Addio alle urne
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Addio alle urne

  1. 256 pagine
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Affrontando con rigore e disincanto il «feticismo del voto», Dupuis-Déri fa al contempo un elogio dell'astensione che mette in causa lo stesso principio di rappresentanza, ovvero il mito fondatore delle democrazie occidentali. Un principio che per legittimarsi poggia su un ben preciso rituale – il voto – il cui scopo è alimentare la convinzione che il popolo parli davvero per bocca dei suoi rappresentanti. Ma basta uscire dalla retorica politica per accorgersi che le urne elettorali, il luogo sacro di questo rituale, sono sempre più disertate, e per una molteplicità di ragioni che vanno ben oltre quella «indifferenza» o «incompetenza» politica spesso invocate per liquidare un rifiuto che intacca le basi stesse del sistema elettorale. Oggi infatti l'astensionismo, pur continuando a essere biasimato, denigrato e talvolta persino perseguito, si va sempre più affermando come pratica politica consapevole. E in effetti, davanti a dinamiche di potere sempre più svincolate dalle cariche elettive e a «maggioranze» parlamentari che sul totale della popolazione sono di fatto esigue minoranze, oggi la domanda che ci si deve porre non è più perché la gente non vota, ma perché mai continua a votare.

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Informazioni

Editore
Eleuthera
Anno
2021
ISBN
9788833021386
Cancellazione
Il primo giorno in cui è stata avviata la revisione delle liste elettorali, mi sono presentato negli uffici del Directeur général des élections du Québec (dgeq) a Montréal. Al banco della reception c’era un giovane che leggeva un romanzo. Mi ha lanciato uno sguardo distratto e mi ha indicato la sala d’attesa, in cui c’erano una ventina di sedie vuote schierate davanti a una parete di vetro. La parete di vetro dava su un ufficio dove c’erano quattro donne tutte affaccendate alle loro scrivanie stracolme di schede e cartelle. Una di loro mi ha invitato a entrare. A quanto pareva, ero il loro unico cliente. Quando ho chiesto di essere rimosso dal registro elettorale, hanno sgranato gli occhi perché probabilmente si aspettano di ricevere soprattutto persone che vogliono aggiungere il loro nome o modificare questa o quella informazione nella loro scheda.
«Perché vuole essere cancellato dal registro?», mi ha chiesto una di loro.
«Io non voto».
È seguito un lungo silenzio in cui ho percepito che si trattenevano dal farmi altre domande. Una donna seduta dietro un computer ha cominciato a compilare un modulo di cancellazione, dopo avermi chiesto un documento d’identità per confermare che fossi davvero io. Si è subito fermata, non sapendo quale motivo indicare per la mia cancellazione. Il modulo offriva alcune opzioni: «l’elettore non abita all’indirizzo indicato nel registro elettorale»; «la persona è sotto tutela»; «la persona è deceduta»; «la persona non è qualificata a votare». Le ho chiesto di selezionare la casella corrispondente a «una decisione personale dell’elettore di non essere iscritto nel registro». Per una curiosa coincidenza, in quel momento la rete informatica del dgeq è andata in panne in tutta la provincia [lo Stato canadese è composto da 10 province e 3 Territori; N.d.T.]. Lo schermo si è bloccato. Un funzionario che lavorava in un altro ufficio si è precipitato nella stanza, piuttosto preoccupato, subito seguito da un altro, poi un responsabile ha chiamato l’ufficio di Québec City per avere ragguagli sulla situazione. Nella stanza si è riunita una piccola folla. Dato che il sistema informatico si rifiutava di riavviarsi, uno dei funzionari ha trovato una copia cartacea del modulo in un raccoglitore e l’ha compilata a mano sotto la supervisione di un collega. Finalmente mi sono ritrovato all’aria aperta fuori dall’edificio, con in mano una copia del modulo che confermava che ero ufficialmente un apostata del parlamentarismo. Non votavo ormai da una ventina d’anni, ma ero comunque sopraffatto da una strana sensazione, come se avessi commesso una trasgressione riprovevole o un peccato mortale, come se la mia scelta mi stesse condannando alla riprovazione sociale e alle fiamme eterne dell’inferno.
Cena o imboscata?
Va detto che mi ha sempre stupito l’insistenza con cui la gente cerca di convincermi che sbaglio a non votare, e che si deve come minimo dare il proprio voto al «meno peggio» tra i partiti per impedire l’elezione di un qualche politico cattivo o per promuovere l’adozione di una qualche misura importante. Ho finito per evitare gli inviti a cena nel periodo delle elezioni per paura dell’ennesima imboscata, di solito poco prima del dessert. Per fortuna la mia compagna, che opta anche lei sempre più spesso per l’astensione, ma in modo più discreto di me, mi difende chiedendo ai commensali di lasciarmi in pace e ricordando che siamo a una cena, non a un processo politico. In ambito accademico, gli studiosi che si interessano ai meccanismi del voto chiamano «coercizione elettorale familiare» la fortissima pressione che può essere esercitata dai familiari o dagli amici intimi per costringere le persone a votare, specialmente per questo o quel partito.
L’astensionista: un essere spregevole
«Come potremmo mai giustificare la decisione di astenersi dal voto, qualunque sia il ragionamento che ha potuto motivarla?», si chiede il dgeq in una lettera aperta1. In Francia, un collettivo che si è posto l’obiettivo di incoraggiare la partecipazione degli elettori ha deciso di chiamarsi «Penso, dunque voto»2. Va bene, abbiamo capito il punto: chi si astiene è stupido e ignorante. Niente di nuovo sotto il sole. Negli anni Trenta del secolo scorso, il dizionario Larousse definiva l’astensione come un «oblio egoista e biasimevole». Nel 1946, un Comité National contre l’Abstention ha affisso dei manifesti sulle mura delle città francesi per proclamare l’intenzione di rivelare pubblicamente i nomi degli astensionisti3. Questo la dice lunga sullo stigma legato all’astensionismo, ma anche sulla volontà e il desiderio diffuso di umiliarli pubblicamente per la loro mancanza di civiltà, la loro immoralità, il loro vizio. Nel 1953, il giornale di Lione «Le Progrès» ha impartito la lezione seguente ai potenziali elettori: «In una democrazia, l’astensione è sempre una colpa grave che porta alle peggiori catastrofi. Bisogna votare»4 (corsivo mio). Tale disprezzo si esprime ancora oggi nei media, che glorificano invariabilmente la partecipazione e associano senz’altro l’astensione alla bassezza, alla decadenza, al nulla, oppure all’inerzia, alla passività, alla pigrizia, se non a una patologia grave. Si dice che l’astensione abbia «scatenato il caos», e si parla di una «pessima pagella per il corpo politico». L’impulso naturale di un individuo sano, sembra di capire, sarebbe quello di andare a votare, di correre alle urne. Alla rappresentazione positiva della partecipazione e a quella negativa dell’astensione concorre anche l’uso di un vocabolario militare: l’elettorato «non si è mobilitato» o si è «smobilitato», «astenersi è come disertare», o «il contrattacco si sta organizzando» per fare fronte all’astensione, dato che «ci si impegna su più fronti per spingere i giovani alle urne». A causa del tasso di astensione, la situazione è «allarmante», «angosciante», «preoccupante», anzi è un «disastro civile»5. Durante le elezioni provinciali in Québec del dicembre 2008, il conduttore della tribuna elettorale andata in onda la sera stessa su Radio-Canada ha reagito al dato sull’affluenza alle urne, pari al 57%, commentando che si trattava della «peggiore affluenza alle urne della storia»6 e sostenendo che era qualcosa di «abominevole e imbarazzante» perché faceva sembrare il Québec un paese del «Terzo mondo» (benché ci siano paesi del «Terzo mondo» che hanno tassi di affluenza alle urne superiori al 90%). Questo tasso è sembrato ancora più deludente in quanto il responsabile del dgeq, Marcel Blanchet, si era rivolto personalmente ai giornali durante la campagna elettorale firmando un Appello agli elettori del Québec: «Sento il dovere di ricordare ai cittadini del Québec l’importanza e la portata dell’esercizio del diritto di voto, uno dei diritti più preziosi». E proseguiva sottolineando che «il diritto di voto comporta necessariamente una responsabilità, quella di esercitarlo» e che «invitare all’astensione […] era da irresponsabili»7 (corsivo mio).
Votate ora o tacete per sempre…
L’implacabile impegno profuso per combattere l’astensionismo ci porta a credere che gli elettori8 vogliano più che altro convincersi dell’importanza del proprio voto e della propria grandezza morale e politica. Trascinati dal loro proselitismo, oppure in preda alla disperazione, questi sostenitori del sistema elettorale avanzano persino argomenti che non hanno nulla a che vedere con la realtà politica, come l’idea che chi non compie lo sforzo di andare alle urne rinuncia per ciò stesso al diritto di lamentarsi del governo. Negli Stati Uniti, l’irriverente comico George Carlin non è di questo avviso:
Il giorno delle elezioni, resto a casa. Non voto. Che si fottano! Che si fottano! Non voto. Non voto, e non lo faccio per due motivi. Prima di tutto, non ha alcun senso. Questo paese è stato comprato, venduto e pagato molto tempo fa. E poi non voto perché credo che se voti, poi non hai il diritto di lamentarti. Lo so, alla gente piace cambiare le carte in tavola e dire il contrario: «Ah, se non voti, non hai il diritto di lamentarti». Ma che logica è? La responsabilità è vostra: se votate ed eleggete questi individui incompetenti e disonesti che una volta in carica non fanno altro che casini, siete voi la causa del problema, siete voi che avete votato e siete voi che li avete messi lì. Quindi siete voi a non avere il diritto di lamentarvi! Quanto a me, che non ho votato, e di fatto il giorno delle elezioni non ho neppure messo il naso fuori di casa, non ho alcuna responsabilità per quello che fa questa gente, e quindi ho tutto il diritto di lamentarmi del casino che avete fatto, con cui non ho niente a che spartire9.
Ospite in una tribuna politica televisiva, il comico ha anche sostenuto, in chiave più seria, che «le elezioni e i politici stanno lì apposta per darci l’illusione che ci sia una libera scelta, ma in questo paese non c’è ...

Indice dei contenuti

  1. Epigrafe
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Nota all'edizione italiana
  5. Ringraziamenti
  6. Addio alle urne
  7. Postfazione
  8. Bibliografia