Sezione I
Con Petra
1. Ouverture
Nel vicendevole e intimistico catturarci percepiamo in controluce le sagome delle nostre individualità e da lì trae scaturigine l’immaginifico gioco dello specchiarci e del rifletterci l’uno nell’altra, perché la lettura e l’interpretazione dei nostri personalismi, disseminati di virtù intuitive e ricchi di sfumature intimistiche, vengono a dipendere da ciò che di noi si rifrange nell’altro o nell’altra e solo la sintesi di questa reciproca proiezione di luci e immagini dischiuderà idealmente le porte all’identitario Noi assoluto informante di sé il cammino delle nostre spiritualità
— Sono il riflesso della tua intransparenza e il custode del tuo piacere,
— E io sono sedotta dalla tua antimistificatrice inclinazione a celebrare l’incompiutezza del mio Essere e la compiutezza del non Essere e dal tuo riuscire a dar voce ai silenzi che trafiggono il mio vivere,
— Abbi memoria che il piacere di cui parlo non è un frammento estraneo al nostro vivere, dovendo essere còlto nel dinamismo elevantesi a presupposto della sua capacità infinita di evolversi e commutarsi,
— Provo rammarico per avere poca esperienza al fine di stimolare come merita la vicenda evolutiva di cui parli,
— Se posso risponderti con una sintesi metaforica ti faccio notare che non conta quante volte l’hai fatto, ma quanta voglia hai di farlo: nella metafisica sentimentale l’esperienza fine a se stessa vale meno rispetto alla ricchezza dei propositi e degli stimoli al fare, al costruire, perché quel fare e quel costruire sono la spina dorsale del divenire, del dover essere, della mèta cui ambiamo e che non si raggiunge con la mera contemplazione del già fatto,
— Mi ecciti e allarmi quando parli così: è come se mi sospingessi, senza volerlo, a segregarmi nel mio eremo per rifuggire dalle contraddizioni dell’Io mai davvero disvelato,
— Il tuo contorcerti su te stessa, il tuo rifuggire sono stravaganze o schermaglie sceniche più che comportamentali e sono pronto ad accettarle se poste in una cornice ideale che riesca a temprarle e regolarle alla medesima stregua del metronomo che scandisce il ritmo alla lettura delle note adagiate sul pentagramma del nostro volerci e vicendevole asservirci,
— La tralignata e ostinata dipendenza l’uno dall’altra è l’unico elemento in grado di preservare il nostro vincolo, il nostro inseguirci senza mai raggiungerci fino in fondo,
— Fino in fondo, semmai, non ti ho mai veduta come sei per davvero, pur immaginandoti come tu sia,
— Parli di vedere il mio Io: sappi a questo riguardo che vivo nella rappresentazione ideale dell’Essere, non già nell’ontologia della fattualità,
— Sia qual che sia, nel territorio che stiamo percorrendo la ragione tende a venirmi appresso, non perché io dispensi verità irrefutabili nella loro disarmante oggettività, ma in quanto esse informano di sé il mio riflettere e il mio leggerti e interpretarti, essendo quindi l’antecedente logico del mio argomentare anziché la conseguenza,
— Sei quindi con me un generoso dispensatore di verità assolute e io sarei, in tale cornice ipotetica, il tuo dogma?
— Dico soltanto che indagando attentamente il tuo Io è giocoforza osservare come tu non possa evitare di percorrere il sentiero della sofferenza emotiva la cui autoterapica analisi razionale ti pone nelle mani un basamento solido per innalzare il terrapieno che ti protegge dalla forza d’urto dei tuoi pensieri disfunzionali,
— Sembra che tu mi conosca senza neppure avermi veramente conosciuta in tutte le mie sfaccettature caratteriali e sensoriali,
— La conoscenza è anche complicità: è la riduzione a unità di due sfere emotive che si integrano e completano a vicenda,
— Le tue visioni scuotono le mie fragilità: questa tua perfida ma illuminata capacità m’inquieta portandomi al pianto come mezzo di liberazione dal peso che avverto su di me,
— L’apoteosi del pianto è la liturgia del piacere purificatore,
— Varcando la soglia del piacere si smaterializza la mia corporeità verso la metafisica dell’Essere, di quell’Essere che leggo grazie alla tua grammatica introspettiva,
— Le spine che ti lacerano sono dovute all’insicurezza, all’ansia imputabile al timore dell’altrui giudizio, e perciò ti suggerisco col cuore in mano di guardare la storia che è in te prima di lasciarti ammaliare o, peggio, rabbonire da quella narrata da menti estranee...