Parte prima
Le due Casse di risparmio di Padova e di Rovigo (1822-1928)
I. Sotto la dominazione austriaca (1822-1866)
1. La fondazione delle Casse di risparmio.
L’origine delle Casse di risparmio non va ricercata in Italia, ma nell’Europa occidentale e centrale di fine Settecento. La più antica fu quella di Amburgo fondata nel 1778, poi ne sorsero altre in Germania, Inghilterra e Svizzera. L’iniziativa era dovuta in genere a unioni di filantropi o alle amministrazioni municipali o al governo centrale. In Austria, poco dopo la nascita della Banca nazionale austriaca con funzioni di istituto centrale nel 1816, si procedette con l’apertura di una Cassa di risparmio a Vienna il 3 ottobre 1819 e subito dopo un’altra a Lubiana. Si intendeva costruire un sistema bancario con al vertice un unico istituto e sotto di esso alcune banche commerciali e quindi una diffusa rete di istituti locali in grado di smuovere le risorse economiche delle varie province dell’impero, così diverse per lingua, economia e tradizioni.
La Cassa viennese, che aprì presto delle succursali in altre città, era stata fondata da filantropi aristocratici e con l’approvazione governativa. Gli amministratori esercitarono gratuitamente il loro incarico che rimase comunque molto ambito, per il prestigio sociale che conferiva1. Questo modello di istituto, ancora a metà strada fra il credito e la filantropia, venne esteso negli anni successivi ad altre province dell’impero. Il 15 ottobre 1820 il conte di Saurau, ministro dell’Interno, su suggerimento della Cassa di risparmio di Vienna, inviò al governatore di Venezia, conte d’Inzaghi, un’istruzione sull’utilità delle casse, in vista di una loro attivazione anche nel Veneto: Sull’utilità dell’istruzione delle Casse di risparmio. Parole di un filantropo a tutti li genitori, curati, maestri di scuola, padroni di casa, di fabbriche, di negozi2. Il 12 febbraio 1822, genetliaco dell’imperatore Francesco I, furono istituite le Casse di Venezia, Padova, Rovigo, Castelfranco, Monselice e Udine (le ultime due presto soppresse). Si estese così alla penisola italiana un nuovo modello di istituto di credito, che si sarebbe ispirato al risparmio e alla previdenza. Sull’esempio delle casse venete, nacque nel 1823 la Cassa di risparmio di Milano, destinata a espandersi in tutta la Lombardia; quindi le casse si diffusero in altri Stati italiani, con l’apertura di nuovi istituti a Torino (1827), Firenze (1829), Roma (1836) e Bologna (1837).
In Italia l’istituto di credito tipico e tradizionale era stato fino allora il Monte di pietà, diffuso un po’ ovunque, legato alle istituzioni civili e religiose e volto a soccorrere gli abitanti della città di origine o delle sue immediate vicinanze. In storiografia non c’è accordo nel determinare la natura dei Monti di pietà, le cui funzioni variavano dall’uno all’altro, ma la loro natura bancaria è stata da tempo riconosciuta3. Tuttavia nell’abbinare la funzione creditizia con quella assistenziale e caritativa stava la peculiarità dei Monti, che operavano in concorrenza o in sinergia con altri enti assistenziali come gli ospedali4. Alcuni Monti nel Centro-Sud arrivarono a emettere anche cartamoneta, di solito di basso valore nominale che, da tutti accettata per le piccole transazioni in ambito locale, non aveva però corso fuori dalla città di origine.
Il Monte di pietà di Padova poteva vantare antiche origini, essendo stato fondato nel 14695, su impulso dello stesso Beato Bernardino da Feltre che intendeva contrastare l’espansione ebraica nell’economia e nella finanza, e avendo avviato un’attività regolare dal 1491, con uno stanziamento del consiglio comunale padovano di 1500 ducati6.
Secondo il governatore d’Inzaghi, in una comunicazione alle delegazioni provinciali, era impossibile trovare in Veneto le unioni di filantropi che si stavano costituendo in Austria7. Le autorità locali cercarono così di conciliare l’impulso del governo imperiale, con la realtà degli istituti già esistenti. Le nascenti Casse di risparmio vennero legate alle Congregazioni di carità e dopo appena un anno ai Monti di pietà, restando prive di un’amministrazione propria, ma dipendenti da quella dei rispettivi Monti8. Il momento scelto non era però dei migliori per l’economia veneta in generale e per la gestione dei Monti in particolare. Durante il periodo napoleonico i Monti subirono pesanti prelievi da parte dei francesi e degli austriaci, e quello di Padova nel novembre 1808 venne messo alle dipendenze della Congregazione di carità dal ministro dell’Interno Brienne; tale decisione risultò disastrosa per il già compromesso patrimonio del Monte che accumulò un deficit di L. 88929. L’amministrazione tornò autonoma il 9 luglio 1819, sotto la presidenza di Francesco Busca Lion.
Secondo l’istruzione delle autorità imperiali del 30 gennaio 1822, la Cassa doveva essere gestita gratuitamente da persone conosciute come ricche e oneste, vicine all’amministrazione cittadina, che però non poteva intromettersi nella gestione. Qualunque cittadino poteva portarvi i suoi risparmi a partire da un fiorino fino a un massimo di 200, con un interesse sul capitale depositato fissato al 4%. Tutti i depositi venivano investiti, a parte un fondo di cassa, nel Monte di pietà al tasso d’interesse del 6%. Nel maggio 1822 erano state depositate L. 269,50, di cui L. 100 da un’oblazione dell’imperial-regio delegato De Roner. Il 1° aprile 1823 la Congregazione di carità lasciò ogni responsabilità amministrativa al Monte che divenne quindi l’unico ente responsabile della Cassa. La gestione di Busca Lion e dal 1825 di Dondi dell’Orologio fu molto prudente e rivolta all’obiettivo del risanamento del Monte, di cui la Cassa era considerata come un sostegno, tanto che lo stesso avanzo della Cassa sarebbe dovuto appartenere al Monte. Dal 1827 fu possibile effettuare operazioni tutti i giorni non festivi, anziché soltanto di martedì, e fu eliminato il limite massimo ai depositi di L. 200, consentendo l’afflusso di capitali più consistenti. Era inoltre possibile ritirare senza preavviso fino a L. 200, mentre prima era necessario un preavviso di quindici giorni10.
Il miglioramento delle condizioni dei Monti di pietà portò a un aumento del personale che a Padova arrivò a 32 impiegati nel 183611. Gli stipendi non erano aumentati rispetto al periodo napoleonico12, ma agli amministratori interessava soprattutto una gestione equilibrata del Monte che assicurasse e confermasse il controllo sociale. Per questo a volte impedirono alla Cassa di accettare nuovi depositi, quando si verificava una carenza di operazioni di pegno, per non doverle corrispondere l’interesse del 6% su somme che eccedevano i bisogni del Monte. Nonostante le lagnanze di molti enti, tra cui l’ospedale civile di Padova che il 12 maggio 1830 protestò formalmente, la direzione del Monte rispose di non essere obbligata ad accettare qualunque somma. Fu vagliata la possibilità di impiegare una parte dei depositi nella rendita del Monte pontificio, ma si vincolò questo nuovo impiego a un ordine espresso della delegazione provinciale che non sarebbe mai arrivato. La stessa delegazione si limitò a farsi portavoce delle lagnanze, chiedendo al Monte il 31 ottobre 1833 di accettare tutti i depositi portati alla Cassa di risparmio. Ancora una volta Dondi propose l’impiego in rendita pubblica, stavolta nel consolidato del regno lombardo-veneto, probabilmente perché sapeva che ottenere dalle autorità il permesso di un investimento in rendita pubblica era un’ipotesi ancora incerta che gli avrebbe consentito di guadagnare tempo13.
Il 31 dicembre 1831 i depositi della Cassa padovana arrivarono a L. 249 915,39 e l’esercizio venne chiuso con un attivo di L. 10 490,03. Si trattò di un resoconto considerato quantomeno dubbio dalle autorità, che però non si preoccuparono di verificarne l’attendibilità. Dondi riuscì a far passare l’avanzo della Cassa a beneficio del Monte, incamerando nel 1836 L. 30 946,27 per il restauro della sede del Monte in piazza Duomo, grazie all’approvazione dell’ufficio dell’I.R. Contabilità generale. In cambio propose che fosse il Monte a farsi carico delle spese di gestione della Cassa che però ammontavano a sole L. 144,30 annue14.
All’epoca dell’apertura delle Casse di risparmio un’attività bancaria vera e propria risultava praticamente inesistente nell...