Controllare il potere
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Controllare il potere

Il mandato imperativo e la revoca degli eletti (XVIII-XX secolo)

  1. 245 pagine
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Il mandato imperativo e la revoca degli eletti (XVIII-XX secolo)

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Al centro delle rivendicazioni costituzionali democratiche, dal periodo giacobino fino alla Comune di Parigi, passando attraverso la temperie rivoluzionaria del 1848, vi furono il mandato imperativo e la revoca degli eletti, istituti giuridici che permettono di ripercorrere la vicenda della rappresentanza politica e di tracciarne una sorta di controstoria.Vengono così ricostruite le origini del sistema rappresentativo, partendo dalla crisi dell'Ancien régime e dalla critica illuministica attraverso la cesura delle Rivoluzioni americana e francese, per inoltrarsi nel lungo Ottocento e giungere, dopo una riflessione su esperienze e teorie novecentesche di autogoverno e sui lavori dell'Assemblea costituente italiana, a mo' di epilogo, ai giorni nostri. L'affermazione del sistema rappresentativo avvenne proprio sulle ceneri delle dottrine e delle prassi del mandato imperativo e della revoca degli eletti, che indicavano un'alternativa alla democrazia liberale. Questa alternativa sarebbe riemersa, in un mutato contesto istituzionale, nel corso del XX secolo, quando in Europa si fece sempre più stringente la necessità di "democratizzare la democrazia". Un'esigenza che oggi, in un'epoca di sfiducia e di risentimento verso la politica, ricompare con tutta la sua forza.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788833135502

1. Crisi dell’Ancien régime e critica illuministica

1. La rappresentanza medievale e d’Antico regime
La rappresentanza medievale rispondeva a due logiche: di appartenenza cetuale e di supremazia della comunità politica.64 Esse si sviluppavano all’interno dei ceti e delle corporazioni di mestieri, con un carattere necessariamente collettivo e di gruppo e si configuravano come «una specie di anello di congiunzione» fra elementi diversi ed eterogenei come quelli delle distinte situazioni giuridiche medievali.65 La società di quel periodo, strutturata su base comunitaria e su «una capillare rete di appartenenze intersecate»,66 rimandava a una dimensione organica della rappresentanza e dei corpi comunitari che si basavano proprio sul ricorso allo strumento del mandato imperativo, un istituto frutto della reale situazione dell’epoca nella quale era impossibile pensare un rappresentante come funzionario che concorreva alla gestione della cosa pubblica con libero arbitrio. Al contrario, esso «era l’intermediario, che sopperiva alla materiale impossibilità del gruppo ad agire in quei casi, in cui e per cui veniva scelto; era perciò legato al gruppo come il mandatario è legato al mandante, doveva mantenersi entro i limiti del mandato e non superarli, senza una nuova commissione».67
Questi meccanismi istituzionali si inserivano in un quadro in cui la componente unanimistica era fondamentale, nel senso che la compattezza del consenso definiva la collettività e la comunità stessa attraverso il suo radicamento nella durata. La rappresentanza medievale consisteva in un’articolazione di un ordine collettivo dato e intrinsecamente legittimo, composto da elementi ontologicamente diversi e gerarchicamente distinti, non presupponendo (come avrebbero fatto i “moderni”) la coesistenza di soggetti uguali.68 In quest’ottica la canonistica medievale avrebbe elaborato il principio della maior et sanior pars che cercava di combinare il criterio quantitativo con quello qualitativo e che tanto avrebbe segnato le dinamiche di appartenenza medievali e moderne.69 Tuttavia il principio dell’unanimitas canonica ebbe applicazione in ambito ecclesiastico e teologico, espressione dell’unitas ecclesiae, disgiunto da una valenza proto-democratica che avrebbe avuto il principio del quod omnes tangit ab omnibus debet approbari.70
Nei sistemi politici medievali – caratterizzati da larghe disomogeneità e in un quadro di grandi differenziazioni tra Repubbliche cittadine e Regni, feudi, Comuni grandi, medi e piccoli – la partecipazione alla politica non consisteva nel «prendere partito, manifestare la propria opinione, manifestare le proprie preferenze per un clan o una fazione. Al contrario, è stato contro questa visione che si è affermato inizialmente l’ideale civico di inclusione e di partecipazione».71 Nella civiltà medievale, in cui ogni ordinamento cittadino aveva meccanismi di partecipazione diversi, che spesso univano elementi oligarchici e ‘democratici’ con strumenti originali quali il sorteggio, la cooptazione e le elezioni – l’idea di rappresentanza, così come quella di costituzione, non svolgeva una funzione propositiva o costitutiva, come sarebbe avvenuto in età moderna, ma puramente dichiarativa di un ordine stabilito e gerarchicamente ordinato.
Non a caso in numerose occasioni gli statuti comunali prevedevano il ricorso all’estrazione a sorte, la quale si iscriveva «in una prospettiva che rimaneva olista, ed era un sostituto dell’unanimità».72 Ma il concetto preminente nelle elaborazioni dottrinali del diritto intermedio è quello di identità: la sineddoche medievale consiste nell’identificazione della “parte”, la testa, situata al vertice della gerarchia, con il “tutto”, il corpus, l’universitas societatis. L’idea di representatio identitatis presuppone l’identità del tutto con le sue parti.73
Dalla fine del Duecento si inizia a utilizzare il termine repraesentare per indicare l’agire per altri e il magistrato comincia ad essere percepito come colui che rappresenta il regno. Emblematiche le funzioni dei Parlamenti medievali e delle assemblee militari, in Inghilterra, in Spagna e in Francia, dove si affermò il principio di procedere in assenza di altri, quando i presenti decidevano per gli assenti. Le competenze in campo civile derivavano da quelle militari, come l’auxilium e il consilium. Alle origini del sistema rappresentativo – di ordini e corporazioni omogenee e autonome – si trova un modello di stampo feudale, emblematicamente indicato dal caso inglese, che si può riassumere nel principio del do ut des: «il rapporto tra elettori e deputati era quello d’un puro mandato civile riposante sopra una manifestazione di volontà e valevole ai soli scopi e dentro i soli limiti prefissi. I deputati erano veramente procuratori».74
Anche nella Monarchia spagnola la rappresentanza di Antico regime manteneva uno spiccato carattere giuridico e non politico, come dimostrato dai mandati ben definiti ricevuti dai rappresentanti presso le Cortes.75 Il rapporto tra individuo e comunità è centrale nell’affermazione della rappresentanza medievale e di quella commis...

Indice dei contenuti

  1. Risvolto
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Introduzione
  7. Ringraziamenti
  8. 1. Crisi dell’Ancien régime e critica illuministica
  9. 2. La rappresentanza degli antichi e dei moderni
  10. 3. La nascita dello Stato rappresentativo
  11. 4. La rappresentanza impossibile
  12. 5. La Fenice democratica
  13. Epilogo. Rappresentanza e responsabilità nel XX secolo
  14. Bibliografia