Socrate e gli Ateniesi
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Nel gennaio del 1869, la Sezione di scienze morali e politiche della Società reale di Napoli stabilì per tema di concorso: «La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele», assegnando il mese di giugno 1870 come termine per la presentazione dei manoscritti. Questa monografia, che ora vede la luce negli Atti dell'Accademia stessa, ha avuto in sorte di ottenere la più gran parte del premio, e di essere anteposta ai lavori di sei altri concorrenti; della quale determinazione noi rendiamo qui pubblica testimonianza di gratitudine alla Sessione, che ci ha onorati col suo favorevole giudizio. Antonio Labriola Socrate, figlio di Sofronisco del demo di Alopece (Atene, 470 a.C./469 a.C. – Atene, 399 a.C.), è stato un filosofo greco antico, uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale. Antonio Labriola (Cassino, 2 luglio 1843 – Roma, 2 febbraio 1904) è stato un filosofo italiano, con particolari interessi nel campo del marxismo.

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2021
ISBN
9791220282901

LA PERSONALITÀ STORICA DI SOCRATE

1. Socrate e gli Ateniesi

L'anno 1º dell'Olimpiade 95ª nel mese Targelione (maggio 399 a. C.) moriva nel desmoterio ateniese Socrate figlio di Sofronisco, condannato a bere la cicuta, qual reo di violata religione e corruttore della gioventù. Gl'intimi di lui, che rimaneano privi dell'uomo più prudente e più giusto fra quanti fossero a quel tempo, avevano invano tentato di sottrarlo a così trista fine, offrendosi dapprima mallevadori di una multa di trenta mine, e cercando, poi che la sentenza era stata pronunziata, procacciargli con la fuga albergo e riposo in più sicura stanza. Socrate, che a mala pena s'era indotto ad offrire la multa, rigettò recisamente il consiglio della fuga; e rimase tranquillo in carcere fino al giorno della morte, che egli incontrò con religiosa rassegnazione. La divinità gli vietava di fare altrimenti! Egli era convinto che fuggire le conseguenze del processo era come violare la legge, la cui santità dee rimanere inalterata, anche quando gl'interpreti di essa siano ingiusti e parziali. La sua coscienza non ammetteva incertezza o titubanza fra una moltitudine di beni possibili, riposando su la infallibilità del giudizio morale, il cui fondamento costante è la retta cognizione. Socrate era al servigio della divinità, e la coscienza della missione affidatagli era in lui tanto viva e potente, che, ove l'avesse lasciata inadempita, egli avrebbe stimato di commettere un'azione riprovevole ed irreligiosa.
Era quello un tempo di restaurazione politica, e gli Ateniesi, che dal fastigio della gloria e della potenza, per una serie d'errori e d'ingiustizie, erano caduti nel più basso fondo d'ogni umiliazione, scacciati i trenta tiranni, e ristabilita la forma popolare, intendevano a tutt'uomo a purgare la città di tutti quelli elementi, che per un verso o per un altro avessero corrotto o snervato, o reso inoperoso e svogliato il popolo[12]. E quest'opera fu intrapresa con moderazione, generosità e costanza. La vendetta, lo spirito di parte, le ambizioni e gl'interessi personali offesi non vennero punto a regolare la condotta dei restitutori della libertà, che, intesi a ristabilire la costituzione fondamentale dello Stato, dettero pruova di quanto fossero valse le recenti sventure a mitigare lo spirito violento della democrazia ateniese. L'arcontato di Euclide coronò gli sforzi della restaurazione, e fece per poco sperare che i tempi di Cimone e di Pericle non fossero del tutto finiti. Ma quest'opera di civile rinnovamento, per quanto fosse stata compiuta con intenzioni umane e disinteressate, non riuscì a ricomporre in perfetta armonia gli spiriti già travagliati da profonde collisioni, perchè l'apparente conciliazione non avea di che nudrire gli animi già stanchi e dimentichi delle antiche virtù. La religione tradizionale era stata violentemente scossa nei tempi della sfrenata libertà democratica, e tutto avea cospirato a smuoverla dalle sue fondamenta. Le gravi sventure sofferte aveano favorito due opposte tendenze: dispregio della religione tradizionale in alcuni, superstizione eccessiva negli altri, stimando quelli che l'insuccesso nelle imprese guerresche avesse sbugiardato gli dei, mentre questi, al triste spettacolo della patria in decadenza, ed alla perdita del sereno possesso delle tradizionali e virili virtù dei padri, non sapeano cercare altrove un riparo, che in un abbandono angoscioso nelle braccia delle divinità[13]. La mania dei processi politici, frenata per poco dal bisogno di calma e tranquillità che la restaurazione avea indotto negli animi, si fece nuovamente imperiosa; e quattro anni appena erano trascorsi dal ristabilimento della libertà, quando la democrazia fece di Socrate la vittima innocente di un esagerato principio di conservazione politica.
Questo doloroso spettacolo di una rinnovata democrazia, che si macchia del delitto di una ingiusta condanna col toglier la vita ad un uomo di virtù eccezionali, che avea consacrato sè medesimo al miglioramento dei suoi concittadini, è stato argomento di somma maraviglia sì negli antichi tempi come nei moderni; e questa maraviglia ha fatto sì, che le circostanze tutte che prepararono ed accompagnarono quella tragica catastrofe fossero studiate con indagini severe e minuziose. Il risultato di queste ricerche è stato, non certo la giustificazione, ma bene la spiegazione della condotta degli Ateniesi verso Socrate; e quel processo e quella condanna non possono ora più considerarsi come opera del fanatismo religioso, o del furore partigiano, o degli artifizî di certi uomini invidiosi, perchè il loro fondamento era riposto nell'inevitabile contrasto fra i principî conservativi della democrazia ateniese, e la ricerca poggiata sul criterio del convincimento personale, della quale Socrate s'era fatto l'apostolo. Questa maniera di considerare la posizione di Socrate in Atene non importa punto, che deva sacrificarsi la testimonianza dei discepoli di Socrate, su la purezza delle intenzioni, e sullo spirito profondamente retto e religioso del loro maestro, all'esigenza di una giustificazione assoluta del popolo ateniese; ma vale certamente a farci valutare più intimamente il valore storico della persona di Socrate, ed agevola la intelligenza netta della sua dottrina. L'esame di questa quistione non può entrare nei limiti del nostro lavoro; ed a noi basterà di notare i tratti più notevoli della personalità di Socrate, solo perchè apparisca necessario il contrasto con la democrazia.
Socrate non avea niente di comune coi partiti che agitavano Atene, e le sue personali relazioni non aveano niente a fare con le varie tendenze politiche dei contemporanei. Sebbene Carmide e Crizia fossero stati suoi uditori, e Teramane e Carìcle suoi amici, egli non era stato per ciò fautore del loro dispotismo, anzi Crizia, ad onta dell'antica amicizia, gli avea proibito di tener discorsi. Cherefonte suo amico, e s'è lecita la parola, suo apostolo, tornava appunto dall'esilio coi fautori del governo popolare, poco prima che Socrate fosse condannato; e, con lui, Lisia, che, se non discepolo o amico, secondo una probabile tradizione, era nel numero degli ammiratori di Socrate. Alcibiade infine, ch'era continua minaccia e spauracchio dei trenta, e che allora i reduci democratici cercavano ricondurre in Atene quando l'oro di Sparta il fece spegnere, era stato il più intimo dei suoi uditori; quello che, per la sua naturale leggerezza e mutabilità, avea più d'ogni altro sentito la potenza educatrice del carattere di Socrate. Tutto quello che formava la vita, il benessere e la felicità dell'Ateniese, il continuo agitarsi per le pubbliche faccende, e la brama di divenire influenti nelle adunanze con l'arte della parola, non occupava l'animo di Socrate, che uso ad appagarsi dell'intimo compiacimento della propria coscienza, non volle mai scendere su l'arena delle dispute politiche.
Ai contemporanei egli appariva un uomo strano e singolare, ed a ragione uno storico ha detto, ch'egli non apparteneva a nessuna classe di cittadini. Abbandonata in fatti ben per tempo l'arte paterna della scoltura, non intese mai più ad apprenderne un'altra, che lo fornisse dei mezzi necessarî per la sussistenza. Come cittadino, non manca di adempire i doveri di pritane, anzi sfida il furore popolare, e sa volere e far volere il giusto; ma egli non cerca per ciò di acquistare influenza col suo ingegno, anzi pare che distorni i cittadini dalla vita pubblica, col richiamarli alla meditazione, e si attira così la taccia di fuorviare i giovani. A Potidea, a Delio, ad Amfipoli combatte da valoroso soldato, e fa nascere in tutti una straordinaria ammirazione per la costanza con la quale soffre ogni sorta di privazioni e d'intemperie; ma in tutto ciò non fa che adempiere il dovere d'onesto cittadino, e, ricusando la corona che il suo coraggio gli avea fatta meritare, la cede ad Alcibiade, cui avea salvata la vita. Un bel giorno, quest'uomo singolare muoverà dei dubbî sul concetto che gli altri si fanno comunemente del coraggio, e metterà in imbarazzo anche coloro, che, fatte avendo delle campagne, e riportate delle vittorie, non sanno dire che cosa sia il coraggio. La sua estrema povertà lo costringe a vivere dei doni spontanei degli amici; ma, mentr'egli forse rigetta con superbia l'invito di principi stranieri che lo invitano alla loro corte, sdegna il nome di maestro stipendiato, anzi non vuole essere tenuto per maestro. E come poteva essere maestro, — e di che? Egli sapeva solo di non saper niente; e per questa ragione appunto l'oracolo di Delfo lo avea dichiarato il più sapiente fra gli uomini. Il suo sapere appariva nella forma di un giudizio sospensivo, di una bella domanda — τὶ ἐστι; che smascherava il ciarlatano, imbarazzava il presuntuoso, ed irritava il sofista di mestiere, e che spesso, col suscitare il bisogno dell'esame, non menava ad un risultato positivo.
I settant'anni della vita di Socrate passarono fra l'epoca più fortunata e gloriosa della repubblica ateniese, ed il periodo infausto della irreparabile decadenza. Nato dieci anni dopo la battaglia di Platea, nella prima sua età Temistocle moriva in esilio, e Cimone, reduce dall'esilio, raccoglieva gloria con le imprese della guerra e con le proficue arti della pace. Nella età virile di Socrate, Pericle fu a capo della Stato, moderatore e sovrano dell'opinione, con quella grandezza e nobiltà di propositi, che gli facea vedere nello splendore della patria la soddisfazione della propria ambizione, ch'era intesa ad armonizzare le cure dello Stato ed il godimento dell'arte. La guerra del Peloponneso, la spedizione di Sicilia, la caduta della libertà, l'oligarchia, i trenta, il ritorno del partito popolare, — tutta questa svariata e rapida vicenda passò sotto gli occhi di Socrate, che, stando da mane a sera nell'agorà e in su le pubbliche vie, e frequentando la bottega dell'armiere e dello scultore, del pari che la casa della meretrice e degli ottimati, con le sue aride domande, col suo perpetuo γνῶθι σαυτόν e τὶ ἐστι; parea ignorasse le glorie e le sventure della patria.
E pur nondimeno Socrate era un prodotto naturale della coltura e della vita ateniese; e se il suo carattere, e le sue convinzioni etiche e religiose ci fanno apparire la sua persona come molto staccata e distinta dal fondo comune della vita dei suoi contemporanei, deve pur dirsi, che la facilità con la quale egli seppe formarsi una cerchia d'amici devoti ch'erangli stretti da religiosa pietà, e da arrendevolezza senza pari, non può avere la sua ragione soltanto nel prestigio straordinario ch'egli esercitava, ma eziandio, e forse principalmente, nella natura dei tempi. Una società nuova, più angusta e al tempo stesso più intima e compatta, si andava allora formando nel seno della grande società; e spezzato il filo tradizionale della patria educazione, e varcati i limiti dell'ethos popolare, si preparava al raccoglimento, mentre gli elementi dell'antica vita entravano in lotta fra loro, per poi alterarsi, e dissolversi. Socrate non è il cosciente iniziatore di questo movimento, nè il solo; anzi, come è sempre avvenuto in tutte le epoche di rinnovamento o di riforma morale e religiosa, egli, che con le sue esigenze ricercative si allontanava tanto dall'etica puramente tradizionale ed abituale dei suoi concittadini, fu così poco inclinato a credersi un riformatore, che considerò come preordinato dalla divinità, ed inteso dalla sapienza dei legislatori, quello che era risultato della sua personale investigazione. Egli rimase quindi greco, anzi ateniese tutta la vita, e con la stessa morte confermò la costanza ed armonia della sua coscienza. Il Socrate umanitario dei filosofi del decimottavo secolo è un prodotto di fantasia, che non ha fondamento nella storia; e le opinioni di certi eruditi del nostro secolo, che hanno fatto di Socrate un rivoluzionario, non meritano altro nome, che quello di dottrinali aberrazioni.
Intendere come Socrate, che fu vittima di una accusa che facea di lui un innovatore della religione e della pubblica morale, non fosse stato nè un rivoluzionario nè un ozioso ricercatore, ed evitare al tempo stesso l'errore di coloro che ne fanno il rinnovatore di non so che antica morale, senza pensare che una morale non potea esservi prima della ricerca sofistica e socratica, è forse tanto difficile per la critica moderna, per quanto era ardua cosa pei contemporanei di dischiudere la deforme statua del Sileno, per trovarvi dentro quella vera e viva immagine, che rendeva perplesso l'incostante e volubile Alcibiade.
2. Educazione e sviluppo della coscienza di Socrate.

Imparare a leggere, e recitare poi a memoria le sentenze degli antichi poeti; assuefarsi alla modulazione ed al canto, ch'era destinato a formare nell'animo il senso dell'armonia; esercitare il corpo con la ginnastica, per sviluppare con la regolarità dei movimenti l'accordo dell'esterno con l'interno, ed il senso dell'euritmo; in questi tre capi consisteva l'educazione dell'Ateniese, Solone, istitutore di questo sistema di educazione, ne aveva affidata la vigilanza al venerando consesso dell'Areopago, assicurando in tal guisa alla coscienza ateniese l'inviolato possesso di una preziosa eredità morale. Gli Ateniesi, tuttochè rimutassero più volte le forme politiche della loro costituzione, riguardarono sempre con pietosa venerazione gli ordini di Solone; e gli stessi restauratori della libertà, dopo la cacciata dei trenta, li tennero qual sicuro fondamento della vita civile. La riforma di Efialte, col porre dei limiti all'autorità dell'Areopago, lo aveva privato della vigilanza su la educazione, entrando in quella vece i Sofronisti a funzionare da moderatori di quegli antichi istituti. La pochezza dei mezzi per la diffusione letteraria, e la vita ristretta in più angusti confini, rendeano allora necessaria la concentrazione degli elementi educativi che la coltura e la tradizione poteano offrire: sicchè lo sviluppo dell'individuo, favorito dalla limitata istruzione, era di una grande svariatezza e libertà, e tanto più intenso, per quanto meno sussidiato da una larga preparazione di scuola.
I primi anni della vita di Socrate precedettero la riforma di Efialte, e non è a dubitarsi ch'egli s'ebbe l'istruzione legalmente stabilita sin dal tempo di Solone. Senofonte, e qualche reminiscenza socratica presso Platone fanno fede della educazione affatto ateniese di Socrate; e fra gl'indizi non è di poco valore quello che può desumersi dalle frequenti citazioni di Omero, di Esiodo, di Teognide e di Simonide, che, secondo la tendenza invalsa a quell'epoca, servivano di occasione a delle analisi morali dei precetti che potessero esser contenuti in questo o in quel luogo. Da questa prima istruzione (che se non è esplicitamente attestata in persona del giovanetto Socrate, non c'è dubbio che abbia avuto luogo per lui come per ogni altro Ateniese), fino al momento che, informato già a solide convinzioni, egli appare su la scena pubblica, come autore di una dottrina determinata e precisa nel suo carattere e nel suo valore, come siasi sviluppato, e quali siano state le diverse fasi del suo pensiero, e le sue lotte coi contemporanei e con sè stesso, la critica storica non è più in grado di saperlo. La leggenda in vero ha conservato finanche ì nomi dei maestri di Socrate, e gl'indizi della loro influenza; ma alla luce della critica tutte queste varie tradizioni sono apparse vuote di certezza, avendo esse per fondamento, o certi presupposti dottrinali, o delle combinazioni equivoche di dati storici. E del pari non si ha ragioni sufficienti, per riconoscere in certe altre tradizioni la lontana ricordanza delle lotte sostenute da Socrate, per raggiungere quello stato di perfetta costanza, continenza ed equanimità, che tanto ammiravano in lui i testimoni contemporanei: perchè quelle tradizioni, o sono del tutto inventate, o furono escogitate con l'intento di supplire con la congettura il difetto della storia.
Ed in fatti, la vita d'un Ateniese di mediocre stato, che privo d'ogni arte e d'ogni pubblico ufficio visse nelle più grandi strettezze e quasi povero, non potea svilupparsi dapprima che nella oscurità: e quando egli ebbe raggiunta con la maturità degli anni una convinzione chiara ed intensa della sua missione, l'antitesi dichiarata in cui si pose contro tutte le tendenze pratiche e teoretiche dei contemporanei valse tanto ad attirargli amici ed inimici, che l'importanza dell'uomo adulto dovette far perdere di vista la storia del suo sviluppo. Quello ch'egli ha potuto pensare prima di fermare definitivamente l'orizzonte della sua coscienza, e quali impulsi naturali dovessero esser riposti nel suo temperamento e nel suo carattere per determinarlo ad abbandonare ogni pratica occupazione, e darsi interamente ad esaminare l'animo e le morali intenzioni di quanti gli venissero innanzi, e come poi continuasse con religiosa convinzione l'opera intrapresa, certo di non poterla intermettere senza venir meno alla voce della divinità che l'avea scelto e chiamato; tutte queste domande non possono altrimenti toccare una soddisfacente risposta, che per via di una congettura, forse psicologicamente verosimile, ma non per questo equivalente ad una notizia storica. Cercheremo innanzi tutto di mettere in piena luce alcuni dati molto importanti.
Poco tempo dopo l'impresa contro Delio, quando Socrate toccava il 45º anno dell'età sua (424 a. C.), Aristofane fece di lui su la scena il rappresentante tipico di tutta la classe dei Sofisti e dei filosofi naturali; e col suo squisito umore rilevò vivamente il contrasto fra l'antica virtù, e il nuovo principio della ricerca individuale. Non è qui il luogo di esporre i motivi estetici e politici dell'opera singolare di Aristofane, nè di tratteggiarne i caratteri, i contrasti, le peripezie e la catastrofe. A noi importa solo di notare, che a quel tempo Socrate era di già un nome tanto popolare in Atene, che la satira di lui potea offrir materia alla commedia, innanzi ad un pubblico uso a vedere sulla scena le persone più eminenti della repubblica. Le Nuvole di Aristofane, se non sono un documento storico su la cui autorità devasi accettare o rigettare come genuino questo o quel principio della dottrina socratica, perchè in esse è troppo evidente l'erroneo concetto che Aristofane s'era fatto di Socrate il μεριμνοφροντιστής attribuendogli tutte le opinioni dei filosofi naturali, e tutte le più strane conseguenze che la satira avesse potuto desumere dalla riflessione sofistica, sono bene una testimonianza storica dell'influenza che Socrate esercitava già in quel tempo, e del valore reale della sua persona nella società ateniese. Il suo convivere coi giovani, il suo perpetuo ragionare, la sua preoccupazione logica, e fino la relazione con Cherefonte, vi appariscono come cose già note a tutti; e tali, che, senza essere caratterizzate con fedeltà storica, si prestavano a rappresentare vivamente su la scena una personalità già stata argomento di molti discorsi nel pubblico. Quanto lavoro e quante lotte non ha dovuto sostenere Socrate, per raggiungere una forma di coscienza così pronunziata; e quanti motivi non han dovuto esercitare la loro azione sul suo animo, dal momento che abbandonata la bottega del padre cominciò egli a vivere nella sua beata e laboriosa ἀπραγμοσύνῃ?
I testimoni autentici ed immediati della dottrina socratica non ci forniscono di notizie sufficienti, per poter noi con l'aiuto delle stesse, se non rifare minutamente, almeno adombrare in parte le successive fasi che ha dovuto percorrere la coscienza di Socrate, prima di presentare alla considerazione degli Ateniesi dei caratteri così notevolmente spiccati, che l'occuparsi di lui fosse come toccare un argomento che tenea desta l'opinione generale. Senofonte e Platone erano appena nei primi anni della loro vita, quando le Nuvole di Aristofane furono rappresentate; e questa sola circostanza dovrebb'essere ragione sufficiente, perchè noi, senza più interrogarli su lo sviluppo della coscienza del loro maestro, ci appagassimo di quanto hanno raccolto dei detti e degli atti di Socrate già maturo e dimentico delle lotte della sua prima gioventù; oltre di che la natura stessa dei loro scritti, e l'epoca in cui furono redatti, doveano di necessità indurli a mettere sotto gli occhi dei lettori l'immagine completa e perfetta del loro eroe, la cui incontestabile vittoria su le viete opinioni professate dal comune degli uomini e su i riluttanti elementi della coltura ateniese, non che essere invalidata, era stata rifermata e consacrata da una morte, per quanto ingiusta, altrettanto gloriosa.
La data della rappresentazione delle Nuvole d'Aristofane, e la maniera come Senofonte e Platone ci rappresentano il loro maestro già nel pieno possesso d'intime convinzioni, che avevano acquistato la forza e la potenza d'istinti naturali, sono due fatti dalla cui combinazione critica dee risultare evidente l'opinione di coloro i quali affermano, che Socrate avea nei primi anni della guerra del Peloponneso già in parte fissato l'orizzonte della sua coscienza. E a volere esprimere nella forma più semplice la natura ed i limiti di quell'attività scientifica, basterà dire su la testimonianza di Aristotele, che egli fu il primo che si rivolgesse a ricercare la natura delle relazioni etiche, seguendo il filo logico della epagoge e della definizione. Tale era la sua occupazione, quando in mezzo ad una schiera di giovani d'ogni classe sociale, e conversando con quante persone gli venissero innanzi, metteva in mostra nell'età sua provetta i pensieri maturati nell'intimo dell'animo suo; e mosso da un invincibile bisogno di richiamare i suoi interlocutori ai motivi intrinseci della convinzione e della certezza, rigettava i pregiudizi, mediante il concetto rettificava l'opinione, e, con l'invogliare alla continenza ed all'esercizio cosciente di ogni virtù, affermava di adempiere una missione affidatagli dalla divinità, la cui voce gli si era fatta palese nella coscienza fin dai suoi primi anni, finchè l'oracolo di Delfo non venne a confermarlo nel suo proposito. Tutta questa ricchezza di pratiche attitudini, e di capacità teoretica, che non è certamente espressa dalla caratteristica troppo astratta di Aristotele, è esposta con plastica evidenza nel ritratto senofonteo, e in tutti quei luoghi di Platone, che portano l'evidente impronta di una storica reminiscenza.
Ma, avendo escluse come infondate tutte le tradizioni conservate dagli scrittori di un'epoca assai posteriore, e sforniti come siamo dei ragguagli dei testimoni autentici, dovremo forse deciderci a negare ogni connessione fra l'attività scientifica di Socrate, e tutti i tentativi fatti prima di lui e durante la sua vita, per escogitare dei principi atti a spiegare la natura delle cose, e l'ordine intrinseco dell'universo? Che influenza insomma hanno esercitato sul suo spirito le opinioni delle varie scuole filosofiche dei due punti estremi del mondo greco, le colonie dell'Asia e dell'Italia? E non si è forse ripetutamente insistito su la derivazione di alcune convinzioni di Socrate dal principio della filosofia di Anassagora; e la più o meno grande somiglianza, che s'è voluta scorgere fra lui ed i Sofisti, non s'è cercato più volte spiegarla con la diretta influenza della costoro propaganda? La esposizione critica di tante svariate opinioni non può punto riguardarci in questo momento: e se ci siamo fermati alquanto su questa quistione, è stato solo nell'intento di chiarire nettamente la posizione di Socrate in Atene, e nello sviluppo della coltura greca; ed eziandio per giustificare il divario che passa fra la nostra esposizione della dottrina socratica ed alcuni dei lavori che hanno preso a trattare dello stesso argomento. Esporremo dunque brevemente l'opinione che ci siamo formata con lo studio delle fonti.
La prima elementare istruzione, tenuta per legalmente obbligatoria nella repubblica ateniese, non è sufficiente a spiegare l'attitudine filosofica e la efficacia pratica del carattere di Socrate; perchè, sebbene rimanga dubbio fino a che punto egli abbia potuto valersi della tradizione letteraria come mezzo di coltura, il carattere delle sue vedute, e l'influenza che esercitarono, mostrano chiaramente quanto quelle fossero radicate nei bisogni e nella coltura del tempo. Sotto questo riguardo, tutte le molteplici tendenze ricercative delle varie scuole filosofiche hanno potuto esercitare una influenza più o meno diretta su lo sviluppo della sua coscienza, e disporlo a quel bisogno incessante di esaminare con certezza scientifica i fenomeni interni della vita etica, che la profondità del suo carattere, e la perfezione del suo sentimento morale gli venivano offrendo alla riflessione con insolita evidenza. E si è anche in grado di arguire dai Memorabili di Senofonte, e dall'Apologia di Platone, di che natura fosse quella influenza, se si prende per poco ad esaminare con quanta cura nei primi abbia l'autore cercato di tratteggiare l'antitesi che correa fra Socrate e le opinioni di diverse classi di cittadini e di addottrinati, e come, nell'altr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Socrate e gli Ateniesi
  3. Indice dei contenuti
  4. LA PERSONALITÀ STORICA DI SOCRATE
  5. ORIZZONTE DELLA COSCIENZA SOCRATICA
  6. DEL VALORE FILOSOFICO DI SOCRATE
  7. DEL METODO DI SOCRATE
  8. DELL'ETICA SOCRATICA IN GENERALE, E DEL CONCETTO DEL BENE
  9. CONOSCERE E VOLERE
  10. LE FORME CONCRETE DELLA VITA ETICA
  11. DELLE VIRTÙ
  12. DI NUOVO DEL BENE, DELLA FELICITÀ E DEL SAPERE
  13. IL CONCETTO DELLA DIVINITÀ E DELL'ANIMA UMANA NELL'ORIZZONTE SOCRATICO
  14. RIEPILOGO E CONCLUSIONE