La sociologia e l'educazione
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La sociologia e l'educazione

  1. 116 pagine
  2. Italian
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La sociologia e l'educazione

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Informazioni sul libro

L'educazione secondo Durkheim è l'azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle non ancora mature per la vita sociale. Ledizioni ripubblica, in traduzione italiana, questo saggio del celebre sociologo, la cui prima edizione risale al 1922.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2021
ISBN
9788855264624
Categoria
Sociologia
Émile Durkheim
LA SOCIOLOGIA
E L’EDUCAZIONE
Ledizioni
©2021 Ledizioni Ledipublishing
Via Boselli 10, 20136 Milano
www.ledizioni.it
Émile Durkheim, La sociologia e l’educazione
Prima edizione originale: Newton Compton, 1971
Prima edizione Ledizioni: settembre 2009
Seconda edizione: marzo 2021
ISBN cartaceo 9788855264532
ISBN ePub 9788855264624
Informazioni sul catalogo e sulle ristampe: www.ledizioni.it
Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da Ledizioni.
Indice
1. L’educazione, la sua natura, la sua funzione 7
1.1. Le definizioni dell’educazione. Esame critico. 7
1.2. Definizione dell’educazione. 14
1.3. Conseguenze della definizione precedente,
carattere sociale dell’educazione. 19
1.4. La funzione dello Stato in materia d’educazione. 27
1.5. Potere dell’educazione. I mezzi d’azione. 31
2. Natura e metodo della pedagogia 41
I. 42
II. 50
III. 53
IV. 59
3. Pedagogia e sociologia 67
I. 69
II. 79
III. 85
4. L’evoluzione e la funzione
dell’insegnamento secondario in Francia
93
1. L’educazione, la sua natura,
la sua funzione
1.1. Le definizioni dell’educazione. Esame critico.
La parola educazione è stata talvolta impiegata in senso molto lato per designare l’insieme delle influenze che la natura o gli altri uomini possono esercitare sia sulla nostra intelligenza, sia sulla nostra volontà. Essa comprende – dice Stuart Mill – «tutto quello che noi facciamo per conto nostro e tutto quello che gli altri fanno per noi, allo scopo di avvicinarci alla perfezione della nostra natura. Nella più ampia estensione del termine, essa comprende finanche gli effetti indiretti prodotti sul carattere e sulle facoltà umane da cose che hanno uno scopo totalmente diverso: le leggi, le forme di governo, le arti industriali e persino ancora i fatti fisici, indipendenti dalla volontà dell’uomo, come il clima, il suolo e la posizione geografica».
Però questa definizione comprende dei fatti totalmente disparati e che non possono esser riuniti sotto uno stesso vocabolo, senza correre il rischio di commettere delle confusioni. L’azione delle cose sugli uomini è diversissima, come modo di agire e come risultati, da quella esercitata dagli uomini stessi. E l’azione dei coetanei sui coetanei differisce da quella che gli adulti esercitano sui più giovani. È quest’ultima sola che qui ci interessa, e pertanto è ad essa che è conveniente riservare il termine di «educazione».
In che cosa consiste tale azione sui generis? A questa domanda sono state date risposte differentissime, che possono esser riunite in due gruppi principali.
Secondo Kant «lo scopo dell’educazione è di sviluppare in ogni individuo tutta la perfezione che è nelle sue possibilità». Che cosa si deve allora intendere per «perfezione»? È – ci è stato detto sovente – lo sviluppo armonico di tutte le facoltà umane. Portare al più alto livello che possa esser raggiunto la somma delle possibilità che sono in noi, realizzarle nella completezza che è nei nostri mezzi, senza che nòcciano le une alle altre, non è forse un ideale al di sopra del quale non se ne saprebbe collocare uno più grande?
Ma, se in una certa misura questo sviluppo armonico è, effettivamente, necessario e desiderabile, non si può d’altra parte realizzarlo interamente, perché si trova in contraddizione con un’altra regola della condotta umana, che non è meno imperiosa: quella che ci ordina di consacrarci ad un compito particolare e limitato. Noi non possiamo e non dobbiamo votarci tutti allo stesso genere di vita; ma dobbiamo, secondo le nostre attitudini, svolgere delle funzioni differenti, ed è indispensabile che ciascuno di noi si metta in armonia con quella che gli incombe.
Non siamo stati fatti tutti per riflettere; occorrono anche uomini d’intuito e d’azione. Al contrario, occorrono uomini che abbiano il compito di pensare. Ora, il pensiero non può svilupparsi che distaccandosi dal movimento, che ripiegandosi su se stesso, che sottraendo all’azione esteriore colui che vi si dona per intero.
Di qui una prima differenziazione che non si crea senza una rottura d’equilibrio. E l’azione, per parte sua, come il pensiero, è suscettibile di assumere una moltitudine di forme differenti e particolari. Senza dubbio, tale specializzazione non esclude un certo fondo comune e, di conseguenza, un certo equilibrio delle funzioni tanto organiche che psichiche, senza il quale la salute dell’individuo resterebbe compromessa, nello stesso tempo che la coesione sociale. Rimane ad ogni modo stabilito che un’armonia perfetta non può esser presentata come lo scopo supremo della condotta e dell’educazione.
È ancor meno soddisfacente la definizione utilitaristica secondo cui l’educazione avrebbe per oggetto il «fare dell’individuo uno strumento di felicità per se stesso e per i suoi simili» (James Mill); perché la felicità è una cosa essenzialmente soggettiva, che ognuno apprezza alla sua maniera. Una formula del genere lascia dunque indeterminato lo scopo dell’educazione e, di conseguenza, l’educazione stessa, poiché l’abbandona all’arbitrio individuale. È bensì vero che Spencer ha cercato di definire obbiettivamente la felicità. Per lui, le condizioni della felicità sono quelle della vita. La felicità completa è la vita nella sua completezza. Ma che cosa dobbiamo noi intendere per «la vita»? Se si tratta unicamente della vita fisica, si può ben indicare quello che, mancando, la rende impossibile. Essa implica, infatti, un certo equilibrio fra l’organismo ed il suo ambiente e, poiché i due termini in rapporto sono dati definibili, sarà anche definibile questo loro rapporto.
Però non si possono esprimere in tal modo che le necessità vitali più immediate. Ora, per l’uomo e soprattutto per l’uomo d’oggi, una simile vita non è «la vita». Noi le domandiamo altre cose, differenti dal funzionamento presso a poco normale dei nostri organi. Uno spirito colto preferisce non vivere che rinunciare alle gioie dell’intelligenza. Anche dal solo punto di vista materiale tutto quello che oltrepassa lo stretto necessario sfugge a qualsiasi determinazione. Lo standard of life, il campione tipo dell’esistenza, come dicono gli inglesi, il minimo al di sotto del quale ci sembra non sia accettabile scendere, varia infinitamente a seconda delle condizioni, degli ambienti e dei tempi. Quello che ci sembrava ieri sufficiente, ci sembra oggi al di sotto della dignità dell’individuo, quale noi la sentiamo attualmente, e tutto fa presumere che le nostre esigenze su questo punto andranno sempre aumentando.
Arriviamo qui alla critica generalizzata nella quale incorrono tutte queste definizioni. Partono da questo postulato, che vi è un’educazione ideale, perfetta, valida istintivamente per tutti gli uomini. Ed è questa educazione universale ed unica che il teorico si sforza di definire. Ma, innanzi tutto, se noi consideriamo l...

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  1. Durkheim