Frattempi moderni
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Frattempi moderni
Informazioni sul libro
All'improvviso tutto è cambiato e, in un paio di decenni, il progresso tecnologico ha avuto un'accelerazione tale da far scomparire il mondo di prima, proiettando l'essere umano in un qui e ora costante e al contempo sfuggente, in un quotidiano che, anche solo meno di mezzo secolo fa, sarebbe stato etichettato come fantascienza. Il presente è impalpabile, velocissimo, sfugge di mano e si allontana dallo sguardo costringendo le persone a un continuo fare, pensare, capire. Chi oggi ha più di trent'anni rappresenta l'anello di congiunzione, il ponte tra due mondi lontanissimi, il testimone di un passaggio epocale. Raccontarlo sembra agli autori di questa antologia un dovere generazionale, una sorta di libretto di istruzioni per gli umani che verranno.
Domande frequenti
Informazioni
Un certo Andrea
Federica Sgaggio
Siamo a cena in un ristorante col giardino.
Peso 54 chili. Più magra di così — e senza intenzione — solo il giorno del mio matrimonio.
La serata è fresca, Andrea mi sembra strano. Sfuggente.
Mi sbaglio. Immagino di sbagliarmi.
Ci abbracciamo stretti. Ci baciamo. Ci baciamo bene.
Cammina male, non è mai andato a fare i raggi al piede.
Ci sediamo al tavolo. Controlla il telefonino.
Il menu è pieno di cose buone.
Ordina un calice di vino rosso. Forse non ci siamo baciati così bene.
Sa che detesto l’odore del vino rosso. Mi sta dicendo qualcosa: lo intuisco allora, ne sono certa adesso che mi sembra di non riuscire a respirare senza degli occhi di velluto che guardano i miei #74867d e ci si diluiscono dentro e mi accendono la luce e mi ridanno la vita, adesso che ho paura che la vita non mi darà mai abbastanza tempo per ritornare liquida e sonora e questo mio invecchiare mi lascia frantumata a terra in mille piccole schegge opache e morte.
Digita un messaggio. Mi racconta del gatto che si è installato nel cortile di sua sorella.
Dice che si deve assentare un attimo, «scusami».
Torna. Non mi ricordo se prendiamo un dolce.
Dopo la cena entriamo in macchina. Mi avvicino. Rimane fermo.
Risponde ai miei baci, poi si blocca. Chiude gli occhi, mi guarda, irrigidisce il collo, si scioglie.
«Marghe, devo andare. Domani mattina mi sveglio presto».
Ma mi ami?, gli chiedo.
«Sì».
E perché sei così strano?
«Strano?», mi chiede.
Strano, gli dico.
«Non sono strano. Sono solo stanco».
C’è qualcosa, gli dico.
«No, è che», mi dice.
È che, cosa?
«Niente, dai», mi dice.
No, dimmi, gli dico.
«Giulia mi ha detto che c’è il tetto della casa da rifare. Non so dove prendere i soldi», mi dice.
E sei in ansia, gli dico.
«Scusa, amore. Non volevo farti preoccupare. Ci sentiamo domani».
WhatsApp mi segnala un messaggio.
«Andiamo a Viterbo?», mi chiede.
Viaggiare è inevitabile: non abbiamo una casa, i bambini stanno con me, Andrea vive a casa di altri.
Viterbo? A fare che?
«Viterbo è bellissima, amore. E se fosse bruttissima non ci importerebbe niente».
Abbiamo tutto, noi abbiamo tutto.
C’è un gran vento.
La finestra si affaccia sul Canale d’Irlanda.
Nell’acqua c’è un gruppo di persone a cavallo.
«Ti amo», mi dice. «Non ho voglia di uscire».
Ti amo, gli dico. Torniamo a letto.
Ti guarderei per sempre, Andrea. Vorrei poterti guardare per sempre negli occhi.
«Ma cosa trovi in me? Io non capisco. Non mi sono mai sentito bello, neanche interessante. Voglio sapere cosa vedi in me».
Non so che risposta lui si aspetti, ma la mia è forse il ricordo più intimo che ho di noi: non so più che ore sono, ho dimenticato che siamo a Roma, a casa di alcuni amici suoi; ho dimenticato che sono sulla Terra. Sono in un punto di mezzo, da sola e insieme a lui, sono una piccola sfera di piume di piombo, sono la sintesi della storia del mondo. Siamo la cosa più sacra del cosmo.
«Ma tu ti rendi conto, Marghe? Io non riesco a credere che dopo trentatré anni siamo ancora qua».
È solo perché abbiamo avuto un sacco di intervalli, gli rispondo. È per questo che siamo durati tanto.
«Scema. Lo sai quanta paura avevo di te? Lo sai quanto mi sembravi inarrivabile, quand’eri ragazza? Lo sai quanta paura mi faceva il fatto che tu avessi un’opinione su tutto? Che facessi sempre quella che la sapeva lunga?».
E tu lo sai, Andrea, quanta paura mi faceva il tuo stemma di famiglia sul muro della tua casa di campagna?
«Tu sei scema, te lo dico io. E lo sai quanta paura mi faceva che fossi così scema scema scema?».
Ride, si mette a ridere e cerca di farmi il solletico.
Caccio un urlo.
«Shh», mi dice, e mi chiude la bocca con la sua, me la fa scivolare sopra a labbra asciutte. La frizione è minima, i movimenti impercettibili.
Ho prenotato io. Siamo a Parigi, in un appartamento del XX arrondissement.
Ci incontriamo al terminal 3 di Orly, siamo...
Indice dei contenuti
- Prefazione - Il privilegio e la responsabilità
- Prefazione - So di non sapere il mondo
- Racconti
- Cielo provvisorio
- E io, adesso, chi sono?
- La nuda verità
- Giorno libero
- Magico mondo
- Parti
- Dall’inizio del tempo
- Pronti per la ri-evoluzione
- Casa mia
- L’ultimo uomo sulla Terra senza cellulare
- Un certo Andrea
- Il custode delle voci
- Approfondimento
- Frattempi di una città, frattempi di nuovi cittadini
- Biografie
- Ringraziamenti