Harald Szeemann. L'arte di creare mostre
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«Io non sono un critico. Sono un curatore...un poeta dello spazio.» Harald Szeemann
«L’allestimento dell’arte è la visualizzazione del piacere del rapporto con l’arte e della combinazione delle possibilità che da essa scaturiscono proprio quando la si ritiene autonoma.Allestire è amare.» Harald Szeemann
Una serie di conversazioni inedite di Harald Szeemann introducono a una attenta riflessione sul metodo di lavoro del curatore svizzero in rapporto alle principali mostre da lui realizzate, dalle collettive quali When Attitudes Became Form del 1969 alle mostre di scultura degli anni ’80, alle mostre tematiche quali Monte Verità alle personali di artisti quali Joseph Beuys e Mario Merz, alle Biennali di Venezia del 1999 e del 2001.
Szeemann è internazionalmente riconosciuto come uno dei maggiori protagonisti dell’arte contemporanea, inventore della figura del curatore così come la conosciamo a tutt’oggi e di un’originale metodologia curatoriale indissolubile dal suo pensiero anticonformista e dal suo idealismo. Nel corso della sua lunga e intensa carriera ha ideato ed allestito circa duecento mostre, numerose delle quali imprescindibili per la comprensione dell’evolversi della ricerca artistica contemporanea.
Nella seconda metà del Novecento l’allestimento delle mostre è divenuto un momento privilegiato di comunicazione e di riflessione artistica e culturale. Ambra Stazzone
Critico d’arte e curatrice, insegna Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Catania

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788868743093
Argomento
Art
Categoria
Art General

MUSEO DELLE OSSESSIONI

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Die Strasse, 1972
Grossvater, 1974
Le macchine celibi, 1975-77
Monte Verità, 1978-80
Der Hang zum Gesamtkunstwerk, 1983-84
Visionäre Schweiz,1991-92
Austria im Rosennetz, 1996-98
Dopo documenta 5 comincia una nuova fase della ricerca di Szeemann sulle potenzialità della mostra intesa come mezzo di espressione. Dalla volontà di realizzare mostre tematiche, imperniate su un concetto e tese alla sua visualizzazione, nel corso degli anni sono nate Die Strasse, Grossvater, Le macchine celibi , Monte verita, Der Hang zum Gesamtkunstwerk, e inoltre Visionäare Schweiz, Unexpected Swiss, Illusion-Emotion-Realitäat, Austria im Rosennetz fino ad arrivare alla sua ultima mostra, La Belgique Visionnaire, tutte facenti parte del “museo delle ossessioni”, suo utopico luogo mentale costituito dall’insieme di tutte le le idee e le opere di artisti, insider e outsider, caratterizzate da una forte energia che porta alla creazione di un progetto personale e spesso innovativo.
Die Strasse, Loeb Bern 1972
Die Strasse [La Strada] viene allestita nel’72 all’interno degli spazi delle vetrine dei grandi magazzini Loeb a Berna, con opere d’arte e documenti, quali ad esempio la riproduzione ingrandita della prima pagina di Dimanche-Le Journal d’un Seul Jour, Yves Klein, ‘60, con il fotomontaggio “Un homme dans l’espace” e il suo manifesto “Theatre du Vide”. [NOTA 7.1]
Szeemann nel progettare la mostra scrive: «Il fenomeno della “strada” è così ricco di varietà che è impossibile fare una ricognizione completa di tutti gli aspetti ad esso associati all’interno della struttura di una mostra. Ciò nonostante, per far sì che si possano vedere e sperimentare i molteplici aspetti, oltre che possibili associazioni e sviluppi, per raggiungere l’obbiettivo della mostra è stato scelto il seguente punto di partenza: Rendere possibile che il visitatore esperisca la strada come un’espressione dello schema della società in un particolare ambiente. Questo significa che la mostra si prefigge di sottolineare come la strada diventi la base delle attività interne ed esterne, come l’uso della strada e le sue forme reagiscano alla crescente complessità della società e quali conseguenze abbia per la strada la specializzazione della nostra società urbana. La complessità crescente è associata alla natura e all’entità delle attività umane: economia, traffico, aspetti formali e informali della società. […] E’ possibile per la nostra società vivere in uno stato di cambiamento continuo e qual è la funzione della strada in questo processo?»
A tale premessa segue uno schema dettagliato dell’organizzazione della mostra, comprendente temi da indagare oltre che opere e oggetti da esporre, con indicazioni riguardanti le istituzioni e i collezionisti a cui chiederli in prestito. [NOTA 7.2]
Szeemann: «Volevo fare un film sulla strada dove ho abitato a Berna, l’unica dove si sarebbe potuto vivere dalla nascita fino alla morte perché c’era tutto, era autonoma. Avevo scritto la sceneggiatura e questo mi aveva dato l’idea di realizzare una mostra. Ma dopo mi hanno chiamato per documenta 5…e allora ho lavorato su quel tema nelle vetrine dei grandi magazzini Loeb a Berna, che aveva le più grandi vetrine della città, più di cento metri di vetrine davanti alle quali passa ogni giorno tutta la città! Durante il periodo alla direzione della Kunsthalle di Berna avevo già collaborato con il signor Loeb e gli allestimenti delle sue vetrine erano sempre un avvenimento: avevamo mostrato qualcosa per Science Fiction, per la mostra sui giovani artisti bernesi, per Tinguely, Spoerri e altri. E allora mi sono detto “Facciamo una prova per questa mostra della strada sulla strada”. C’era anche il sindaco che riceveva i cittadini …queste cose si possono fare solo in una piccola città, come ha fatto Jan Hoet con Chambres d’’amis a Gent nel 1986, con i cittadini che aprivano le loro case per far lavorare gli artisti.»
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La mostra Grossvater - Ein Pionier wie wir [Nonno - Un pioniere come noi] è del 1974. Il sottotitolo viene suggerito a Szeemann dalla visita di piccoli musei, durante un viaggio compiuto dopo la realizzazione di documenta 5 nel deserto del Nuovo Messico, pieni degli utensili e delle vecchie fotografie dei pionieri. Ordina l’eredità del nonno, Etienne Szeemann, all’interno della casa di questi a Berna, e il giorno dell’inaugurazione il contratto di affitto dell’appartamento viene ceduto al gallerista Toni Gerber.
Scrive Jean Clair: «Harald Szeeman: personalità fuori dal comune nel piccolo mondo dei museografi. […] ogni sua mostra è stata una vera e propria creazione, nello stesso modo in cui intendiamo il termine parlando di artisti, nuova proposta che porta i suoi frutti […]. Per Szeemann, allo stesso modo, questa mostra è molto più che un omaggio reso a suo nonno: è un modello possibile per altre mostre […]».[NOTA 7.3]
Con la mostra Grossvater Szeemann tenta di ricostruire una vita ormai spenta non già tramite un racconto, come si fa di norma, ma tramite un’esposizione. Crea un’atmosfera che, nel succedersi dei vari ambienti, “evoca la presenza” del longevo nonno. Lungo i corridoi espone documenti sulla sua vita, tutto quello che potrebbe riportare alla mente il suo paesino d’origine in Ungheria e l’emigrazione.
All’interno delle varie stanze ripercorre tutta la sua vita, la sua passione per il collezionismo e la sua professione di parrucchiere.
Se la progressiva trasformazione delle opere da oggetti a concetti ha stimolato la realizzazione delle importanti mostre di Szeemann precedentemente analizzate, la sua nuova consapevolezza della mostra come mezzo di espressione determina la creazione di questa, che rappresenta un’esposizione tematica davvero di nuovo tipo e prelude alle importanti realizzazioni successive.
Szeemann: «La rappresentazione della sua vita era stata organizzata all’interno delle varie camere. Mostrando i mobili e gli oggetti c’era la sua presenza all’interno dello spazio. Le reliquie erano costituite dall’ambiente. All’entrata c’era la sua provenienza dall’Ungheria, poi c’era una tappa a Vienna, poi la sua stanza con i mobili e con tutte le immagini che collezionava, che non ho messo come le teneva lui ma in modo tematico: le immagini religiose sopra il letto, quelle di paesi lontani sopra la scrivania… una “macchina celibe” fatta con tanti quadri realizzati con capelli attorno ad una scatola dove c’erano tutte le sue cose preziose e anche quelle assurde…Poi un altro spazio con le immagini che collezionava. E poi c’era la sedia per la permanente, una sorta di strumento di tortura, per dire che attraverso la tortura si crea la bellezza.
Dunque era tutta una cosa poetica che mi ha dato molto perché poi, per caso, il giorno dell’inaugurazione la casa è diventata la galleria di Toni Gerber, dunque io sono uscito da quell’appartamento e Gerber si è occupato di tenere aperta la mostra. Cose che capitano! Sono venuti tutti a vedere la mostra: è venuto Boltanski, Merz, Sol LeWitt, Polke, la Sieverding… un pubblico tremendo! E poi tutte le vecchie signore che erano state clienti del nonno fino alla fine della sua vita e che dicevano che lui sarebbe potuto comparire da dietro un angolo…Volevo dare un altro senso all’idea di mostra…quando si fa una mostra e un catalogo di un artista scomparso, è chiaro che lo si fa per la sopravvivenza dell’artista, ma questo era un caso diverso. Era una ricostruzione completamente diversa dell’appartamento del nonno, era trovare il punto nel quale lui sopravviveva e io riuscivo a fare una mostra.»
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Dopo le prime mostre tematiche davvero di nuovo tipo Szeemann si dedica alla creazione di una mostra basata su un progetto che aveva in mente da anni - i primi appunti risalgono al 1967 – concepita e finanziata in totale indipendenza dalle istituzioni. Infatti solo dopo la preparazione Szeemann la propone a vari musei. Così Le macchine celibi tra il 1975 e il 1977 viene esposta in otto musei europei, alla Kunsthalle di Berna, all’interno della Biennale di Venezia del 1975, negli spazi dei Magazzini del Sale alle Zattere; al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles; alla Kunsthalle di Düsseldorf; al Musée des Arts Décoratifs di Parigi; alla Kunsthalle di Malmö; allo Stedelijk Museum di Amsterdam; al Museum des 20. Jahrhunderts di Vienna.
L’estrema peculiarità e innovatività della mostra consiste nel visualizzare, tramite opere, oggetti, documenti, ricostruzioni di macchine fino ad allora soltanto immaginate, il mito della “macchina celibe” che, pur legato ad un determinato momento storico, presenta molteplici punti in comune con aspetti dell’attualità.
Il concetto di “macchina celibe” viene usato per la prima volta da Marcel Duchamp per indicare la parte inferiore del suo Grand Verre o La mariee mise a nu par ses celibataires, meme, del 1915-23, nel quale è rappresentato il mondo dei celibi in tre dimensioni (il Cimitero delle uniformi e livree, formato da nove Stampi maschili, e il Tritacioccolato, una macchina animata da un moto perpetuo) opposto alla parte superiore dell’opera in “quattro dimensioni”, (la Zona della sposa con la Via Lattea o Iscrizione e lo Scheletro femminile della sposa). Szeemann nel concepire la mostra prende le mosse da Les machines celibataires del 1954, uno studio dello scrittore francese Michel Carrouges su alcune macc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INDICE
  5. PREMESSA
  6. INTRODUZIONE
  7. ARTE|MOSTRA|MUSEO
  8. CLIMA CULTURALE
  9. MOSTRA=EVENTO
  10. LAVORO SPIRITUALE (ALL’ESTERO)
  11. MITOLOGIE INDIVIDUALI
  12. MUSEO DELLE OSSESSIONI
  13. POESIA NELLO SPAZIO
  14. INTENZIONI INTENSE
  15. INTERRELAZIONI
  16. CONTINUA [...]
  17. POSTFAZIONE di Giacinto Di Pietrantonio
  18. NOTE
  19. BIBLIOGRAFIA