IL MINISTRO
Dal Recovery un’occasione irripetibile per il rilancio
di Patrizio Bianchi
Nel 2020 l’80% dei diplomati degli ITS ha trovato un’occupazione a un anno dal titolo. Il 92% di loro l’ha trovata in un’area coerente con il corso di studi frequentato. Più dell’83% delle studentesse e degli studenti si ritiene soddisfatto della propria scelta. Gli ultimi dati raccolti dall’Indire dimostrano l’efficacia dei nostri Istituti tecnici superiori in termini di placement, di coerenza fra quanto appreso e l’occupazione post-diploma.
Sono i numeri di un successo che affonda le radici nella legge che dieci anni fa ha istituito gli Its, avvicinando il nostro Paese a esperienze europee già esistenti. Da allora è stato intrapreso un cammino che ha permesso a questi Istituti di radicarsi sempre di più nel nostro territorio, abbattendo a poco a poco il muro della diffidenza e cominciando ad attrarre studentesse e studenti.
La fase sperimentale è ampiamente superata. Dieci anni dopo, siamo di fronte a un quadro diverso. Se al momento della nascita degli Its il tema era, infatti, garantire che anche l’Italia avesse dei percorsi di istruzione terziaria non universitari aderenti alle necessità di sviluppo del tessuto economico nazionale, oggi la scommessa è quella di aumentarne considerevolmente gli iscritti, facendo crescere il grado di fiducia verso titoli di studio di alto livello, spendibili con efficacia nel mondo del lavoro. I nostri diplomati restano infatti lontani, nei numeri, da quelli di Francia e Germania: è una rotta che va invertita.
I fattori di successo che vanno preservati e coltivati sono diversi, tra questi, sicuramente, l’integrazione sostanziale tra sistema scuola e impresa, la governance partecipata dalle imprese, la flessibilità e agilità operativa, la laboratorialità della didattica, l’orientamento alla qualità.
L’occasione per farlo arriva con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: c’è una dote da 1,5 miliardi che vogliamo investire su questo capitolo per dotare le Fondazioni di sedi adeguate e laboratori di alto livello, per far crescere le iscrizioni a questi percorsi e anche l’aderenza al tessuto economico dei luoghi produttivi cui fanno riferimento. Più la vocazione di ogni Istituto è legata al contesto, più aumentano le ricadute positive sul territorio e la possibilità, per i diplomati, di collocarsi con successo nel mondo del lavoro.
Occorre aumentare la fiducia di famiglie e studenti nel valore degli Its, anche con campagne di comunicazione e un orientamento più efficaci. Così come dovremo lavorare per far sì che tutta la filiera tecnico-professionale sia percepita non come subalterna rispetto al sistema liceale, ma come un investimento sul futuro del Paese.
Va garantita maggiore visibilità ai percorsi tecnici e professionali, anche post-diploma. Gli Its devono essere percepiti sempre di più come parte integrante del sistema nazionale di istruzione terziaria, con una loro autonomia e una loro più forte caratterizzazione nell’ambito dei cicli di studio. Il loro rilancio è un punto qualificante della strategia del Paese per uscire da stagnazione e bassa crescita e innalzare i livelli di studio. Questa è la nostra scommessa.
Ministro dell’Istruzione
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INTERVISTA A CRISTINA MESSA (UNIVERSITÀ E RICERCA)
«Lauree e corsi flessibili per creare nuove competenze»
di Eugenio Bruno
Senza riforme anche il Recovery plan, e la pioggia di risorse che porta con sé, rischia di essere inutile. È il sottofondo che accompagna l'intera riflessione della neoministra dell'Università e della ricerca, Cristina Messa, sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In un'analisi a tutto tondo che parte dagli studenti e dalla necessità di rendere le lauree sempre più flessibili, passa dalla mobilità dei ricercatori e arriva alle nuove sfide dell'innovazione. Nella consapevolezza che «se non semplifichiamo le regole sulla collaborazione pubblico-privata sarà tutto inutile».
Come ha ricordato lei stessa in commissione il Mur esiste da 14 mesi e da 12 siamo in piena pandemia. Che cosa state facendo per permettere agli studenti di tornare in presenza?
Non vediamo l'ora di dare una situazione di normalità. È vero che c'è una sofferenza forse più contenuta rispetto alla scuola ma i ragazzi che si sono immatricolati nel 2019-20 non sono andati in università o ci sono andati molto poco e sono già al secondo anno. Bisogna riaprire assolutamente. Non abbiamo mai chiuso, abbiamo cercato di tenere aperti i laboratori e le biblioteche. Chiaramente tutto dipende da due fattori: l'andamento pandemico e l'andamento delle vaccinazioni. C'è un punto fondamentale che abbiamo messo nel Fondo ordinario di quest'anno e riguarda il finanziamento dei tutorati con 36 milioni nel 2021, 24 milioni nel 2022 e 9 nel 2023. Dobbiamo aiutare gli studenti, sia quelli che entrano adesso sia quelli che sono entrati l'anno scorso, a recuperare. Non solo dal punto di vista dell'apprendimento e delle conoscenze ma anche psicologico.
Passiamo al Pnrr e ai 17 miliardi circa che destina a Università e ricerca. La prima urgenza è aumentare il numero di laureati. Come?
Si interviene da un lato finanziando di più l'accesso, sia in termini di borse di studio che di residenze. Lo student housing è finanziato per un miliardo nel piano e questo raddoppia da 400mila a 800mila i posti disponibili. Le borse di studio invece sono finanziate per 900 milioni e questo ci porta dal 12 al 21% degli studenti supportati. Ma accanto alle facilitazioni finanziarie ci deve essere un adeguamento al bisogno di competenze dell'industria e dei ragazzi stessi. E qui più che finanziare bisogna rendere più flessibile il sistema. Bisogna dare la possibilità di introdurre delle novità nei nostri corsi di studio e favorire l'interdisciplinarietà. E poi deve essere fatto un discorso chiaro anche su formazione degli Its e delle lauree con sbocco professionale. Su questo ci stiamo confrontando molto bene con il ministro Bianchi, perché tutti abbiamo l'interesse che aumentino queste competenze.
Una soluzione può essere la passerella che dopo i due anni di Its faccia svolgere il terzo in ateneo e prendere la triennale?
Penso di sì purché a monte ci sia condivisione dei percorsi dei due anni di Its con l'università.
Un'altra urgenza riguarda le Steam e le differenze di genere. Serve più orientamento?
Abbiamo messo 250 milioni sull'orientamento attivo, in parte affidato alle università, che hanno già esperienza e strutture, e in parte alle scuole. Partendo dal terzo anno di scuola superiore e coinvolgendo gli insegnanti. Ma non dobbiamo creare una contrapposizione tra i percorsi scientifici e umanistici. Dobbiamo integrarli. Se pensiamo alla guida autonoma non si può prescindere dagli aspetti giuridici, psicologi o sociali.
In commissione ha detto che ci mancano 45mila ricercatori tra pubblico e privato. Quanti ne arriveranno con il Pnrr?
Avremo circa 3.300 ricercatori in più che si vanno a sommare ai piani nazionali. Ma finora ci siamo concentrati su quelli di tipo B.
Verrà superata la distizione tra ricercatori a e b?
Con le competenti commissioni di Camera e Senato stiamo lavorando a un disegno di legge per un'unica figura di ricercatore con un unico periodo di tenure track di 6 anni che non vuol dire poi entrare per forza nel sistema.
E chi non resta all'università magari trova posto in un'impresa?
Su questo la misura più forte è quella di aumentare i dottorati di ricerca. Adesso ne abbiamo 9mila e a regime ne avremo quasi 20mila. Ma non saranno solo dottorati da carriera accademica. Avremo dottorati industriali, che già ci sono ma li aumenteremo, dottorati in green e digital, dottorati dedicati alla pubblica amministrazione, al cultural heritage. Queste persone devono raggiungere i risultati della ricerca ma hanno una formazione che ha già un piede nell'impresa. Perché un altro tema cruciale è la mobilità.
In che senso?
La mobilità riguarda tutto. i dottorati, i docenti, i ricercatori. Dobbiamo tornare a incentivare la mobilità. Non credo che la gente non voglia muoversi, ma che abbia paura di farlo.
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Intervista pubbliocata sul Sole 24 Ore del 18 marzo 2021
CONFINDUSTRIA
La vera sfida per dare valore al capitale umano
di Giovanni Brugnoli
Negli ultimi mesi si sta parlando sempre di più di ITS. Ed è un bene. Grazie anche al primo intervento del Presidente Draghi al Senato, in cui tra molti temi trattati ha messo in risalto l'importanza degli ITS e la necessità di investire in istruzione tecnica (secondaria e terziaria) nell'ambito del PNRR che ha messo a budget 1,5 miliardi sul Next Generation EU, risorse che bisognerà usare al meglio non soltanto per aumentare iscritti e iscritte agli ITS ma per farli diventare un sistema strutturato, riconoscibile, efficiente. Bene che tutti ne parlino, dunque, ma sarà un bene soprattutto se si riuscirà a farle accadere le cose di cui tutti parlano.
Perché se tutti ne parlano, oggi, ben pochi, in passato, hanno voluto investire su questi istituti nei territori. Dal primo giorno di vita degli ITS non sono però mai mancate le imprese ed in particolare le imprese di Confindustria: tante aziende del manifatturiero e dei servizi manifatturieri hanno creduto negli ITS fin dall'inizio, ormai più di 10 anni fa, perché hanno colto l'importanza strategica di questo segmento formativo che mette al centro una didattica innovativa, che beneficia delle più recenti tecnologie abilitanti, le stesse con cui i giovani lavoreranno nelle fabbriche, nei laboratori e in tutti i luoghi di lavoro 4.0 che saranno fondamentali per trainare la ripartenza della nostra economia.
Concretamente le imprese hanno partecipato e partecipano da protagoniste alla didattica (più della metà dei docenti degli ITS viene dal sistema produttivo) e alla governance (investendo risorse in denaro e macchinari) facendo del sistema ITS l'unico segmento dell'intero sistema educativo italiano che vede partecipare le imprese sia nella co-progettazione dei corsi che nella stessa attività di indirizzo e di gestione dell'amministrazione. Per questo è sì importante parlare di ITS, bisogna farlo però tenendo presente ciò che li caratterizza e identifica rispetto a tutti gli altri percorsi di formazione: la partecipazione attiva delle imprese. Non esistono ITS senza imprese, questo però non significa solo un lavoro sicuro per chi li frequenta; ma significa soprattutto una formazione diversa, basata sulle competenze, aperta alla sperimentazione didattica, al saper fare, più coinvolta nella dinamica reale, sulla frontiera della tecnica. Puntare sugli ITS è la scelta necessaria e intelligente che può e deve fare il secondo paese manifatturiero di Europa, ma anche tanti giovani che vogliono investire...