Un pianeta piccolo piccolo
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Un pianeta piccolo piccolo

  1. 304 pagine
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Un pianeta piccolo piccolo

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Nell'estate del 1982 un pescatore di perle turco scopre per caso un antico relitto vecchio di 3mila anni. Nello scafo, c'era dello stagno che veniva dall'Afghanistan ed era diretto a Micene in Grecia. Nell'età del Bronzo, il Mediterraneo era un grande mercato unico. La prima globalizzazione della Storia crollò perché era un sistema troppo fragile. Trenta secoli dopo, nel 2020, la Storia si ripete: la globalizzazione moderna si inceppa. Un'epidemia segna la fine di un mondo, della globalizzazione "madre e matrigna". Un periodo storico, plasmato dalla TurboFinanza si chiude e un nuovo ordine mondiale sorgerà: è la fine della Movida Economy, dei negozi tradizionali, del lavoro in ufficio e dei ristoranti, ultima incarnazione del consumismo. Sorge l'era della Home Economy: dalla spesa al lavoro, tutto si farà in casa. La Società Matrix, tutti chiusi nel proprio bozzolo virtuale, sta per diventare realtà.
Il Coronavirus, capace di interrompere 70 anni di pace e prosperità nel mondo occidentale, farà crollare il castello della globalizzazione costruito sul cemento, in apparenza solido, della finanza?

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788863458596
Argomento
Economia

1

Tulipani e Bitcoin

“Greed is Good”
G. Gekko (dal film Wall Street)

Se una mattina d’inverno un viaggiatore…

È una grigia e fredda mattina di inverno dei primi anni del Seicento al porto di Amsterdam. Il nome della città, sorta in una zona paludosa e quasi invivibile, non ha niente di fantasioso: è letteralmente “la diga sul fiume Amstel” (ma oggi Amstel è per tutti solo la marca di una birra, potenza del marketing). Non c’è quasi luce, e sotto nuvole basse un velo piovigginoso impercettibile bagna la banchina. All’orizzonte cielo e mare si fondono in un cupo tutt’uno. Il respiro esce sotto forma di condensa bianchissima dai nasi e dalle bocche delle persone sul molo. Alcuni sono portuali, robusti omoni vestiti solo con calzoni e una maglia, resi insensibili al gelo e al clima ostile. Altri sono distinti gentiluomini: indossano gli enormi cappelli broad-brimmed, doppietto e abiti a reticella, scarpe con tacco e bastone. Discutono del loro carico di spezie che dovrebbe tornare dalle Indie Orientali.
La finanza è nata in Olanda. A dire il vero, è nata molti secoli prima: la finanza è iniziata con la civiltà umana. Ma è al porto di Amsterdam che è nata ufficialmente, nella forma in cui oggi la conosciamo: la Compagnia delle Indie Orientali aveva un crescente bisogno di capitali per spesare i costosi trasporti via mare di spezie e cotone dall’Asia fino all’Europa. Le navi, allora a vela, impiegavano molte settimane, talvolta anche mesi, per il viaggio dalle città dell’India, piene di merci, fino all’Olanda, costeggiando tutta l’Africa. Sulle banchine di Amsterdam succedeva che spesso non si potesse aspettare tanto a lungo per ricevere il carico; oppure c’era necessità di chiudere subito i contratti, per incassare le fatture e il denaro. Il più delle volte, però, succedeva che i carichi nemmeno arrivassero: nel 1598, pochi anni prima, 22 navi della Compagnia delle Indie erano salpate verso oriente, ma solo la metà erano tornate. Un danno enorme. Serviva un sistema economico robusto: i mercanti dovevano trovare il modo per unire le loro risorse, ma facendo in modo che ognuno rimasse proprietario della propria quota. La soluzione arriverà cento anni dopo, ma nel frattempo alcuni mercanti iniziarono a comprare e vendere le spezie ancor prima che arrivassero fisicamente al porto, annotando transazioni e prezzi su pezzi di carta: inventarono così “i primi titoli finanziari” della storia, la contrattazione di un “bene” che ancora fisicamente non esiste. In realtà gli olandesi non avevano fatto altro che sviluppare un sistema già inventato secoli prima dai mercanti veneziani e dai banchieri fiorentini. In città, la famiglia di Van Der Bourse, nella loro casa, gestiva un albergo e i commercianti presero l’abitudine di incontrarsi lì per siglare i contratti e scambiarsi quei pezzi di carta, titoli, che rappresentavano virtualmente le merci: era nata la Borsa (dal nome della famiglia che la ospitava che a sua volta aveva origini latine), la prima al mondo. È sempre la Geografia che spiega la Storia degli uomini: l’Olanda è una terra inospitale, paludosa e malsana (non a caso i Romani, pur avendo dominato e colonizzato tutta l’Europa, non vi costruirono mai città e la lasciarono una zona disabitata), senza possibilità di coltivare niente, se non patate. Ma con i tuberi non si diventa ricchi: la patata infatti per secoli è stata il cibo dei poveri contadini, resi immortali da un celebre quadro di Van Gogh, il più famoso pittore olandese.
Quella terra fredda aveva solo una risorsa: il mare. E dunque la navigazione: ma la navigazione, per i popoli poveri, è una sola, la pirateria. Quando non c’è ricchezza, la soluzione più semplice è sempre rubarla a chi invece ce l’ha. Nel Medio Evo, mentre l’Impero romano si frantumava e le secolari rotte navali scomparivano, in Olanda i famigerati Vrijbuiters pian piano si convertono in commercianti marittimi, la forma evoluta della pirateria. Senza una storia alle spalle; senza aver avuto la Chiesa; senza aver vissuto il feudalesimo e le sue caste, con le distinzioni sociali tra nobili e plebe; tra i primi abitanti dell’Olanda hanno proliferato i semi di una società individualista, mercantile, basata sulla religione laica del Dio Denaro: una sorta di protocapitalismo. Nel Seicento quella piccola zona paludosa aveva sviluppato una fitta rete di rotte navali su tutti i mari allora conosciuti: i pirati si erano trasformati in marinai, usando le conoscenze accumulate in secoli di raid sulle coste dei Paesi vicini. Nacquero le Compagnie delle Indie, le due più grandi aziende di trasporti dell’epoca1. La scoperta dell’America trasformò una zona paludosa, derelitta e povera, in un avamposto strategico: per secoli svantaggiata dalla geografia, l’Olanda si ritrovò improvvisamente in una posizione privilegiata e proiettata verso il nuovo mondo. In soli quattro secoli, Amsterdam passò da un povero villaggio di pescatori di aringhe e di pirati al porto più grande e importante del mondo, sorpassando la “cugina” Antwerpen (la futura Anversa), 150 chilometri più a sud: qualche decennio prima era la città delle Fiandre la “capitale mondiale”, in quanto primo porto sull’Atlantico nato dalla necessità di commerciare i tessuti di lana. Quasi due secoli più tardi lo scettro di Caput Mundi passerà a Londra regina dei mari e della rivoluzione industriale, dove gli armatori olandesi, seguiti dai banchieri, si erano nel frattempo trasferiti. Il London Stock Exchange, inaugurato nel 1751, era stato creato dall’economista Thomas Gresham (quello famoso per la massima «La moneta cattiva scaccia quella buona») prendendo a modello la Borsa di Antwerpen (che era nata 40 anni prima).
Qualche secolo più tardi, un altro economista, Joseph Schumpeter, spiegherà che il capitalismo è la forma più evoluta di economia perché si rinnova di continuo (la “distruzione creatrice”) e perché trova sempre altri mercati dove approdare. Nel 1788, alla vigilia della Rivoluzione francese, le ultime banche olandesi rimaste falliscono, e Londra è il cuore del capitalismo. Poi anche Londra, circa 100 anni dopo, abdicherà a sua vola a favore di New York dove nascerà, non a caso, una Borsa destinata a diventare il nuovo fulcro dell’economia mondiale, raccogliendo un testimone che era passato per Babilonia al tempo di Nabucodonosor, Atene al tempo di Pericle, Alessandria d’Egitto al tempo di Alessandro Magno, Roma al tempo di Augusto e Costantinopoli sotto Giustiniano. Un fil rouge, per nulla casuale, lega Amsterdam e New York. Nel 1626 alcuni commercianti olandesi si presentano al cospetto dei Lenape, una tribù di indiani pellerossa che abitava la valle del fiume Hudson, con l’intento di comprare l’isola di Manhattan, un pezzo di terra disabitato alla foce del fiume.
Agli olandesi interessava la posizione strategica dell’isola, un porto naturale per i commerci tra il Nuovo Continente e la Vecchia Europa. I nativi pellerossa, che vivevano ancora a un livello primitivo paragonabile all’Età del Ferro, non avevano alcuna comprensione dei concetti di “acquisto” e “vendita”, non conoscevano il denaro, né tantomeno il concetto di profitto: accettarono un po’ di perline in cambio di un’isola di 87 km quadrati. Ancora una volta l’economia si intreccia con la geografia. A un prezzo che oggi sarebbe attorno ai 30 dollari, gli olandesi entrarono in possesso di Manhattan e vi fondarono un porto commerciale: Nuova Amsterdam. La città, però, poi finirà sotto il controllo degli inglesi che le cambieranno il nome in New York, la nuova città di York, in onore della storica capitale della corona britannica. Per difendersi dagli attacchi nemici, i coloni di Sua Maestà costruirono un alto muro al confine settentrionale della neonata città, l’unica zona debole e scoperta perché era sulla terraferma, mentre gli altri tre lati erano tutti sul mare: la via che costeggiava quel muro prese il nome di Wall Street. Lungo quel muro, nel frattempo scomparso, decenni dopo sarebbe sorta la prima Borsa d’America.

Bulbi & Bolle

Al Museum Boijmans di Rotterdam, c’è un grande quadro del pittore fiammingo Emanuel de Witte, che ritrae la Borsa di Amsterdam: dentro il cortile di un palazzo, uomini sono raggruppati in capannelli mentre si scambiano le azioni. Fu dipinto nel 1653, mezzo secolo dopo la nascita della prima Borsa valori del mondo. Come sempre l’arte, che di solito nasce da un facoltoso committente che paga qualcun altro affinché lo celebri e lo renda immortale, dà una versione enfatica e non affidabile della realtà: la “sala delle grida” assomiglia un po’ troppo al cortile di qualche palazzo rinascimentale e il cielo azzurro e terso che fa da sfondo è totalmente inverosimile per il clima della umida città del Nord Europa.
In quel cortile, trasfigurato in un parnaso economico dal pittore, la verosimiglianza dell’opera di De Witte era l’ultimo dei problemi: tutti erano impazziti per un fiore che veniva dall’Asia, il tulipano. I bulbi venivano comprati e rivenduti a prezzi folli che salivano all’impazzata. I tulipani sono il primo caso di euforia irrazionale di massa. Sono la prima bolla speculativa moderna.
Pare che i primi a scoprire l’esotico petalo siano stati i pastori nomadi dell’Asia centrale sulle pendici del Monte Pamir, a tremila metri di altitudine, nell’antica Persia2, gli stessi che un secolo e mezzo dopo affascineranno anche Leopardi che lì immagina un pastore errante. Ma in Olanda, i tulipani arrivarono da Vienna. L’ambasciatore austriaco era tornato da Istanbul (il nuovo nome di Costantinopoli dopo che gli ottomani l’avevano espugnata un secolo prima) con dei bulbi di un fiore curioso che aveva visto dentro le dimore arabeggianti più lussuose della città. Per ricrearli nel suo giardino, a Vienna, il diplomatico chiamò il maggiore botanico dell’epoca, tale Carolus Clusius. Il nome era latino, perché all’epoca era la lingua della diplomazia e della scienza, ma lo studioso era in realtà un olandese: finito l’incarico a Vienna a casa dell’ambasciatore, Carolus se ne tornò nel suo Paese e si portò dietro alcuni tulipani. Non poteva immaginare, che quei piccoli bulbi, conservati come ricordo, avrebbero segnato l’inizio di una immensa sbornia collettiva.
Tutti, ad Amsterdam, iniziarono a voler comprare bulbi di questa nuova pianta mai vista prima. La cupidigia e l’avidità raggiunsero il parossismo: si racconta che un ricco armatore invitò a colazione il capitano di un suo veliero, che era tornato sano e salvo (e soprattutto carico di merci preziose) a casa. Sulla tavola da pranzo imbandita, svettava un grosso bulbo di tulipano: lo sventurato capitano rimasto lontano per anni con la sua nave, nulla sapeva del nuovo, osannato, fiore. Lo scambiò per una cipolla e l’affettò: distrusse un rarissimo esemplare di Semper Augustus, tulipano di immenso valore. Curiosità: il Semper Augustus era una varietà inestimabile perché aveva delle strisce, cosa molto rara. Ma in realtà era colpa di un virus: il tulipano diventa striato perché ha una malattia, e dunque non avrebbe alcun valore, in quanto bene deperito. Ma siccome nel 1600 non era stato ancora inventato il microscopio, grazie al quale si possono scoprire i virus, tutti pensavano fosse una magia o una qualità rara. Anche il valore di un bene è finanza comportamentale. Sta di fatto che l’effetto scarsità produce la bolla: si dice che un singolo bulbo di Semper Augustus venne venduto da Adriaen Pauw, uno degli uomini ricchi d’Olanda, a 1.200 fiorini. Uno sproposito: il pittore Rembrandt, il più grande artista olandese di tutti i tempi, ricevette solo 1.600 fiorini per dipingere La Ronda di notte, capolavoro fiammingo della storia della pittura (oggi senza prezzo talmente pregiato). Tutti volevano i tulipani: nel 1633 un’epidemia di peste colpì l’Olanda. Per sfuggire a povertà e crisi, anche la gente comune si mise a commerciare in tulipani, ingolositi dal denaro facile. Il mercato si era concentrato sui bulbi: il bulbo non è ancora un fiore, ma un fiore potenziale; è come un seme. Comprando il bulbo si comprava una sorta di scommessa sulla fioritura. Ma all’epoca non si sapeva né quale qualità di tulipano sarebbe nato dal bulbo né di quale colore, perché i bulbi sono tutti uguali. Allora si era inventato un modo ingegnoso: si poteva comprare un bulbo versando un piccolo anticipo, e il resto sarebbe stato pagato alla fioritura. Molti compravano bulbi pagando un acconto e lo rivendevano il giorno dopo a un prezzo più alto. In un solo colpo, erano stati inventati i future e anche la leva: si compra una cosa che al momento non esiste, la si compra senza soldi e la si rivende senza averla mai avuta. Ma soprattutto era nata anche la speculazione. Forse, la Mela del paradiso terrestre è l’avidità.
L’armatore derubato del suo prezioso bulbo, fuori di sé, trascinò il comandante in tribunale: non era l’unico in balìa della smania del denaro. I giudici diedero ragione all’armatore: il marinaio fu condannato al carcere e pure deportato, per aver «creato un danno alla comunità». La sbornia era collettiva. Poco dopo, a gennaio del 1637, i prezzi dei tulipani crollarono: ormai i costi erano così alti che nessuno voleva o poteva comprarne e tutti iniziarono a vendere, per portare a casa i guadagni. Dovette intervenire il governo per evitare tumulti e rivoluzioni: tutti i contratti sui bulbi vennero liquidati al 10 per cento. L’esplosione della bolla sprofondò l’Olanda in una depressione economica che sarebbe durata decenni. E che di fatto sancì la fine di Amsterdam come Borsa mondiale: i soldi si trasferirono a Londra. Ma i bulbi, ormai entrati nella vita quotidiana e nella cultura popolare, rimasero. Ancora oggi l’Olanda è il maggiore produttore mondiale di tulipani. Le bolle passano, l’industria nata sulla scia dell’onda speculativa, o di un’invenzione, resta.

Padre Nostro della globalizzazione

“Permettetemi di controllare la moneta
di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi”
M. A. Rothschild
Passeggiando lungo la salizada San Moisè a Venezia, quasi nessuno dà troppa importanza alla chiesa barocca che dà il nome alla via e al campo (piazza). In tempi normali sarebbe un fiume di turisti cinesi e gondolieri che cercano clienti urlando in dialetto veneto: si trova lungo il tragitto che va dal Ponte di Rialto a Piazza San Marco. È una zona ormai assediata dalle boutique di lusso, da Hermes a Louis Vuitton, tutte uguali ovunque nel mondo, e dagli onnipresenti negozietti di souvenir, che hanno trasformato la città più bella del mondo, in uno shopping mall a cielo aperto. A Venezia il souvenir più venduto è la maschera del carnevale, quella con il naso lungo, chiamata “Medico della Peste”. I turisti la comprano perché è buffa, ma non sanno che in realtà non ha niente di divertente: la usavano i dottori per proteggersi quando visitavano gli appestati. A Venezia, le epidemie scoppiavano con frequenza: essere la capitale mondiale del commercio portava prosperità; i mercanti veneziani dominavano il mondo ed erano i più ricchi d’Europa. Una forma di mini-globalizzazione basata sui commerci a lungo raggio. Ma c’erano anche effetti collaterali. Le navi che approdavano da tutto il mondo si portavano dietro anche virus sconosciuti che poi falcidiavano la popolazione. In un’epoca che non conosceva antibiotici e vaccini, che sarebbero stati inventati solo molto dopo, quella maschera era il rimedio della scienza antica alla malattia. Secoli dopo, i virus arrivano lo stesso dai commerci, che ora sono globali; e la gente è costretta a indossare mascherine di plastica usa e getta. Difficilmente le vede come un souvenir.
Nessuno dei turisti, che a Venezia compra ignaro una mascherina antivirus vecchia di secoli, si ferma a visitare San Moisè. Se lo facesse, potrebbe ammirare uno dei capolavori del Tintoretto: La lavanda dei piedi. Ma il vero tesoro della chiesa non è il dipinto barocco, ma una scritta consunta in latino. È sul pavimento a quadrati bianchi e rossi: tutti la calpestano nel più totale disinteresse. Non è segnalata nemmeno nella mappa turistica della chiesa. Recita:
HONORI ET MEMORIA JOANNIS LAW EDINBURGENSIS REGII
GALLIARUM AERARII PRAEFECTI CLARISSIMI
MDCCXXIX AET. LVIII DEFUNCTI
Sotto quella pietra è stato sepolto John Law, di Edinburgo, prefetto dell’Erario (ossia ministro del Tesoro) del re di Gallia (ossia di Francia) morto nel 1729 all’età di 58 anni. Qui è sepolto l’uomo a cui la globalizzazione e la finanza devono (quasi) tutto. Prima dell’arrivo di Napoleone, i cimiteri non esistevano: i ricchi venivano sepolti nelle chiese, sotto i pavimenti; i poveri scaricati in fosse comuni. La morte era monopolio della Chiesa. Quando il condottiero francese conquista il Nord Italia, e fonda la Repubblica Cisalpina, la prima cosa che fa è far costruire cimiteri moderni. Uno dei cittadini veneziani più famosi al mondo, Ugo Foscolo (che era nato a Zacinto, oggi Zante, isola greca della Repubblica Serenissima), scrive il suo capolavoro I Sepolcri, proprio per celebrare la salubre riforma dei francesi. Poco dopo se ne sarebbe pentito: per colpa di Napoleone, dovrà lasciare l’Italia. Quello che Foscolo non sapeva era che se lui fu costretto a vivere da esule, e se l’Impero secolare di Venezia crollò miseramente, la colpa era proprio di quella persona sepolta nella sua città, quasi un secolo prima. Senza Law, o meglio senza le sue truffe, la Rivoluzione francese non sarebbe mai scoppiata. E Napoleone non avrebbe mai invaso la Repubblica Serenissima.
Michele Sindona o il Cardinale Marcinkus, le opzioni di Borsa Apple e le carte di credito non sarebbero mai esistiti se non ci fosse stato Law, prototipo del banchiere spregiudicato e cinico. Nato nella fredda e inospitale Scozia, Law segue l’esempio di tanti nordici che migrano a sud al caldo del Mediterraneo, dove finirà la sua vita sotto i ponti di Venezia. Truffatore, genio dell’azzardo, uomo politico e speculatore. Oggi lo si chiamerebbe un “monetarista”, un economista della teoria monetaria. Ha inventato le società per azioni, le banconote, l’idea di banca centrale che stampa soldi all’infinito, e pure le truffe che oggi si chiamano schema Ponzi.
Law è un micidiale miscuglio culturale, nato in una terra povera, cattolica e molto attaccata al denaro, proprio per la sua mancanza, ma figlio di un protestante usuraio (mestiere che solo un non cattolico potrebbe fare, visto che la Chiesa vietava il prestito di denaro), dunque cresciuto in un’ambiente anticattolico e adoratore del denaro, cosa che sarà ancora più rafforzata dal suo ingresso nella massoneria: la loggia Mary’s Chapel di Edimburgo è considerata la madre della massoneria contemporanea. Il portentoso e irripetibile connubio tra etica protestante (dove il denaro è il segno della grazia divina) e affiliazione massonica (il cui credo è l’idea di un «disegno universale» da parte del «grande architetto del mondo» che può coincidere con Dio ma non necessariamente) crea un personaggio inarrivabile e unico.
Gira tutta l’Europa, con la sua idea rivoluzionaria: condannato a morte a Londra per non avere ripagato i suoi debiti, fugge ad Amsterdam dove risolve il problema che affliggeva da un secolo gli armatori. Inventa la joint-stock company, la moderna compagnia per azioni. Ma Law pensa in grande: perché limitarsi a salvare solo le compagnie marittime? Law è il Copernico della finanza: intuisce che la moneta genera se stessa; è solo un ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione di Daniele Capezzone
  6. Dietro le quinte
  7. Apocalypse Now
  8. Capitolo 1. Tulipani e Bitcoin
  9. Capitolo 2. Ferrovie, bacilli e dogi veneziani
  10. Capitolo 3. Wall Street & the City
  11. Capitolo 4. Il Paese dei balocchi
  12. Capitolo 5. I Ricchi & Poveri
  13. Capitolo 6. Trenta anni vissuti pericolosamente
  14. Capitolo 7. Apocalittici o integrati
  15. Bibliografia letteraria
  16. Bibliografia scientifica
  17. Articoli
  18. Fonti dai Social media
  19. Ringraziamenti