Scienziati d’Italia
La teoria dell’evoluzione in Italia
e la scoperta del neurone
di Elena Canadelli e Telmo Pievani
La storia del ruolo che personalità delle scienze naturali italiane hanno avuto nel campo dell’evoluzione e della fisiologia presenta risvolti inaspettati. Le migliaia di persone che nel 2009 hanno affollato mostre e conferenze in occasione dell’“anno darwiniano” sono solo i più recenti testimoni di un’amicizia fra il naturalista inglese e l’Italia, cominciata già durante il viaggio attorno al mondo del Beagle. Quando scrisse l’abbozzo di un saggio dal titolo February 1835, Charles Darwin stava già accarezzando l’idea di “trasmutazione” delle specie. Aveva ricevuto il secondo volume dei Principles of Geology di Charles Lyell, autorità della geologia inglese e suo futuro mentore. Fra altre idee influenti, Darwin trovò nei ponderosi volumi di Lyell anche una discussione delle tesi del geologo e naturalista italiano Giovanni Battista Brocchi (1772-1827).
Un italiano agli albori della teoria darwiniana
Quando giunse in Inghilterra, Darwin riscrisse alcuni brani di February 1835 nella seconda parte del Taccuino rosso1, commentando le opinioni di quell’ispettore delle miniere italiano che aveva girato le Prealpi e gli Appennini in cerca di minerali e di conchiglie fossili. Lyell, che parlava e leggeva l’italiano, si era recato nel nostro paese nel 1828 per ripercorrere le osservazioni sul campo di Brocchi, le cui opere aveva letto in patria e che considerava uno dei migliori oppositori del catastrofismo. Così, a seguito della vorace lettura di Lyell, i primi taccuini di Darwin sono pieni di riferimenti all’Italia, ai suoi vulcani e alle sue montagne. Nel libro Conchiologia fossile subappennina, del 1814, Brocchi, interrogandosi proprio come Darwin sulle sostituzioni di specie estinte da parte di specie attuali somiglianti, e rifiutando sia la teoria di Linneo, secondo cui le specie del passato non si erano in realtà estinte ma erano migrate altrove, sia la teoria trasformista di Lamarck, suggeriva una sua soluzione alternativa. L’estinzione, ipotizzava Brocchi, è un fenomeno reale, come pensava anche Cuvier, ma non è dovuto a grandi catastrofi, bensì a un ciclo interno di vita delle specie, cioè a leggi predeterminate.
Come i singoli organismi nascono e muoiono per cause naturali, pensò Brocchi, così deve valere per le specie, che hanno una loro “nascita” (non meglio specificata) e una loro “morte”. Come gli individui biologici, così le specie maturano, perdono un po’ alla volta la loro “virtù prolifica” e infine si estinguono. Lyell commentò l’ipotesi di Brocchi nei Principles, dissentendo: non era d’accordo sull’estinzione, che pensava fosse causata dal mutare delle condizioni ambientali e non da un orologio interno. Darwin però non riusciva a trovare allora prove di cambiamenti ambientali che potessero spiegare l’estinzione del bradipo terrestre gigante, dei gliptodonti e di altre specie che aveva rinvenuto a Bahia Blanca e in altri luoghi della Patagonia. Ne venne fuori dunque uno strano cortocircuito fra osservazioni e teoria. In contrasto con le idee di Lyell, Darwin si sentì attratto da quelle di Brocchi: responsabile della morte delle specie poteva essere una sorta di invecchiamento regolare interno. Le nascite dovevano avvicendarsi alle estinzioni delle specie imparentate presenti nelle stesse regioni, come per la cavia attuale e quella fossile.
L’idea che le specie si comportino come individui portò così Darwin a ipotizzare, nelle prime pagine dei Taccuini, che esse fossero separate prima da barriere geografiche e poi da barriere riproduttive: che fossero, insomma, entità discrete in trasformazione, con confini netti fra l’una e l’altra. La storia prenderà poi un’altra direzione e l’intuizione della selezione naturale da parte di Darwin, nel settembre del 1838, collegherà speciazione ed estinzione alla lotta per l’esistenza e dunque a un contesto ambientale in cui si accumulano gradualmente le “infinitesime” variazioni casualmente vantaggiose degli organismi. Tuttavia, l’analogia fra specie e individuo – formulata da Brocchi e da altri prima di lui – continuerà a scavare le sue gallerie silenziose anche dopo Darwin.
Le lezioni popolari dei naturalisti italiani
Da quell’intuizione del 1838 alla pubblicazione dell’Origine delle specie, e ai vivaci dibattiti che ne seguiranno, passeranno più di vent’anni, e i legami fra la teoria evoluzionistica e l’Italia ricominceranno ad annodarsi. Le idee di Darwin furono accolte anche nel nostro paese con grande interesse, rinnovando rapidamente le tradizioni di ricerca naturalistica locali. L’Italia si distinse per alcune precoci e molto attive “scuole darwiniane”, in special modo a Torino, Padova, Pavia, Firenze, Napoli e Modena2.
La pubblicazione dell’Origine nel 1859 avveniva tra l’altro in un momento di particolare fermento politico per l’Italia, impegnata nel processo di unificazione e, dopo il 1861, nell’organizzazione del nuovo stato unitario. In questa direzione andava tra l’altro la creazione, sulla base della legge Casati del 13 novembre 1859 che ridefiniva l’intero sistema scolastico, di un’apposita facoltà universitaria di scienze fisiche, matematiche e naturali. Finalmente si dava così la possibilità agli aspiranti naturalisti di intraprendere un percorso formale apposito in questo campo di studi, superando il retaggio di pur geniale e meticoloso dilettantismo che lo aveva contraddistinto nelle epoche precedenti.
I naturalisti italiani colsero subito, e ben prima dell’uscita dell’Origine dell’uomo nel 1871, le implicazioni della teoria dell’evoluzione per la comprensione dei rapporti di parentela fra la specie umana e il resto del vivente. Non solo, furono fra i primi, come Thomas H. Huxley in Inghilterra, a comprendere l’importanza di un’educazione scientifica diffusa, perseguita attraverso un’intensa attività editoriale e l’organizzazione di numerose conferenze e lezioni “popolari” molto seguite.
Alcuni di essi, come senatori e rettori, furono anche impegnati nella ricostruzione della vita politica e universitaria della giovane nazione, che si affacciava sulla scena internazionale negli stessi anni in cui cresceva il dibattito sulle nuove teorie evoluzionistiche e in cui si istituzionalizzavano scienze umane come l’antropologia, la psicologia, l’etnologia e la paletnologia (fondata fra gli altri dal naturalista Pellegrino Strobel, in forze a Parma e a Genova), alla luce di un nuovo sguardo naturalistico e interdisciplinare sul fenomeno umano.
Fra il 1865 e il 1890 tutte le opere edite di Darwin furono tradotte in italiano in modo accurato e competente (il che non sempre avvenne in altri paesi, come Darwin stesso lamentò), grazie soprattutto a Giovanni Canestrini (1835-1900) e a Michele Lessona (1823-1894). In diversi casi, studiosi che operavano in Italia – come fra gli altri il botanico Federico Delpino (1833-1905), lo zoologo Anton Dohrn (1840-1909) e Canestrini stesso – intrattennero con Darwin rapporti di amicizia e fitte corrispondenze durante le quali seppero offrire suggerimenti, e anche critiche, ritenuti molto utili dal naturalista inglese. Altri, invece, ebbero l’occasione di studiare in Inghilterra direttamente con figure del calibro di Huxley, come gli zoologi Enrico Hillyer Giglioli (1845-1909), impegnato dal 1865 con Filippo De Filippi nella spedizione scientifica della pirocorvetta Magenta di circumnavigazione del globo, poi professore di zoologia e anatomia comparata dei vertebrati a Firenze e tra i pionieri della zoogeografia in Italia, e Angelo Andres (1851-1934), tra gli iniziatori della somatometria e per un periodo stretto collaboratore presso la Stazione Zoologica di Anton Dohrn a Napoli.
Se nel 1863, a Bologna, nelle sue lezioni di antropologia sull’antichità dell’uomo, il geologo e paleontologo Giovanni Capellini (1833-1922) aveva già difeso le teorie darwiniane, confortato dai reperti fossili rinvenuti durante il suo viaggio nell’America settentrionale, la sera dell’11 gennaio 1864 a Torino, nella celebre “lettura popolare” dal titolo L’uomo e le scimie, il medico e zoologo Filippo De Filippi (1814-1867) intratteneva un uditorio di non addetti ai lavori con la teoria dell’evoluzione per selezione naturale, dando così inizio al dibattito pubblico italiano su questi temi.
Formatosi tra Pavia e Milano, De Filippi era stato chiamato da Carlo Alberto alla cattedra di zoologia di Torino, che alcuni decenni prima era stata di Franco Andrea Bonelli, simpatizzante delle idee di Jean Baptiste de Lamarck. De Filippi riconosceva la portata “rivoluzionaria” delle idee di Darwin, che permettevano di spiegare i numerosi dati raccolti fino a quel momento e di aprire una nuova via agli studi naturalistici. Dimostrato il legame di parentela tra l’uomo e le scimmie sulla base di solide prove anatomiche e morfologiche, egli sottolineava però al contempo l’incolmabile differenza che tra l’uomo e gli animali rimaneva sul piano intellettuale, morale e religioso3, quasi a voler mitigare le prevedibili reazioni degli ambienti ecclesiastici, che non si fecero attendere.
Due anni dopo, il 22 marzo 1866, ebbe luogo a Modena una seconda celebre “lezione popolare”, dal titolo L’antichità dell’uomo, questa volta tenuta dallo stesso Giovanni Canestrini, alla cui preziosa opera di diffusione sarà inestricabilmente legato il nome di Darwin in Italia. Canestrini, laureatosi in filosofia e in scienze fisico-naturali a Vienna, esiliato a Genova nel 1859 per le sue idee irredentiste, dal 1862 professore di zoologia a Modena e dal 1869 a Padova titolare della cattedra di zoologia, anatomia e fisiologia, nel 1864 aveva tradotto per la prima volta in italiano – con il consenso di Darwin e l’aiuto del modenese Leonardo Salimbeni (1830-1889), poi docente di storia naturale e geografia al Collegio San Carlo – la terza edizione dell’Origine delle specie per i tipi di Zanichelli. Nel 1860 e nel 1862 l’opera rivoluzionaria del naturalista inglese era stata tradotta rispettivamente in tedesco e in francese. Nella breve prefazione i due curatori italiani sottolineavano la portata non solo scientifica dell’opera, la quale «tende a ridurre ai limiti più ristretti l’ingerenza immediata di una forza sopranaturale»4.
Il contributo di Canestrini non fu solo di divulgatore infaticabile, ma anche di ricercatore in diverse aree dell’“industria darwiniana”, in particolare nell’evoluzione umana, meritandosi una citazione nell’Origine dell’uomo. L’adesione alla teoria non fu però fideistica, ma riflessiva e critica: non lo convinceva, per esempio, un’applicazione troppo estesa della selezione sessuale come spiegazione dei caratteri umani. Suo fu anche il primo manuale universitario in tre volumi di zoologia e anatomia comparata (1869-1872), concepito da un punto di vista evoluzionistico.
Canestrini da solo curerà poi la seconda edizione italiana, definitiva, dell’Origine delle specie uscita per Utet nel 1875. Quello stesso anno “Carlo Roberto Darwin” fu eletto socio onorario della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena su proposta dello stesso Canestrini, e socio straniero della Reale Accademia dei Lincei, la più prestigiosa fra le numerose cariche onorarie che gli furono attribuite da società e accademie scientifiche italiane. Tra queste, la Società Italiana di Scienze Naturali con sede a Milano lo nominò socio corrispondente il 17 settembre 1868, in occasione del congresso di Vicenza, a cui partecipò anche uno studioso destinato ben presto a far molto parlare di sé, e non solo in campo medico-scientifico: lo psichiatra e criminologo Cesare Lombroso (1835-1909), professore a Pavia di clinica delle malattie mentali e antropologia, reso celebre da libri quali Genio e follia del 1872 o L’uomo delinquente del 1876.
Nel frattempo, nel 1865, Michele Lessona aveva sostituito a Torino De Filippi – che morirà a Hong Kong nel 1867 durante la spedizione della Magenta – divenendo un altro potente diffusore delle idee darwiniane nell’Italia unita (e traducendo ottimamente, fra l’altro, L’origine dell’uomo di Darwin, lo stesso anno della sua uscita in Inghilterra). Due anni dopo la comparsa della traduzione del 1875 di Canestrini, la teoria dell’evoluzione era ormai entrata in molte università della penisola, con i primi libri di testo e le introduzioni all’opera darwiniana. Numerose erano inoltre le opere di saggistica di carattere più o meno divulgativo a firma di autori italiani dell’emergente generazione positivista o frutto di campagne di traduzione di lavori internazionali5.
Dall’evoluzione allo studio del cervello: la scuola pavese
La diffusione della visione evoluzionistica coincideva con la nascita e lo sviluppo di discipline che in modi diversi studiavano l’uomo, la sua mente, il suo comportamento, la sua fisiologia, e anche il suo cervello, in un intreccio quasi indissolubile tra scienze biologiche e scienze umane, che a volte pendeva a favore di una visione riduzionista. Erano gli anni in cui si guardava all’uomo in rapporto alle sue origini animali, in cui si conducevano misurazioni antropometriche, si parlava di “razze”, si affermavano la neurologia e la psichiatria, la fisiologia e l’anatomia comparata facevano passi da gigante, si studiavano i popoli cosiddetti “primitivi” e “selvaggi” considerati come fossili viventi, resti di un’umanità preistorica primordiale ormai estinta, ci si interrogava sui meccanismi dell’ereditarietà, della follia, della degenerazione, dell’“atavismo” lombrosiano.
Per lo studio del cervello, tra Ottocento e Novecento, accanto a Torino, dove di questi temi si occuparono anatomisti quali Carlo Giacomini e Romeo Fusari, l’Università di Pavia si rivelò un centro particolarmente attivo, grazie alle ricerche di Camillo Golgi (1843-1926), professore di istologia e patologia generale, che per il suo lavoro sul sistema nervoso ricevette il premio Nobel per la medicina nel 1906. L’Università di Pavia godeva del resto di una fama scientifica di vecchia data. Già a metà Settecento la sua scuola anatomica era ben nota grazie ai nomi di Antonio Scarpa, Giovanni Rasori e Pietro Moscati, che in un discorso del 1770 intitolato significativamente Delle corporee differenze essenziali c...