione è una, le stirpi diverse, ma l’Hispania le unisce senza bisogno di genealogie comuni: il problema etnico è superato dalla grande nutrice” (Vinay 1989: 438, cfr. anche Wolfram 1988: 10 e Rouche 1992: 45-46). Ed è in questa Hispania che i Visigoti si riconoscono senza che affiori mai l’esigenza di rivendicare una precedente e individuale etnogenesi. Un mito gotico nascerà solo dopo la conquista della penisola da parte degli Arabi (711-715), nei ridotti di resistenza settentrionali (cfr. Iradiel-Moreta-Sarasa 1989: 16-26). Ma anche la successiva identificazione storiografica dei vari organismi statali iberici – Leon, Asturie e poi Castiglia – a partire dalla continuità con la monarchia visigota si fonda sulla realtà ispanica non sul passato etnico pre-iberico (cfr. Rucquoi 1992).
I Franchi sono gli unici, tra le federazioni barbariche prese in esame, a non essere mai stati riconquistati da parte dei Romani oppure sopraffatti da altre genti. Il loro spostamento dalle sedi originarie per stanziarsi entro i confini dell’Impero è stato lento e in fondo poco suggestivo, ai fini di una elaborazione mito-storica, vista la contiguità fra le regioni di partenza e quelle di arrivo. Inoltre, i Franchi, sono anche quelli che avevano le tradizioni più limitate e meno salde. L’analisi delle elaborazioni mito-storiche dei Franchi è lunga e complessa così come quella del loro processo di auto-identificazione storiografica, basti per il momento rilevare alcuni fatti utili al presente ragionare. Gregorio di Tours (539-594) nei suoi Libri Historiarum – composti fra il 576 e il 593 – si interroga sulle origini dei Franchi, ma sembra non disporre neppure di una genealogia o di una lista di re che gli fornisca un appiglio per fissare l’inizio dell’istituto monarchico (LH II, 9) e l’unica notizia che è in grado di fornire sulla loro provenienza è vaga e, apparentemente, priva di una precisa elaborazione tradizionale (cfr. Wood 1994: 35):
Hanc nobis notitiam de Francis memorati historici reliquere, regibus non nominatis. Tradunt enim multi, eosdem de Pannonia fuisse degressus, et primum quidem litora Rheni amnes incoluisse, dehinc, transacto Rheno, Thoringiam transmeasse, ibique iuxta pagus vel civitates regis crinitos super se creavisse de prima et, ut ita dicam, nobiliore suorum familia (LH II, 9; ed. Krusch-Levison 1937: 57).*
La facilità con cui Fredegario – prima metà del VII secolo – e l’Anonimo autore del Liber Historiae Francorum – 727ca – possono autonomamente accettare l’invenzione delle origini troiane dei Franchi (cfr. Luiselli 1978 e 1992: 642-646, Gerberding 1987: 11-30), senza che queste si scontrino con altre tradizioni, conferma la labilità e l’inconsistenza memoriale merovingia (cfr. Vinay 1989: 438). L’effettiva identificazione etnogenetica dei Franchi avviene solamente in seguito al loro stanziamento in Gallia (cfr. Geary 1988: 77-88 e James 1988: 34-88) e poggia sulla centralità di figure quali Clodoveo (481-511) o Dagoberto I (622-639) e sulla coscienza di una ininterrotta tradizione di valore guerriero garantita da Dio. Partendo da simili basi la riforma carolingia, con la sua restaurazione ideologica orientata verso Roma e l’Impero – e nonostante le attenzioni antiquarie di Carlomagno (747-814) – ha ulteriormente contribuito alla totale perdita di qualsiasi connotazione storica tradizionale estranea al mito troiano. Naturalmente questa ricostruzione è sostanzialmente valida per la parte occidentale dell’Impero, la latinizzata Francia, e non per quella orientale, ancora germanica per lingua e maggiormente capace di preservare uno spazio storico e culturale almeno parzialmente libero dall’influsso dei modelli letterari carolingi in lingua latina.
Per quello che riguarda gli Anglo-Sassoni il discorso è più complesso, sia per la frammentata composizione etnica e tribale degli invasori (cfr. Myres 1986, Basset 1989 e Yorke 1990), sia per le condizioni culturali e linguistiche della Britannia – ben diverse da quelle della Spagna e della Gallia – che hanno consentito ai volgari germanici di mantenersi quale lingua vitale anche per la produzione letteraria (cfr. Campbell 1982: 9-44 e Wormald 1991). Al lento processo di unificazione politica, iniziato con l’egemonia del regno del Kent già ai primi del VI secolo (cfr. Brooks 1989 e Yorke 1990: 25-44) e terminato con la riunificazione di tutti i regni sotto l’unico sovrano del Wessex Alfredo (849-899), alla fine del IX secolo (cfr. Stenton 1971: 239-269, Wormald 1982 e Keynes-Lapidge 1983: 18-43), s’è accompagnato un parallelo processo evolutivo teso al raggiungimento di una omogeneità storiografica e culturale. Sotto il profilo della rappresentazione storica del potere questa coerenza è ottenuta con la precoce rielaborazione delle genealogie e delle liste di re delle varie monarchie già nella seconda metà dell’VIII secolo (cfr. Dumville 1990: V e XV e 1986). Ancor prima Beda (672/673-735), nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum, aveva compattato nell’unico atto mitico e provvidenziale della migrazione il prolungato processo di stanziamento sull’isola (cfr. Howe 1989). L’opera sua ebbe buon gioco nel tagliar corto con le singole leggende etnogenetiche – laddove esistevano – e con le tradizioni continentali, già di per sé non abbondanti, che in seguito sopravviveranno solo quali tematiche letterarie e non storiografiche (cfr. Howe 1989: 143-180 e Frank 1991). Il successo di questa costruzione è testimoniato sia dall’impostazione della Anglo-Saxon Chronicle – iniziata a comporre verso la fine del IX secolo – di probabile ispirazione alfrediana, sia dal persistere di questo modello ancora in età normanna (cfr. Gransden 1992: 1-29). Quindi la riorganizzazione dello stato e della cultura operata da Alfredo il Grande compirà l’inserimento del mondo anglo-sassone in una dimensione cristiana e romana. Certamente il mantenimento dell’anglo-sassone quale lingua letteraria insieme alle prolungate, nonché varie relazioni, con il mondo scandinàvo (cfr. Carver 1989: 141-158, Yorke 1990: 45-57 e Newton 1993) hanno consentito un più stabile mantenimento delle tradizioni culturali. Ciononostante la conquista normanna del 1066 avverrà in un momento in cui la trasformazione culturale e memoriale era oramai già totalmente compiuta.
Gli Ostrogoti, dal canto loro, presentano una situazione ancora diversa e particolare (cfr. Wolfram 1988: 247-362). La breve durata del loro regno in Italia (488-553) ha permesso che simili dinamiche di confronto culturale venissero solo impostate, lasciando quindi scarse tracce nella storia successiva. Tuttavia sono peculiari e degne di considerazione. Essi erano riccamente dotati di una forte e salda tradizione etnica, per quanto interpretata soprattutto nell’ottica della dinastia regnante, la stirpe amala cui apparteneva Teodorico (451-526). Le tradizioni hanno potuto preservarsi sia per la brevità dell’effettivo contatto con i Romani sia per la rigida separazione operata fra le diverse etnie. Allo stesso tempo, però, la monarchia amala è quella che maggiormente ha sentito il peso nonché i vantaggi, anche ideologici, della cultura classica. Sfruttando questa possibilità con Cassiodoro (490-583) e Jordanes (prima metà del VI secolo), gli Ostrogoti hanno dato luogo ad una precoce costruzione storiografica, la prima storiografia ‘nazionale’ (cfr. Luiselli 1980 e 1992: 664-717, Goffart 1988: 20-31) che contribuisse a mescolare le due tradizioni senza svantaggiare quella germanica. Per quello che riguarda, poi, l’interpretazione letteraria e la visione particolare della storia etnica, il caso del De origine actibusque Getarum di Jordanes, narrazione post mortem compiuta fra il 551 e il 553, verso la fine cioè della guerra greco-gotica (535-553), merita attenzione speciale che gli verrà dedicata in altra sede.
Le vicende dei Longobardi, infine, presentano alcune somiglianze con i casi appena esaminati insieme a notevoli peculiarità, con il risultato di definire una situazione originale ma non priva di possibilità di confronto. Le maggiori affinità si possono trovare con gli Ostrogoti e non solo per il fatto di essersi entrambi stanziati in Italia, per quanto, ad un secolo di distanza, le condizioni della penisola fossero oramai ben diverse. L’Italia era ancora ben salda nelle sue strutture culturali, anche di carattere laico, e ricca di ingegni al momento dell’arrivo degli Ostrogoti (486; cfr. Brunhölzl 1990: 33-70). Invece, oramai stremata e impoverita dal trentennio di guerra greco-gotica, presenta all’arrivo dei Longobardi (568) solo centri culturali dispersi, parzialmente isolati e di matrice esclusivamente ecclesiastica. I Longobardi condividono con gli Ostrogoti la saldezza memoriale delle origini, del pari generata anche dal prolungato itinerare delle due popolazioni e dall’evento unico dell’invasione. Inoltre, in una prospettiva letteraria, entrambi affidano il duraturo, e per noi definitivo, ricordo delle proprie vicende a opere storiche composte post mortem: gli Ostrogoti al De origine actibusque Getarum di Jordanes, i Longobardi alla Historia Langobardorum di Paolo Diacono (720ca-799) – iniziata nel 787 e terminata, o interrotta, poco prima della sua morte nel 799 –, redatta, perciò, dopo la conquista dell’Italia da parte di Carlomagno (774). Per quanto con esiti e motivazioni ben diverse. Jordanes, infatti, “all’indomani della riconquista, [vede] la soluzione imperiale […come] l’unica alternativa valida” (Vinay 1989: 436) e malgrado la sua storia sia, fra quelle barbariche, la meno riuscita letterariamente, ci consegna un Teodorico destinato a ricoprire un ruolo di primo piano nelle future saghe germaniche e nella storiografia latina (cfr. Frank 1991 e Wolf 1991). Nessun re dei Longobardi, invece, “è assurto a simbolo, nella cultura mediolatina, per una qualche operazione interpretabile poi come cardine della storia” (Vinay 1978: 126) mentre una valenza storiografica ben diversa hanno l’Impero Romano di Giustiniano e il regno dei Franchi di Carlomagno, che per tramutarsi in Impero dovrà attendere il Natale dell’anno 800. Tuttavia la maggior durata del regno longobardo ha reso possibile – a differenza di quanto accaduto durante quello ostrogoto – un più complesso sviluppo e una più articolata interferenza culturale e linguistica (cfr. Capo 1990). Al contrario degli Ostrogoti, però, l’istituto monarchico dei Longobardi non ha...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Dedica
  6. Indice
  7. Premessa
  8. 1. Memoria e storia
  9. 2. Le fonti
  10. 3. Winnilorum, hoc est Langobardorum, gens
  11. 4. Origines e non origo
  12. 5. Regnavit […] primus Agelmund
  13. 6. Alboin […] qui exercitum […] in Italiam adduxit
  14. 7. Alboin […] in […] carminibus celebretur
  15. 8. Paolo Diacono tra mito, storia e autobiografia
  16. Bibliografia