I. Sorvegliare e punire
Mimmo Franzinelli
Le politiche repressive del fascismo, dal regime alla Rsi
In via preliminare, un’analisi su carcere e repressione durante il regime fascista e la Repubblica sociale deve considerare le rilevanti innovazioni introdotte dal governo di Mussolini, con l’accentuazione dei tratti liberticidi del sistema liberale. Le garanzie del Codice Zanardelli del 1889 (cancellazione della pena di morte, irretroattività della legge penale) vengono travolte dalle leggi eccezionali di Pubblica sicurezza del 1926 (intitolate non a caso «Provvedimenti per la difesa dello Stato») e poi dal Codice Rocco del 1931. E il confino di polizia diviene un “sistema” cui vengono assoggettati – senza alcun diritto alla difesa mediante assegnazione d’ufficio da parte di una commissione provinciale – cittadini colpevoli di opposizione al fascismo. Dall’inizio del 1927 funziona una magistratura politica: il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, cui si viene deferiti in stato d’arresto; sino al 25 aprile 1945 punirà reati di opinione e condannerà migliaia di oppositori.
Preludio. Benito Mussolini, prigioniero politico
Del trattamento praticato ai prigionieri politici nel primo decennio del Novecento testimonia l’esperienza dell’agitatore socialista Benito Mussolini. Dopo alcune traversie d’esilio nel Trentino asburgico e in Svizzera, il suo battesimo carcerario nel Regno avviene l’estate del 1908, per violenze contro un crumiro, durante lo sciopero bracciantile nelle campagne di Forlì: un paio di settimane di cui il bastonatore si gloria scrivendo sulla stampa rivoluzionaria «Per me, per noi eretici, il carcere è una “virgola”». La pur breve cattività lo irrita contro la Giustizia, «una vecchia ciondolona che si prostituisce al primo venuto purché appartenga alla polizia, a questa ignobile accozzaglia di gente venduta. Alle fiamme, il Codice!».
Al breve prologo seguiranno cinque mesi di carcere dal 14 ottobre 1911, per manifestazioni contro la campagna di Libia, promosse col segretario della Federazione braccianti Pietro Nenni e con il portinaio della Camera del lavoro Aurelio Lolli. I tre prigionieri beneficiano di un’impetuosa campagna-stampa, che raccoglie oltre mille lire in sottoscrizione per spese legali e assistenza ai familiari.
Il politico ventottenne, astro nascente dell’estrema sinistra, si presenta all’udienza del 18 novembre «elegante, quasi azzimato». Tutt’altro che intimidito dal tribunale, rivendica la contrarietà alla spedizione africana e vanta «il fine altamente civico del sabotaggio»; conclude l’autodifesa con una frase ad effetto:
ebbene, io vi dico, signori del tribunale, che se mi assolverete mi farete un piacere, perché mi restituirete al mio lavoro, alla società. Ma se mi condannerete mi farete un onore, perché voi vi trovate in presenza non più di un malfattore, di un delinquente volgare, ma di un assertore di idee, di un agitatore di coscienze, di un milite di una fede, che s’impone al vostro rispetto perché reca in sé i presentimenti dell’avvenire e la forza grande della verità! (La chiusa della vigorosa, lucida ed elevata deposizione del nostro compagno Mussolini – che ha prodotto una grande impressione, visibile anche negli stessi giudici – suscita applausi ed approvazioni nel pubblico, subito represse dal presidente col rinvio dell’udienza al pomeriggio).
Secondo i resoconti giornalistici, «il pubblico ministero rende omaggio al suo ingegno, alla sua cultura ed al suo carattere». Mussolini viene condannato a un anno di reclusione: due mesi in meno della pena inflitta al repubblicano Nenni. In attesa del processo d’appello rimane imprigionato a Forlì, dove a fine dicembre un amico giornalista lo trova in piena forma: «egli, che nel carcere passa le giornate raccolto nei suoi studi, ebbe il piacere di vederci e di ricevere le notizie dei compagni, a nome dei quali gli portammo i migliori auguri e i saluti più affettuosi». La stampa socialista ne ha fatto un martire, definendolo nientemeno che «un pronipote di Socrate». Per combattere la noia compila su un quaderno una fitta autobiografia (inedita sino al secondo dopoguerra): La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, nella quale – più che la politica – campeggiano affetti famigliari e amori giovanili. Per ammazzare il tempo, alterna alla lettura di testi sovversivi le partite a scopa con Nenni.
Il 12 marzo 1912 il direttore de «La Lotta di Classe» riacquista la libertà; il suo giornale sottolinea che nella prigioni tenne «fieramente eretta nel saldo pugno la bandiera del soc...