Studi di filosofia, politica ed economia
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Questo volume – considerato ormai un classico delle scienze sociali – contiene saggi scritti da Hayek nei vent'anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Nella prima parte, vengono trattati temi di teoria della conoscenza, carichi di implicazioni etiche e politiche: il problema dei fenomeni complessi, la critica del «costruttivismo», la distinzione tra il razionalismo cartesiano e il razionalismo critico, e così via. Nella seconda parte, vengono delineati i princìpi di un ordine sociale liberale e si individuano gli errori di quegli intellettuali che hanno ceduto alla mitologia collettivistica. La terza parte è invece dedicata al rapporto tra politica ed economia e a tematiche più specificamente economiche, come per esempio il pieno impiego e l'inflazione. La consapevolezza dei limiti della ragione è lo strumento con cui Hayek combatte contro ogni terrorismo intellettuale, basato sulla «presunzione fatale» di una conoscenza superiore. La nostra conoscenza, per Hayek come per Popper, è fallibile, ma Hayek sottolinea un altro grande principio gnoseologico: quello della dispersione delle nostre conoscenze relative a situazioni particolari di tempo e di luogo. «Fallibilità» e «ignoranza» diventano in tal modo i fondamenti della libertà individuale e della società aperta.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788849833331
Argomento
Business

1.
Gradi di spiegazione*

1.1 La discussione sul metodo scientifico è stata guidata quasi interamente dall’esempio della fisica classica. La ragione di ciò risiede principalmente nel fatto che certi aspetti del metodo scientifico possono essere illustrati molto facilmente da esempi tratti da quel campo, e risiede in parte nella credenza che, poiché la fisica è la più altamente sviluppata di tutte le scienze empiriche, essa debba essere imitata da tutte le altre scienze. Quale che sia la verità contenuta in questa seconda considerazione, essa non deve tuttavia farci perdere di vista la possibilità che alcune delle procedure caratteristiche della fisica possano non essere di applicabilità universale, e che la procedura di alcune delle altre scienze, «naturali» o «sociali», possono differire da quelle della fisica, non perché siano meno avanzate, ma perché la situazione nei loro campi differisce in modo significativo da quelli della fisica. Più in particolare, ciò che consideriamo come il campo della fisica potrebbe benissimo essere la totalità di fenomeni in cui il numero di variabili di diverso tipo1, significativamente connesse, è sufficientemente piccolo da consentirci di studiarle come se formassero un sistema chiuso, di cui possiamo osservare e controllare tutti i fattori determinanti; e potremmo essere stati portati a considerare certi fenomeni come posti al di fuori della fisica, proprio perché non rientranti in quella situazione. Se ciò fosse vero, sarebbe certamente paradossale cercare di introdurre le metodologie rese possibili da quelle speciali condizioni all’interno di discipline considerate diverse in conseguenza del fatto che nei loro specifici campi non prevalgono quelle condizioni.
Nel tentativo di portare alla luce certi aspetti del metodo scientifico che non sono generalmente posti in rilievo, cominceremo dall’interpretazione, adesso largamente accettata, della scienza teorica come sistema «ipotetico-deduttivo». Si potrebbe accogliere la maggior parte delle idee di base sottostanti a tale approccio e pensare tuttavia di poterlo interpretare in un modo che lo renda inappropriato a certe materie. La sua concezione di base si presta a una stretta interpretazione, stando alla quale l’essenza di tutto il procedimento scientifico consiste nella scoperta di nuove proposizioni («leggi di natura» o «ipotesi»), da cui possono derivare controllabili predizioni. Tale interpretazione può costituire un serio ostacolo alla penetrazione della nostra comprensione in campi in cui certamente in questo momento, e forse per sempre, un procedimento diverso potrebbe essere il nostro unico effettivo mezzo per avere una guida nel mondo complesso in cui viviamo.
La concezione della scienza come sistema ipotetico-deduttivo è stata esposta da Karl Popper in un modo che illustra con chiarezza alcuni punti molto importanti2. Egli ha chiarito che le scienze teoriche sono tutte essenzialmente deduttive, che non ci può essere un procedimento logico quale l’«induzione», che porta in modo necessario dall’osservazione dei fatti alla formulazione di regole generali, e che queste ultime sono il prodotto di atti creativi della mente che non possono essere formalizzati. Egli ha anche sottolineato l’importante punto per il quale le conclusioni a cui conducono le teorie hanno essenzialmente natura di divieti: esse «escludono» l’accadere di certi tipi di eventi e non possono mai essere definitivamente «verificate», ma solo progressivamente confermate da continui tentativi falliti di dimostrarle false. Nelle pagine seguenti, questa parte di tale concezione verrà accettata.
Tuttavia, in questo approccio si trova un’altra non meno illuminante idea che, se accettata troppo letteralmente, si presta a divenire fuorviante. Si tratta di ciò che Popper ha di tanto in tanto espresso in alcune conferenze3, dicendo che la scienza non spiega l’ignoto con ciò che è noto, come si crede comunemente, ma al contrario ciò che è noto con ciò che non lo è. Questo apparente paradosso sta a significare che l’aumento di conoscenza consiste nella formulazione di nuove asserzioni che spesso si riferiscono a eventi che non possono essere direttamente osservati e da cui, assieme ad altre asserzioni su alcuni particolari, possiamo dedurre asserzioni che possono essere confutate per mezzo dell’osservazione. Non dubito che sia importante sottolineare che conoscenze aggiuntive saranno in questi casi contenute nelle nuove asserzioni (ipotesi o leggi di natura), che formano parte delle basi della nostra tesi deduttiva; ma non mi sembra che ciò rappresenti una caratteristica generale di tutte le procedure scientifiche; potrebbe essere la regola in fisica ed essere valida talvolta anche nelle scienze biologiche, ma presuppone condizioni che non sono presenti in molti altri campi.
1.2 Persino per quanto concerne le scienze fisiche, l’enfasi sul procedimento che va dalle ipotesi che devono essere sottoposte a controllo alle conclusioni che possono risultare false, può portare troppo lontano. Gran parte del valore di tali discipline deriva senza dubbio dal fatto che, una volta che le loro ipotesi sono ben accreditate, possiamo fiduciosamente trarne conclusioni applicabili a nuove circostanze e considerarle vere senza controllarle. Il lavoro del teorico non è concluso quando le sue ipotesi sembrano sufficientemente confermate. L’attività di pensiero, con tutte le sue implicazioni, è senza dubbio un’attività di complessità e difficoltà enormi, che richiede le più alte forme di intelligenza. Nessuno potrà negare che sforzi costanti in tale direzione sono parte del regolare compito della scienza; infatti, tutte le discipline teoriche sono quasi esclusivamente interessate a tale tipo di attività. La questione relativa all’ambito di applicazione o alla portata di una teoria, se essa possa dar conto o no di un certo gruppo di fenomeni osservati, o se gli eventi osservati si trovino all’interno dell’ambito di ciò che si sarebbe potuto predire tramite essi, se tutti i dati di fatto rilevanti fossero stati conosciuti e se fossimo stati in grado di manipolarli adeguatamente, è spesso un problema tanto interessante quanto quello consistente nel fatto che la conclusione particolare derivata dalla teoria possa essere confermata; ciò è chiaramente indipendente da quella questione.
Questi aspetti del lavoro del teorico diventano sempre più rilevanti non appena si passa dalla teoria «pura» della fisica a discipline come l’astrofisica o le varie aree della geofisica (sismologia, meteorologia, geologia, oceanografia, ecc.) che sono talora indicate come scienze «applicate». Questo nome descrive a stento il particolare tipo di sforzo richiesto da tali discipline. In questo contesto, essa non è usata per indicare, come fa la tecnologia, che esse soddisfano particolari bisogni umani, né per indicare che la loro applicabilità è riservata a particolari zone di tempo e di spazio. Esse tendono tutte a sviluppare spiegazioni generiche che, almeno in via di principio, sono significative a prescindere dagli eventi particolari per cui sono state formulate: gran parte della teoria delle maree, così com’è sviluppata nell’oceanografia terrestre, potrebbe essere applicabile agli oceani di Marte. Ciò che è caratteristico di queste teorie è che esse, in un certo senso, consistono in deduzioni derivate da combinazioni di leggi conosciute della fisica e, rigorosamente parlando, non formulano proprie distinte leggi, bensì elaborano le leggi della fisica in modelli esplicativi appropriati al particolare tipo di fenomeni cui esse si riferiscono. Certo, è pensabile che lo studio delle maree possa portare alla scoperta di una nuova legge di natura; ma, se lo facesse, sarebbe presumibilmente una nuova legge della fisica e non dell’oceanografia. L’oceanografia conterrà tuttavia asserzioni generali che non sono fisica pura e semplice, ma che sono state elaborate a partire da leggi della fisica, per dare conto degli effetti congiunti di certe costellazioni tipiche di eventi fisici, ossia modelli specifici sviluppati per affrontare tipi di situazioni ricorrenti.
È senza dubbio auspicabile che, nell’esaminare tali sistemi deduttivi, le conclusioni siano, a ogni stadio, messe alla prova dei fatti. Non possiamo mai escludere la possibilità che persino la legge più accreditata possa cessare di valere in condizioni in cui non sia stata ancora sottoposta a controllo. Ma mentre questa possibilità esiste sempre, la sua probabilità, nel caso di un’ipotesi ben confermata, è così piccola che spesso, in pratica, la trascuriamo. Le conclusioni che possiamo trarre da una combinazione di ipotesi ben stabilite saranno dunque preziose anche se non dovessimo essere in condizione di controllarle.
In un certo senso, una simile argomentazione deduttiva, sviluppata per rendere conto di un fenomeno osservato, non contiene nuova conoscenza. A coloro i quali non si occupano abitualmente dell’elaborazione di tali modelli di spiegazione per tipiche situazioni complesse, il compito di dedurre unicamente gli effetti combinati di leggi conosciute può sembrare banale. Ma questo è vero solo nella misura in cui sia vero anche per la matematica. Il fatto che certe conclusioni siano implicate in ciò che già sappiamo non significa necessariamente che siamo consapevoli di tali conclusioni o che siamo capaci di applicarle ogniqualvolta che esse potrebbero aiutarci a spiegare ciò che osserviamo. Nessuno può infatti trarre tutte le conseguenze estraibili dalla nostra conoscenza, o estraibili addirittura da alcune delle più banali e incontestate proposizioni che usiamo nella vita quotidiana; è spesso sempre un compito eccessivamente difficile decidere quanto di ciò che osserviamo può essere spiegato con leggi già conosciute, o potrebbe essere spiegato se possedessimo tutti i dati rilevanti. Trarre più conclusioni significative possibili da ciò che già sappiamo non è certo un compito puramente deduttivo: nella scelta dei problemi, esso dev’essere guidato dall’osservazione. Ma, nonostante sia l’osservazione a sollevare i problemi, la risposta riposa solo sulla deduzione.
Di conseguenza, riguardo alle discipline menzionate, di solito la questione importante non è se le ipotesi o le leggi usate per la spiegazione dei fenomeni siano vere, bensì se abbiamo selezionato, dal nostro bagaglio di teorie accettate, le ipotesi appropriate e se le abbiamo combinate nel modo giusto. Ciò che sarà nuovo in questa «nuova» spiegazione di alcuni fenomeni sarà la particolare combinazione di asserzioni teoriche e di asserzioni relative ai fatti considerati significativi nella particolare situazione (le «condizioni iniziali» e «al margine»). E il problema non è di stabilire se un simile modello sia vero, bensì se sia applicabile ai (o vero dei) fenomeni che esso intende spiegare.
Abbiamo finora parlato principalmente di quelli che vengono definiti rami della fisica applicata per mostrare che, persino qui, gran parte del lavoro indubbiamente teorico non mira alla scoperta di nuove leggi o alla loro conferma, bensì all’elaborazione, a partire da premesse accettate, di modelli deduttivi di argomentazioni in grado di dare conto dei fatti complessi osservati. Se in questi casi possiamo parlare di ipotesi che hanno bisogno di essere controllate, ciò dev’essere fatto con riferimento alla circostanza che questo o quel modello si adatti a una situazione osservabile, e non con riferimento alle asserzioni condizionali in cui consiste il modello esplicativo stesso e che viene assunto come vero. Ci soffermeremo più ampiamente dopo sulle peculiarità di questo procedimento. Per il momento, il nostro scopo è esclusivamente quello di evidenziare che, persino nel progresso delle scienze fisiche, la scoperta di una vera nuova legge di natura costituisce un evento relativamente raro, e di far notare quanto possano essere speciali le condizioni in cui possiamo sperare di scoprire queste nuove leggi di natura.
1.3 Con l’espressione predizione scientifica intendiamo l’uso di una regola o di una legge al fine di trarre, da certe asserzioni sulle condizioni esistenti, asserzioni su ciò che accadrà (incluse asserzioni su ciò che troveremo se cercheremo in un dato punto). La sua forma più semplice è quella di un’asserzione condizionale o del tipo «se… allora» combinata con l’asserzione secondo cui le condizioni stabilite in quella antecedente sono soddisfatte in un dato tempo e spazio. Ciò che al riguardo di solito non viene esplicitamente considerato è quanto debba essere specifica la descrizione degli eventi indicati dalla legge, nell’asserzione relativa alle condizioni iniziali e al margine e nella previsione che conferisce a essa il nome di predizione. Dai semplici esempi tratti comunemente dalla fisica si arriva alla conclusione che è generalmente possibile specificare tutti quegli aspetti del fenomeno, al quale siamo interessati, con il grado di precisione di cui abbiamo bisogno per i nostri scopi. Se rappresentiamo questo tipo di asserzione con «se u, v e w, segue z», viene spesso tacitamente assunto che almeno la descrizione di z conterrà tutte le caratteristiche di z che sono considerate rilevanti per il problema in questione. Qualora le relazioni che stiamo studiando intervengano tra un numero relativamente piccolo di grandezze, non sembrano esserci grosse difficoltà.
Tuttavia, la situazione è diversa laddove il numero di variabili significativamente interdipendenti sia molto grande e solo alcune di esse possano in pratica essere osservate singolarmente. La situazione sarà frequentemente che, se già conoscevamo le leggi rilevanti, potevamo predire che se diverse centinaia di fattori specificati avevano valore x1, x2, x3, xn, allora si sarebbe sempre avuto y1, y2, y3, … yn. In realtà, ciò che suggerisce la nostra osservazione può però essere che se x1, x2, x3, e x4, allora si avrà y1 e y2 o y1 e y3 o y2 e y3 o qualche simile situazione, forse che se x1, x2, x3, e x4, allora si avrà y1 e y2, tra cui esisterà la relazione P o la relazione Q. Potrebbe non esserci alcuna possibilità di andare oltre per mezzo dell’osservazione, perché potrebbe essere praticamente impossibile controllare tutte le possibili combinazioni dei fattori x1, x2, x3, x4, ... xn. Se di fronte alla varietà e alla complessità di una simile situazione la nostra immaginazione non riesce a suggerire regole più precise di quelle indicate, nessun controllo sistematico ci aiuterà a risolvere il problema.
In situazioni come queste, l’osservazione di fatti complessi non ci permette però di formulare nuove ipotesi da cui possiamo dedurre predizioni per situazioni che non abbiamo ancora osservato. Non siamo in grado di scoprire nuove leggi di natura per il tipo di complesso in questione, leggi che ci permetterebbero di giungere a nuove predizioni. Il punto di vista attuale spesso sembra considerare una simile situazione come posta oltre i limiti di applicazione del metodo scientifico (almeno per lo stato attuale delle tecniche osservative), e sembra accettare che per il momento la scienza si fermi qui. Se ciò fosse corretto, sarebbe molto grave. Non c’è nessuna garanzia del fatto che un giorno saremo in grado, fisicamente o concettualmente, di trattare fenomeni di ogni grado di complessità, né del fatto che fenomeni con un grado di complessità superiore a questo limite possano non essere molto importanti.
Tuttavia, se non c’è ragione di ritenere che le condizioni presupposte dal modello standard della fisica siano soddisfatte da tutti gli eventi che ci interessano, non c’è bisogno di preoccuparsi circa le nostre prospettive di imparare almeno qualcosa di importante a proposito dei fenomeni in cui esse non siano soddisfatte. Ma ciò richiederà l’inverso di ciò che è stato descritto come la procedura standard della fisica; nelle nostre deduzioni dovremo procedere non da ciò che è ipotetico o ignoto a ciò che è noto e osservabile, ma, come si riteneva che fosse la procedura normale, dal noto all’ignoto. Questa non è una descrizione del tutto soddisfacente della procedura che dovremo esaminare più avanti, ma è pur sempre vero che la vecchia concezione, secondo cui si debba spiegare il nuovo con ciò che si conosce, si adatta a questa procedura meglio della concezione secondo cui si deve procedere dall’ig...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Frontespizio
  6. Colophon
  7. Prefazione all’edizione italiana
  8. Friedrich A. von HayekStudi di filosofia,politica ed economia
  9. Prefazione
  10. Parte primaFilosofia
  11. 1. Gradi di spiegazione*
  12. 2. La teoria dei fenomeni complessi*
  13. 3. Regole, percezione e intelligibilità*1
  14. 4. Note sulla evoluzione dei sistemi delle regole di condotta(L’interazione tra le regole di condotta individuale e l’ordine sociale delle azioni)
  15. 5. Tipi di razionalismo*
  16. 6. I risultati dell’azione umana ma non dell’umano progettare*1
  17. 7. La filosofia del diritto e della politica di David Hume*
  18. 8. Il dilemma della specializzazione*
  19. Parte secondaPolitica
  20. 9. Gli storici e il futuro dell’Europa*
  21. 10. Relazione di apertura alla conferenza di Mont Pélèrin*
  22. 11. I princìpi di un ordine sociale liberale*
  23. 12. Gli intellettuali e il socialismo*
  24. 13. La trasmissione degli ideali di libertà economica*
  25. 14. Storia e politica*
  26. 15. «La via della schiavitù» dodici anni dopo*
  27. 16. L’elemento morale nella libera impresa*
  28. 17. Che cos’è il sociale? Cosa significa?*
  29. Parte terza Economia
  30. 18. L’economia, la scienza e la politica*
  31. 19. Pieno impiego, pianificazione e inflazione*
  32. 20. Sindacati, inflazione e profitti*
  33. 21. L’inflazione risultante dalla rigidità verso il basso dei salari*
  34. 22. L’impresa societaria in una società democratica: nell’interesse di chi dovrebbe essere e sarà governata?*
  35. 23. Il non sequitur dell’«effetto dipendenza»*
  36. 24. Gli usi della «legge di Gresham» come illustrazione di una «teoria storica»*
  37. 25. L’economia dell’imposta sulla variazione della destinazione d’uso*
  38. Appendice: recensione a Charles M. HAAR, Land Plan-ning Law in a Free Society: A Study of the British Town and Country Planning Act, Harvard University Press, Cambridge, Massachussets 19512.
  39. AppendiceTre recensioni e una risposta
  40. Schumpeter e la storia dell’economia*
  41. I Webb e la loro opera*
  42. La vita di Keynes scritta da Harrod*
  43. Libertà e coercizioneCommenti a una recensione di Ronald Hamowy*
  44. Note