La vita in prosa
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La vita in prosa

Scritti biografici, letterari, politici

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La vita in prosa

Scritti biografici, letterari, politici

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"Tragico suo malgrado è il solo possibileesito imprevedibile della commedia."Molti sono gli apocalittici e moltissimi gli integrati, rari gli ironici come Giovanni Giudici, che è stato uno dei più grandi poeti contemporanei, ma anche un saggista di valore che ha attraversato consapevolmente il Novecento. Sono qui raccolti saggi e interventi dai quali emerge un ritratto in cui sono strettamente legate vita, poetica e ideologia.Dalle riflessioni su come si fa una poesia, alle analisi delle ingiustizie del tempo, sono pagine di cui sentiamo ancora l'inquietudine, nonostante il timore che il solo possibile esito di ogni commedia è, suo malgrado, tragico.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788863573909

Ideologia

Il prezzo del prestigio

“Il nostro problema è riconoscere i fatti della nostra attuale situazione classistica. La realtà più scottante è la tendenza del nostro paese a camminare nel senso di una più rigida stratificazione asserendo esattamente il contrario. Noi incateniamo decine di milioni di individui a ruoli fissi che non consentono alcuna aspirazione, e nello stesso tempo seguitiamo a predicar loro che chi ha la stoffa salirà in alto. Non concediamo loro nemmeno la soddisfazione di sentirsi in una posizione di sicurezza, di dignità, di creatività e, socialmente parlando, li trattiamo con disprezzo”: cito, non del tutto a caso, una non certo ottimistica battuta conclusiva dell’ampio studio che Vance Packard ha fatto seguire (titolo: I cacciatori di prestigio) al suo fortunatissimo libro sui persuasori occulti.
Il quadro che si ricava da una prima rapida lettura di questo volume non è più piacevole di quello che si è potuto ricavare a suo tempo dalla lettura di altri autori (un Riesman, un Mills, un Whyte) che hanno analiticamente studiato alcuni degli aspetti più caratteristici della società americana contemporanea. L’utilità e l’importanza di questi studi si manifestano evidentemente secondo due direzioni: secondo l’interesse specifico che il lettore può avere per la società americana come tale, per le prospettive del suo sviluppo (o della sua involuzione) e per le manifestazioni più avanzate della sua cultura sociologica; e secondo un interesse più generale che si applicò alla situazione americana come a un esempio più massiccio di quelle che possono essere o potrebbero essere analoghe situazioni, in atto o in divenire, in altri paesi di avanzato sviluppo capitalistico.
Dal primo punto di vista, una nota di speranza o comunque di minor pessimismo potrebbe essere data dalla constatazione che il moltiplicarsi di questi studi di buon livello sui fenomeni sociali in atto dovrebbe di per sé stesso incoraggiare una presa di coscienza suscettibile di manifestazioni più clamorose, ancorché piuttosto remote nel futuro, sul terreno politico: e questo discorso, se sviluppato, dovrebbe investire l’intera struttura della nazione americana, a tutti i livelli e in tutti i settori, e interessare quindi una ricerca più specialistica.
Dal secondo punto di vista, invece, un libro come I cacciatori di prestigio può contribuire a mettere a fuoco un problema che non è più soltanto americano, ma che può toccare da vicino anche il nostro paese; e precisamente quel problema del “potere culturale” che in misura sempre maggiore è destinato a occupare un posto preminente nel problema più vasto dell’abbattimento delle barriere di classe.
Anzi sarà opportuna a questo punto una rapida precisazione di ciò che si vuole intendere per “potere culturale”, ossia il “potere” di determinare e condizionare il complesso delle aspirazioni e dei giudizi di valore che gli uomini manifestano allorché stabiliscono ciò che sia desiderabile o meno, ciò che sia buono o non buono, opportuno o non opportuno, non solo ai livelli di una cultura qualificata e specializzata, ma soprattutto ai livelli (inferiori e derivati) delle scelte sociali quotidiane, delle scelte del comportamento, delle innumerevoli determinazioni pratiche che definiscono l’esistenza dei singoli e delle comunità. È vero anche che il margine di determinazione autonoma è ridotto a proporzioni sempre più esigue nei modi dell’esistenza contemporanea (anche indipendentemente dalla pressione degli onnipresenti fattori economici), ma è anche vero che la lotta per il “potere culturale” (ossia per la determinazione contenutistica dei vari messaggi audiovisivi, propagandistici, editoriali, ideologici, eccetera) si propone esattamente di ridilatare tale margine nella massima misura possibile. Quando, in altre occasioni e in questo stesso volume1, ho accennato alla “fondazione di un linguaggio democratico”, ad altro non ho inteso accennare che a una fase fondamentale della lotta per il “potere culturale”, a un lavoro paziente e forse disperato per la ricostruzione dei valori obiettivi dell’esistenza e per la demolizione dei miti di cui, in ragione inversa della sua autonomia intellettuale, l’uomo contemporaneo è vittima.
Uno di questi miti è appunto il cosiddetto prestigio, quello che gli americani con parola latina dicono status, e che costituisce evidentemente, presso di loro e altrove, una delle ossessioni più alienanti degli individui e dei gruppi. Il libro di Packard, che si è giovato del lavoro già svolto da altri studiosi di maggior consapevolezza ideologica come Mills, è per una buona parte una lunga inchiesta su quelli che sono i criteri determinanti del prestigio sociale e sulla rispettiva importanza di ciascuno di essi: titolo di studio, amicizie e frequentazioni, professione, confessione religiosa, orientamento politico, zona di residenza, tipo di abitazione, origine etnica, club di appartenenza, consumi, eccetera. E, specialmente nelle parti conclusive, costituisce un intelligente e, direi, riuscito tentativo di collegare il mito del prestigio a quella specie di mito tradizionale che è il cosiddetto “sogno americano”, altrimenti traducibile nella vecchia formula operettistica “dall’ago al milione”.
In epigrafe a uno dei capitoli, intitolato “Il prezzo della lotta per il prestigio”, l’autore riporta il passo di un racconto di uno scrittore indiano, R. Prawer Jhabvala: “Mio fratello è molto fiero della sua superiorità e guarda dall’alto in basso i falegnami, i meccanici, la gente che lavora con le proprie mani… Sotto casa nostra abita un falegname. È povero… però ha sempre l’aria contenta, non è mai ansioso, non se la prende come mio fratello”. È chiaro che nella società dei cacciatori di prestigio (tanto più numerosi e nevrotici quanto più si sale ai gradi superiori della piramide) il falegname di Jhabvala diventa un animale sempre più raro: mentre invece quanto più la gente tende a prendere sul serio la validità del “sogno americano” o di altri miti consimili, in maggior misura si trova compromessa e coinvolta, o addirittura travolta, nel meccanismo alienante del prestigio; e, in altri termini, in sempre maggior misura tende alla ricerca di un riconoscimento della persona per via di segni e feticci esteriori, assolutamente alieni, estranei alle ragioni della persona umana.
L’individuo che, isolatamente ovvero coinvolto in una qualsiasi meccanica di gruppo, declassato a oggetto di previsione economica, cede al tranello del perseguimento del prestigio attraverso questi segni esterni, abdica più o meno volontariamente al suo naturale ufficio di interpretare “politicamente” la propria condizione e ubbidisce, volente o nolente, agli schemi di comportamento che la società di classe ha elaborato per lui. Ma, ed è questa anche una delle conclusioni a cui se...

Indice dei contenuti

  1. Questo libro
  2. Il secondo mestiere di Giovanni Giudici Stefano Guerriero
  3. Vita
  4. Ideologia
  5. Poetica
  6. Postfazione | Oreste Pivetta
  7. Notizia sui testi