V. Valore e ruolo del principio costituzionale della solidarietà nello sviluppo, produzione e distribuzione dei vaccini
di Carlo Casonato e Marta Tomasi
1. Introduzione.
Nel corso di quella che ci siamo abituati a conoscere come «la prima ondata» della pandemia da Covid-19, una frase veniva costantemente ripetuta, in forma di auspicio: «non torneremo più ad essere gli stessi». Il lato positivo, la finalità «pedagogica» della tragedia che aveva appena investito il mondo sembrava risiedere in un potenziale rigenerativo, nella possibilità di cambiare, di rompere con molte abitudini e maniere del passato.
L’emergenza, in particolare, si è presentata come «disattivatore» di alcune tendenze che si erano radicate in maniera profonda nell’ambito della medicina.
La principale è quella dell’affermazione di diritti puramente individuali alla salute e alla vita, legati alla promozione delle connesse possibilità di scelta; affermazione che negli ultimi decenni ha costituito il focus centrale – seppure non unico – delle riflessioni giuridiche in ambito medico. E in effetti, la devastante potenza del virus Sars-CoV-2 ha, almeno in un primo momento, ricordato a tutti quanto la salute individuale e quella collettiva siano intimamente connesse e quanto l’agire del singolo debba essere commisurato a un più ampio contesto di relazione. Il volto della salute, inteso come interesse della collettività, si è posto come limite alle pretese della libertà individuale, richiamando sulla scena la centralità della funzione pubblica e sociale dello Stato1.
In tale scenario, fortemente connotato da spinte orientate all’attenzione nei confronti dell’altro, il vettore al quale ci si è principalmente affidati è stato quello della solidarietà. Questa può essere intesa non solo come obiettivo di natura etica, ma anche quale vero e proprio principio giuridico, che trova riconoscimento nell’art. 2 della Costituzione italiana. Nella Carta del 1948, infatti, la garanzia dei diritti e la tutela della dignità umana sono, sin dalle origini, strettamente legati al concetto di solidarietà. Come ha chiarito la Corte costituzionale, il principio della solidarietà trova collocazione «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale»2. La convivenza sociale, dunque, il «vivere insieme», chiede che ciascuno agisca responsabilmente nell’orizzonte della solidarietà.
Tale principio, che dovrebbe pervadere ogni ambito della società, ha trovato significative applicazioni anche nella medicina e nella ricerca biomedica, in particolare nel campo delle vaccinazioni. Questo ambito trova la propria collocazione ontologica al punto di snodo fra la dimensione individuale e quella collettiva della salute e in esso si gioca una partita fondamentale per ricostruire un vivere comune3.
A più di un anno dall’inizio della crisi (almeno in Italia), si può avanzare una prima analisi in punto di concreto rispetto e tangibile applicazione del principio di solidarietà, tanto da parte dei singoli, quanto da parte delle istituzioni pubbliche e di alcuni attori privati.
Nelle prossime pagine, si procederà a descrivere brevemente in che modo il richiamo alla solidarietà abbia consentito un primo, significativo passo verso l’uscita dalla crisi, permettendo il rapido sviluppo dei vaccini necessari a contrastare la diffusione del virus (par. 2). Di seguito, si verificherà se e come le iniziali spinte solidaristiche, ingenerate dal momento della crisi, si siano assestate nel tentativo di ricostruzione della normalità, cosa ne sia rimasto e che cosa se ne sia perso (par. 3). Al termine, si proporranno alcune brevi riflessioni sui caratteri del principio solidarista nell’era post-pandemica (par. 4).
2. La crisi come «attivatore» della solidarietà.
Sin dagli esordi della pandemia, la promessa di un vaccino efficace si è posta come l’obiettivo principale da conseguire al fine di giungere prima possibile a una soluzione della situazione di crisi. Lo sviluppo di nuovi vaccini, tuttavia, richiede significativi investimenti, in termini di tempo e denaro, con la conseguenza che gli sforzi individuali risultano spesso vani e scarsamente risolutivi4.
La pressione del virus e la conseguente esigenza di individuare una soluzione in tempi brevissimi hanno imposto un adeguamento ai tempi dell’emergenza delle regole etiche e giuridiche che classicamente presidiano i trials clinici, necessari alla produzione del vaccino, tanto che alcuni prodotti sono entrati in fase di sperimentazione dopo sole poche settimane dalla dichiarazione dell’inizio della pandemia e i primi vaccini sono stati approvati già undici mesi dopo.
Si tratta di un risultato scientifico straordinario che è stato possibile, in sintesi, grazie a un approccio solidale.
Si pensi, in particolare, alle eccezionali e inedite forme di cooperazione fra ricercatori che si sono andate costruendo, contro ogni nazionalismo5. Così, per esempio, quando il nuovo virus è stato identificato nel gennaio 2020, la sua struttura genetica è stata resa accessibile online in pochi giorni. Lo stesso risultato, nel 2003, con l’epidemia di Sars aveva richiesto quasi tre mesi. Intorno a questa sequenza gli scienziati nel mondo si sono immediatamente messi al lavoro, cimentandosi in nuovi approcci collaborativi alla scienza.
In questo senso, si può fare riferimento al Public Statement for Collaboration on Covid-19 Vaccine Development (Oms, 13 aprile 2020), sottoscritto da scienziati, medici, finanziatori della ricerca e produttori che hanno scelto di aderire a una collaborazione internazionale, coordinata dall’Organizzazione mondiale della sanità, volta ad accelerare i tempi per la produzione di un vaccino, facendo ricorso a forme di cooperazione (per esempio la condivisione dei dati acquisiti), funzionali a ridurre le inefficienze e contenere la moltiplicazione degli sforzi. Dall’aprile 2020, la partnership «Access to Covid-19 Tools (Act) – Accelerator», lanciata dall’Oms e da alcuni partner, ha sostenuto il più rapido, coordinato ed efficace sforzo globale verificatosi nella storia per sviluppare strumenti di contrasto a una malattia. Covax è uno dei tre pilasti di Act-Accelerator, volto a garantire un accesso equo ai vaccini a livello globale. Coordinato da Gavi, Vaccine Alliance, Coalition for Epidemic Preparedness Innovations e Oms, Covax si propone di agire come una piattaforma in grado di sostenere la ricerca, lo sviluppo e la produzione di una vasta gamma di candidati vaccini e di negoziarne il prezzo. La promessa è che tutti i paesi partecipanti, indipendentemente dai livelli di reddito, abbiano uguale accesso a questi farmaci una volta sviluppati6.
Ancora, enormi quantità di dati sono state quotidianamente rilasciate da server pre-print, prima che fossero iniziati i processi di peer-review, e le riviste scientifiche hanno velocizzato le loro procedure di revisione per garantire una rapida fruizione dei contenuti7. Numerosi trials sono stati avviati in collaborazione fra più laboratori e istituzioni. Si è assistito, dunque, a forme di «ricerca collaborativa» inedite e straordinariamente efficaci8.
Oltre alla collaborazione e alla condivisione, un ruolo centrale è stato giocato dai cospicui investimenti, provenienti sia dal pubblico che dal privato. Ingenti somme di denaro hanno consentito alle aziende produttrici di vaccini di avviare sperimentazioni su larga scala, di condurre diverse fasi della sperimentazione in parallelo e anticipare addirittura la produzione rispetto all’approvazione del prodotto. L’esempio più significativo è quello dell’Operation Warp Speed negli Stati Uniti, che ha stanziato più di 12 miliardi di dollari per i produttori di vaccini9. In Europa le cifre si attestano intorno ai 2,8 miliardi di euro, concessi alle compagnie che si impegnavano in tale fase iniziale, quota destinata ad essere poi recuperata attraverso uno sconto da riconoscersi sulla vendita delle dosi10.
Infine, è bene ricordare che, accanto alla solidarietà interna alla comunità scientifica e a quella mostrata dai finanziatori pubblici e privati della ricerca, un ruolo fondamentale è stato giocato dalla disponibilità di persone che, volontariamente, si sono prestate ad essere inserite nelle sperimentazioni cliniche.
L’esempio più significativo e problematico, in questo senso, è dato da coloro che hanno dato la propria disponibilità a partecipare ai cosiddetti Human Challenge Studies, studi di infezione umana controllata, basati proprio sulla sottoposizione di persone sane agli agenti patogeni – il virus Sars-CoV-2 in questo caso – al fine di testare l’efficacia del vaccino. Lo scopo è quello di infettare i volontari con la dose più bassa possibile per innescare la replicazione virale, avviando la risposta immunitaria, ma minimizzando i sintomi. Queste pratiche sollevano importanti interrogativi circa la loro validità scientifica (non essendo facile estendere i risultati ottenuti in adulti giovani e sani alle fasce più deboli della popolazione), ma soprattutto dubbi di natura etica (trattandosi di una malattia fortemente invalidante per la quale non esistono terapie risolutive)11. E tuttavia, l’importanza dell’obiettivo da raggiungere, ha fatto sì che in alcuni ordinamenti il bilanciamento fra tutela dei diritti dei partecipanti e progresso della conoscenza sia stato risolto in favore di quest’ultima, consentendo l’avvio di uno di questi studi, che sarà condotto nel Regno Unito, sotto la guida dell’Imperial College London, con un investimento da parte del governo di quasi 34 milioni di sterline12.
In generale, peraltro, l’accelerazione dei tempi della ricerca non può comportare la rinuncia ad alcuno dei principî che regolano la sperimentazione clinica e dei diritti delle persone che vi prendono parte. Al riguardo, nel settembre 2020, i vertici di AstraZeneca, BioNTech, GlaxoSmithKline, Johnson & Johnson, Merck, Moderna, Novavax, Pfizer e Sanofi si sono pubblicamente impegnati a sostenere l’integrità del processo scientifico nello sviluppo dei vaccini, a rispettare i più elevati standard etici e a intendere la sicurezza e il benessere dei partecipanti come un obiettivo sempre prioritario13. Più di recente, il Joint Statement di Ibc e Comest dell’Unesco (24 febbraio 2021) ha confermato, fra l’altro, la necessità di rispettare i cardini del metodo scientifico in termini di qualità e sicurezza, i principî della research integrity e la valutazione dei protocolli da parte di un comitato etico indipendente14. In termini generali, inoltre, si sono confermati i diritti dei partecipanti a una informazione accurata e alle garanzie di sicurezza ed efficacia dei composti che si propongono per la commercializzazione. Per quanto possa apparire contraddittorio, come è stato ben sintetizzato, «urgency demands patience»15....