Prima giornata
(Prima nuova scienza, che riguarda la resistenza dei solidi ad essere spezzati)
Interlocutori: Salviati, Sagredo e Simplicio
Salviati. Il lavoro che voi veneziani fate nel vostro famoso arsenale suggerisce un vasto campo di indagine, specialmente quella parte del lavoro che coinvolge la meccanica: gli strumenti e le macchine sono costruiti da molti artigiani, e tra questi ce ne devono essere alcuni che, in parte per l’esperienza e in parte per le proprie osservazioni e riflessioni, sono diventati molto esperti e intelligenti.
Sagredo. Hai ragione. In effetti io stesso, essendo per natura curioso, frequento spesso l’arsenale per il semplice piacere di osservare il lavoro di coloro che, a causa della loro superiorità rispetto agli altri artigiani, chiamano “proti”. Discutere con loro mi ha spesso aiutato nell’indagine di determinati effetti, tra cui alcuni reconditi e quasi incredibili. A volte sono anche caduto in confusione, e sono stato spinto alla disperazione per il fatto di non riuscire a spiegare qualcosa che osservavo. E mi chiedevo se la realtà non fosse semplice, e se io non fossi come gli ignoranti che complicano un problema per dare l’impressione di sapere qualcosa su argomenti che non capiscono.
Salv. Ti riferisci forse a quel tizio a cui abbiamo chiesto il motivo per cui hanno impiegato impalcature e rinforzi di dimensioni proporzionalmente molto maggiori per il varo di una grande nave di quanto non facciano in genere per una piccola nave, e ci ha risposto che lo hanno fatto per evitare il pericolo che la nave collassi sotto il suo stesso peso, un pericolo a cui le piccole imbarcazioni non sono soggette?
Sagr. Sì, e mi riferisco in particolare alla sua ultima affermazione che ho sempre considerato come un’opinione falsa, sebbene comune, vale a dire che parlando di queste e di altre macchine simili non si può passare semplicemente dal piccolo al grande, perché molti dispositivi che riescono su piccola scala non funzionano su grande scala. Ora, dato che la meccanica ha il suo fondamento nella geometria, non vedo come le proprietà di cerchi, triangoli, cilindri, coni e altre figure solide possano cambiare con le loro dimensioni. Se una grande macchina è costruita in modo tale che le sue parti scalino con quelle di una più piccola, e se la più piccola è sufficientemente forte per lo scopo per cui è stata progettata, non vedo perché la più grande non dovrebbe essere in grado di resistere a prove severe e distruttive a cui potrebbe essere sottoposta.
Salv. L’opinione comune è in questo caso assolutamente sbagliata. In genere le macchine possono essere costruite ancora più perfettamente su grande scala che su piccola; così, per esempio, un grande orologio può essere reso più preciso di uno piccolo. Alcuni sostengono che un peggioramento delle prestazioni in una macchina grande può essere dovuto alle imperfezioni del materiale; io penso che le imperfezioni del materiale non siano sufficienti a spiegare le differenze osservate tra le macchine grandi e quelle piccole. Anche se le imperfezioni non esistessero e il materiale fosse assolutamente perfetto, inalterabile e libero da tutte le variazioni accidentali, e la scala fosse perfetta, la struttura stessa della materia fa sì che la macchina grande non sia così forte o resistente: più grande è la macchina, maggiore è la sua debolezza. Dal momento che presumo che la materia sia immutabile e sempre la stessa, possiamo trattare il problema sulla base della matematica semplice e pura. Perciò, Sagredo, faresti bene a cambiare l’opinione che tu, e forse anche molti altri studenti di meccanica, avete riguardo alla capacità delle macchine e delle strutture di resistere ai disturbi esterni, pensando che se queste sono costruite con lo stesso materiale e mantengono lo stesso rapporto tra le parti, sono in grado ugualmente, o addirittura in modo proporzionale alle dimensioni, di resistere a tali disturbi esterni. Possiamo dimostrare su basi geometriche che una macchina grande non è proporzionalmente più forte di una piccola. Potremmo anche dire che per ogni macchina e struttura, sia artificiale sia naturale, esiste un limite che né l’arte né la natura possono superare; è inteso, naturalmente, che il materiale sia lo stesso e anche le proporzioni.
Sagr. Mi sento il cervello in subbuglio ma forse vedo la luce. Da quello che hai detto consegue che è impossibile costruire due strutture simili fatte dello stesso materiale ma di dimensioni diverse, e renderle proporzionalmente forti; se così fosse, non sarebbe possibile trovare due pali di dimensioni diverse fatti dello stesso legno con le stesse proporzioni e la stessa resistenza.
Salv. È così. E per assicurarci che ci capiamo, ti faccio un esempio. Se prendiamo una sbarra di legno di un certo spessore, innestata in un muro ad angolo retto e parallela all’orizzonte, della massima lunghezza tale che si sostenga appena da sola, cosicché, se si aggiunge un pelo alla sua lunghezza, si romperà sotto il suo stesso peso, questa sarà l’unica sbarra del genere in tutto il mondo. Tutte quelle più grandi si romperanno mentre tutte quelle più corte saranno abbastanza forti da sostenere qualcosa in più del loro stesso peso. E ciò che ho detto sulla capacità di sostenere se stesso deve essere inteso applicarsi anche ad altre strutture meccaniche, in modo che se un travicello sostiene appena il peso di dieci uguali a se stesso, un travicello diverso avente le stesse proporzioni del primo non sarà in grado di sostenere appena dieci travicelli ad esso eguali.
Vi prego di osservare come fatti che a prima vista sembrano improbabili lascino cadere il velo che li ha nascosti e le verità che portano con sé si ergano nella loro bellezza nuda e semplice. Chi non sa che un cavallo che cade da un’altezza di 3 o 4 braccia si romperà le ossa, mentre un cane che cade dalla stessa altezza, o un gatto da un’altezza di 8 o 10 braccia, non subirà fratture? Altrettanto innocua sarebbe la caduta di una cavalletta da una torre o la caduta di una formica dalla distanza della Luna. I bambini non cadono impunemente da altezze che costerebbero ai loro genitori una gamba rotta o il cranio fratturato? E proprio come gli animali più piccoli sono proporzionalmente più forti e robusti dei più grandi, così anche le piante più piccole sono in grado di resistere meglio di quelle più grandi. Sono certo che entrambi sapete che una quercia alta 200 braccia non sarebbe in grado di sostenere i propri stessi rami se fossero distribuiti come in un albero di dimensioni normali, e che la natura non può produrre un cavallo grande come venti cavalli ordinari o un gigante dieci volte più alto di un uomo comune se non per miracolo o alterando fortemente le proporzioni delle ossa, che dovrebbero essere considerevolmente allargate. Allo stesso modo l’attuale convinzione che, nel caso delle macchine artificiali, sia il grande sia il piccolo siano ugualmente fattibili e duraturi, è un errore evidente. Un piccolo obelisco o una colonna possono certamente essere eretti senza pericolo di rottura, mentre quelli grandi andranno in pezzi sotto la minima sollecitazione, o semplicemente a causa del loro stesso peso.
Qui devo riferire una circostanza degna della vostra attenzione, così come lo sono tutti gli eventi che accadono in contrasto con le aspettative, specialmente quando una misura cautelativa risulta essere una causa di disastro. Una grande colonna di marmo fu posata in modo che le sue due estremità si appoggiassero ciascuna su un pezzo di trave. Poi a un meccanico venne in mente che, per essere più sicuro che non si rompesse nel mezzo per il suo stesso peso, sarebbe stato saggio posare un terzo supporto a metà strada. Questa sembrava a tutti un’idea eccellente; ma poi si vide che non lo era affatto, perché non passarono molti mesi prima che la colonna fosse trovata incrinata e rotta esattamente sopra il nuovo supporto centrale.
Simplicio. Un incidente davvero notevole e assolutamente inaspettato, specialmente se causato dall’inserimento di quel nuovo supporto nel mezzo.
Salv. Sicuramente questa è la spiegazione, e nel momento in cui la causa è nota la nostra sorpresa svanisce. Infatti quando i due pezzi della colonna furono posati su un terreno pianeggiante, si osservò che uno dei supporti terminali si era deteriorato ma che quello centrale era rimasto duro e forte, facendo sì che metà della colonna rimanesse sospesa in aria senza alcun supporto, e crollasse poi sotto il suo stesso peso. In queste circostanze il corpo si comportava quindi in modo diverso da quello che avrebbe fatto se sostenuto solo dai blocchi esterni: in questo caso l’estremità avrebbe semplicemente seguito il supporto che si era deteriorato. Questo incidente non sarebbe potuto accadere a una piccola colonna, fatta della stessa pietra e con le stesse proporzioni tra spessore e lunghezza.
Sagr. Mi fido di quello che ci racconti, ma non capisco perché la forza e la resistenza non si moltiplichino nella stessa proporzione della quantità di materiale; e io sono il più perplesso perché, al contrario, ho notato in altri casi che la forza e la resistenza contro la rottura aumentano in un rapporto maggiore rispetto alla quantità di materiale. Così, ad esempio, se due chiodi simili vengono piantati in un muro, quello che è doppio dell’altro sosterrà non solo il doppio del peso dell’altro, ma tre o quattro volte tanto.
Salv. In effetti non ti sbagli molto se dici otto volte tanto; né questo fenomeno contraddice l’altro, anche se in apparenza sembrano così diversi.
Sagr. Salviati, perché non ci dai una spiegazione? Immagino che questo problema sulla resistenza apra un campo di idee belle e utili; e se sei lieto di rendere questo argomento il discorso di oggi, te ne saremo grati.
Salv. Vorrei richiamare alla mente ciò che ho appreso dal nostro Accademico che aveva riflettuto molto su questo argomento e che secondo la sua abitudine aveva dimostrato tutto con metodi matematici e geometrici, così che si potrebbe chiamare questa una nuova scienza. Ora, poiché desidero convincerti con una dimostrazione piuttosto che persuaderti con argomenti speculativi, supporrò che tu abbia familiarità con la meccanica per quanto è necessario nella nostra discussione. Prima di tutto è necessario considerare che cosa accade quando un pezzo di legno o qualsiasi altro solido saldamente coeso viene spezzato; questo è il primo principio che dobbiamo stabilire. Per capirlo più chiaramente, immagina un cilindro AB, realizzato in legno o altro materiale solido coerente. Fissiamo l’estremità superiore, A, in modo che il cilindro sia bloccato verticalmente. All’estremità inferiore, B, attacchiamo il peso C. È chiaro che per quanto grandi possano essere la tenacia e la coerenza tra le parti di questo solido, queste possono essere superate dalla trazione del peso C, un peso che può essere aumentato indefinitamente fino a quando il solido non si rompe come una corda. E come nel caso della corda la cui forza sappiamo essere derivata da una moltitudine di fili di canapa che la compongono, così nel caso del legno osserviamo le fibre correre longitudinalmente e renderlo molto più forte di una corda di canapa dello stesso spessore. Nel caso di una pietra o di un cilindro metallico in cui la coerenza sembra essere ancora maggiore, il cemento che tiene insieme le parti deve essere diverso da fibre e filamenti; eppure anche questi materiali possono essere rotti da una forte trazione.
Simp. Se è come dici tu, posso ben capire che le fibre del legno, essendo lunghe quanto il pezzo di legno stesso, lo rendono forte e resistente contro le grandi forze che tendono a romperlo. Ma come si può fare una corda lunga 100 braccia con fibre di canapa che non siano più lunghe di 2 o 3 braccia, e conferirle tutta quella resistenza? Inoltre, sarei lieto di sentire la tua opinione su come le parti di metallo, pietra e altri materiali che non mostrano una struttura filamentosa stiano insieme; perché, se non sbaglio, mostrano una tenacia ancora maggiore.
Salv. Per risolvere i problemi che stai sollevando sarà necessario fare una digressione su argomenti che hanno poco a che vedere col nostro scopo attuale.
Sagr. Ma se mediante queste digressioni possiamo raggiungere una nuova verità, che male c’è nel farne una adesso, dato che un’opportunità del genere, una volta perduta, potrebbe non tornare? Dopotutto non siamo legati a un tempo fisso e breve ma ci incontriamo esclusivamente per il nostro divertimento, e spesso divagando si scopre qualcosa di più interessante e bello della soluzione originariamente cercata. Io non sono meno curioso di Simplicio e come lui desidero apprendere quale sia il materiale legante che tiene insieme le parti dei solidi in modo che possano a malapena essere separati.
Salv. Dal momento che lo desideri ti accontento. La prima domanda è: come è possibile che fibre ciascuna non più lunga di 2 o 3 braccia siano così strettamente legate tra loro in una corda di 100 braccia che una forza così grande è necessaria per romperla? Ora dimmi, Simplicio, non riesci a tenere una fibra di canapa così stretta tra le tue dita che io, tirando dall’altra parte, la romperò prima di portartela via? Certo che puoi! E ora, quando le fibre della canapa sono trattenute non solo alle estremità, ma sono afferrate dal mezzo circostante per tutta la loro lunghezza, non è forse più difficile strapparle da ciò che le trattiene piuttosto che romperle? Ma nel caso della corda il fatto che i fili siano attorcigliati fa sì che si leghino l’un l’altro in modo tale che quando la corda viene tesa con una grande forza le fibre si rompono anziché separarsi l’una dall’altra. Nel punto in cui una corda si rompe le fibre sono molto corte, lunghe neanche 1 braccio, come invece sarebbero se scivolassero l’una sull’altra.
Sagr. A conferma di ciò si può notare che a volte le corde non si spezzano per una trazione longitudinale ma per una torsione eccessiva. Questo, mi sembra, è un argomento conclusivo: i fili premono l’uno contro l’altro così strettamente che le fibre che comprimono non permettono a quelle che sono compresse di scorrere e allungarsi neanche di quel poco che sarebbe necessario per evitare la rottura.
Salv. Hai ragione. Ora vedi come un problema possa suggerirne un altro. Un filo tenuto tra le dita non cede a chi vuole trascinarlo via anche quando viene tirato con forza considerevole, ma resiste perché è trattenuto da una doppia compressione, visto che il dito superiore preme contro il più basso come il più basso contro il superiore. Ora, se potessimo mantenere solo una di queste pressioni, non c’è dubbio che rimarrebbe solo metà della resistenza originale; ma poiché non siamo in grado, sollevando, per esempio, il dito superiore, di rimuovere una di queste pressioni senza rimuovere anche l’altra, diventa necessario preservarne una mediante un nuovo dispositivo che fa sì che il filo prema contro il dito o contro qualche altro corpo solido su cui poggia; e così si realizza che la stessa forza che lo tira per strapparlo via lo comprime sempre di più man mano che aumenta la trazione. Questo si ottiene ad esempio avvolgendo il filo attorno a un cilindro a mo’ di spirale. Mi spiego meglio per mezzo di una figura. Siano AB e CD due cilindri tra i quali scorre una corda sottile EF. Se questi due cilindri sono premuti insieme fortemente, il tratto di fune EF, quando tirato dall’estremità F, potrà sopportare una notevole trazione prima di scorrere tra i due...