Fabbricare il futuro. La nuova rivoluzione industriale
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Fabbricare il futuro. La nuova rivoluzione industriale

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Fabbricare il futuro. La nuova rivoluzione industriale

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Peter Marsh, giornalista ed esperto di storia dell'industria, ripercorre i 250 anni nel corso dei quali l'avvento delle fabbriche ha cambiato le sorti dell'economia dei Paesi più ricchi e ha di fatto dato forma al mondo come lo conosciamo oggi. Un viaggio che esplora origini, sviluppi, inversioni di tendenza e periodi di crisi - come quello più recente, innescato dai meccanismi "virtuali" della politica e della finanza - e che ci accompagna sulla soglia dell'ultimo, forse più importante e complesso, balzo in avanti alimentato dalla tecnologia e dalla rete. "Fabbricare il futuro" offre una panoramica completa sulle rivoluzioni industriali passate, e un'analisi dei fattori cruciali - e delle potenziali ripercussioni a livello globale - di una nuova era che oggi è alle porte.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788875784799
Argomento
Geschichte

Capitolo 1

La macchina della crescita

In principio…
«L’oro è per la signora, l’argento per la ragazza!
Il rame per l’artigiano bravo nel suo mestiere».
«Bene!» disse il Barone, sedendo nella sala,
«solo il ferro – il ferro freddo – è padrone di tutti loro!».1
Così scriveva l’illustre scrittore inglese Rudyard Kipling, che visse gran parte della sua vita nella dimora di un proprietario di ferriere del diciassettesimo secolo. Le sue parole sono vere oggi come lo erano nei primi anni del Novecento, quando Kipling, all’apice della popolarità, divenne il più giovane scrittore a ricevere il premio Nobel per la letteratura. Dall’inizio della civilizzazione fino al 2011 il genere umano ha prodotto merci contenenti circa 43 miliardi di tonnellate di ferro2. Di questa immensa quantità di metallo che è finita nei prodotti più disparati, dai reattori nucleari ai giocattoli per bambini, quasi la metà è stata prodotta dopo il 1990. La maggior parte del ferro oggi usato si presenta nello stadio finale come acciaio, una forma più dura e resistente di quel metallo, contenente tracce di carbonio.
Della massa del nostro pianeta (6000 miliardi di miliardi di tonnellate), circa un terzo, secondo gli esperti, è costituito da ferro3. La maggior parte di questo ferro si trova a una profondità tale da renderlo inaccessibile, eppure, anche così, ipotizzando tassi di produzione come quelli del 2011, la quantità di ferro estraibile a livelli più vicini alla superficie terrestre sarà sufficiente a soddisfare il fabbisogno di materie prime delle acciaierie di tutto il mondo ancora per un miliardo di anni4. Questo elemento si trova in natura quasi sempre in composti: i più comuni sono gli ossidi di ferro, presenti in minerali quali l’ematite e la magnetite. In questi materiali, il ferro e l’ossigeno si combinano per formare legami diversi. Per estrarre il ferro dall’ossido di ferro si usa il processo di fusione, che si compie quando minerali a base di ossidi sono riscaldati ad alte temperature in forni alimentati con carbone di legna. Per mezzo del processo chimico di riduzione, il carbone di legna si lega con l’ossigeno presente nel minerale producendo biossido di carbonio e lasciando il metallo quasi puro.
La fusione è un processo noto da circa cinque millenni. In origine era usata per ricavare il rame e lo stagno, componenti del bronzo, ma dovettero passare parecchi anni prima che fosse usata per produrre il ferro in grandi quantità. La ragione di ciò va cercata nelle caratteristiche chimiche e fisiche del minerale: la temperatura necessaria per la fusione dipende dal punto di fusione del metallo; il ferro fonde a 1530°C, temperatura ben superiore a quella necessaria per fondere il rame o lo stagno. In aggiunta, il procedimento di estrazione delle impurità dovute alla presenza di sostanze estranee quali argille miste e altri minerali è più complesso nel caso del ferro che per altri metalli.
Una prima svolta si ebbe intorno al 1200 a.C., forse in Mesopotamia o nei territori limitrofi, in un’area che corrisponde all’attuale Iraq, quando furono scoperti metodi per mantenere la temperatura all’interno delle fornaci a livelli sufficientemente alti (intorno ai 1200°C) da ammorbidire il ferro5. Furono inoltre sviluppati procedimenti più efficaci per separare le impurità – la cosiddetta loppa – con la battitura al maglio. Questi nuovi processi furono presto adottati in molte aree attorno al Mediterraneo orientale. Poiché il ferro poteva essere estratto con maggiore facilità, la quantità di metallo disponibile aumentò molto e ciò determinò un calo del suo prezzo, che scese all’incirca del 97 per cento nei quattro secoli precedenti il 1000 a.C.6.
L’acciaio fu scoperto più o meno in quel periodo. Si tratta di un materiale per il quale vale il cosiddetto approccio di Riccioli d’oro: la quantità di carbonio e altri elementi presenti nella miscela non deve essere troppa, né troppo poca, ma esattamente quella giusta. Si scoprì che il ferro mischiato con troppo poco carbonio produceva un materiale alquanto tenero, ma che poteva essere modellato con una certa facilità; se la concentrazione di carbonio era troppo elevata, il metallo risultava invece più duro, ma fragile. Nella terminologia corrente il ferro con un basso tenore di carbonio (inferiore allo 0,5 per cento) è detto ferro battuto. Quando il tenore di carbonio è alto (superiore all’1,5 per cento), il risultato è la ghisa di prima fusione (o ghisa grezza). L’acciaio non è costituito da una singola lega ma da una serie di varianti del ferro che presentano diverse proprietà in funzione della loro struttura chimica. Oggi nella lavorazione dell’acciaio è molto importante l’aggiunta di piccole, specifiche quantità di elementi quali vanadio, cromo e nichel. Queste variazioni nella composizione modificano le proprietà dell’acciaio, rendendolo per esempio più resistente alla corrosione o migliore conduttore di elettricità. Il periodo che cominciò intorno al 1200 a.C. è conosciuto come Età del ferro; gli storici ritengono che sia durata all’incirca tredici secoli, ma in verità non è mai realmente finita7.
In origine era pressoché impossibile stabilire con precisione la composizione dell’acciaio: in ogni aspetto della produzione e lavorazione del ferro e dell’acciaio i progressi erano lenti ed empirici. Eppure, per più di un millennio, un paese si confermò leader indiscusso nella produzione siderurgica: la Cina, all’avanguardia nella produzione di altiforni (che prevedevano l’uso di soffierie per immettere l’aria necessaria al processo di fusione per mezzo di pistoni idraulici). In Cina si costruivano altiforni già nel 200 a.C., milleseicento anni prima che in Europa. Per gran parte del Medioevo la produzione siderurgica cinese fu di gran lunga superiore a quella europea, sia in termini di produzione totale, sia su base pro capite, ma alla fine del diciassettesimo secolo l’Inghilterra cominciava già a mettersi in mostra come il paese che sarebbe diventato teatro degli eventi più importanti nella produzione siderurgica8.
Avanti tutta
Fulcro del cambiamento è Sheffield, una città nell’Inghilterra settentrionale che traeva beneficio dalla vicinanza con tre fonti di risorse naturali: le colline dei Pennini, con i loro preziosi giacimenti di ferro; il fiume Don, che attraversava la città offrendo una preziosa sorgente di energia idrica per gli altiforni; e i grandi bacini carboniferi, dai quali si estraeva il carbone minerale che aveva ormai sostituito quello di legna come principale agente riducente nel processo di fusione.
Benjamin Huntsman era un fabbro e orologiaio originario di Doncaster, trasferitosi nel 1740 ad Handsworth, un villaggio nelle vicinanze di Sheffield. Inizialmente, più che alla produzione di ferro e acciaio, era interessato all’uso che avrebbe potuto farne per i suoi prodotti. Non soddisfatto della qualità dell’acciaio allora disponibile, decise di provare a trovare un nuovo modo per ottenerlo9. Huntsman dovette affrontare le due questioni critiche che erano già state cruciali per l’estrazione e la lavorazione del ferro nell’antica Mesopotamia: aumentare la temperatura e modificare la composizione della miscela di ferro, carbonio e loppa.
Il metodo che mise a punto si basava su un nuovo modello di crogiolo in argilla in grado di resistere a temperature fino a 1600°C senza fessurarsi o deformarsi. Una miscela incandescente di ferro e carbonio era colata da un altoforno in un crogiolo insieme a piccole quantità di altri materiali, tra cui alcuni frammenti di acciaio vescicolare di buona qualità10; le impurità erano quindi separate attraverso i fori alla base del crogiolo; la percentuale delle diverse sostanze aggiunte o rimosse determinava la velocità di formazione dell’acciaio, oltre alle sue proprietà.
Huntsman adottò il cosiddetto processo al crogiolo intorno al 1742. Questo metodo presentava alcuni inconvenienti: la tecnologia permetteva di ottenere acciaio in minime quantità, adatte alla fabbricazione di manufatti quali utensili, coltelleria e componenti per orologeria, e si trattava di un processo secondario, la cui realizzazione dipendeva dalla disponibilità di piccole quantità di acciaio vescicolare precedentemente prodotte. Il procedimento tuttavia era ripetibile: seguiva un ciclo ben definito che poteva essere replicato più volte. Quella di Huntsman fu una delle prime tecniche di questo tipo usate in ambito industriale. Anche se ci volle più di un secolo prima che ci fosse un reale miglioramento della tecnica da lui ideata combinando qualità del prodotto con elevata velocità di lavorazione, Huntsman può essere considerato il precursore di questi sviluppi.
Il progresso reso possibile grazie al nuovo metodo inventato da Huntsman giunse in un momento in cui la Gran Bretagna era responsabile solo di una piccola quota della produzione manifatturiera mondiale. Nel 1750 il paese leader nella produzione manifatturiera globale era la Cina, con un terzo del volume di produzione11, seguita dall’India con un quarto. Al primo posto in Europa c’era la Russia, con il 5 per cento del totale mondiale, seguita dalla Francia. Con una quota dell’1,9 per cento, la Gran Bretagna e l’Irlanda occupavano un misero decimo posto nella classifica12, ma il cambiamento era nell’aria13.
Nel 1769 l’ingegnere scozzese James Watt brevettò un’altra “grande idea”, non tanto nei materiali quanto nelle modalità di fornitura dell’energia14. Perfezionando progetti già esistenti, Watt inventò un motore a vapore, utile sia per pompare acqua fuori dalle miniere sia per azionare le macchine. Il motore a vapore è oggi considerato uno dei migliori esempi di tecnologia universale15: una tecnologia specifica dotata di un potenziale applicativo estremamente vasto che ha inoltre il pregio di essere perfezionabile. L’avvento del motore di Watt fu accompagnato da altri eventi chiave che si riveleranno determinanti per il progresso industriale. «Intorno al 1760 un’ondata di congegni si abbatté sull’Inghilterra», così uno storico descrisse le trasformazioni in atto16. Questi congegni legati alla produzione manifatturiera includevano anche nuovi macchinari per l’industria tessile e metallurgica17. I progressi nella tecnologia andavano di pari passo con altre trasformazioni che riguardavano la società e l’economia: i primi tentativi di organizzazione delle fabbriche su larga scala, una popolazione in crescita, che era anche più sana e meglio istruita, l’apertura del commercio mondiale e la nascita di società di capitali che contribuivano a incoraggiare l’imprenditorialità.
A seguito di questi cambiamenti, tra il 1700 e il 1890 in Gran Bretagna la quota di forza lavoro impiegata nell’industria aumentò dal 22 al 43 per cento, mentre il dato riferito all’agricoltura scese dal 56 al 16 per cento18. In Gran Bretagna e Irlanda la produzione manifatturiera pro capite aumentò di otto volte dal 1750 al 1860, quattro volte più che in Francia e Germania, e sei volte più che in Italia e Russia, mentre in Cina e in India la produzione manifatturiera pro capite registrò un calo. Nel 1800 la Gran Bretagna era responsabile di poco più del 4 per cento della produzione manifatturiera mondiale, diventando così la quarta potenza industriale mondiale dietro Cina, India e Russia. Nel 1860 era già il primo paese in termini di produzione manifatturiera, coprendo quasi il 20 per cento del totale mondiale, seguita a breve distanza dalla Cina. Gli Stati Uniti occupavano il terzo posto, con quasi il 15 per cento19.
In Gran Bretagna il termine manifattura entrò a far parte anche della lingua. La parola deriva dal latino manus, “mano”, e facio, “fare”. Benché sia stato registrato per la prima volta intorno al 1560, l’uso del termine era considerato raro. Shakespeare, che morì nel 1616, non usò mai parole come manifattura o fabbrica nelle sue opere, tuttavia, a partire dal 1800 circa, i termini erano già entrati nell’uso comune20. I settant’anni di grandi cambiamenti che intercorrono tra il 1780 e il 1850 sono stati il primo periodo di produzione organizzata su larga scala, che si concentrò in Gran Bretagna e divenne noto come Prima rivoluzione industriale, o Rivoluzione industriale tout court21. Di tutti gli eventi che hanno plasmato il mondo negli ultimi cinque secoli del secondo millennio, la Rivoluzione industriale fu il più importante.
Ponti sul futuro
Charles Babbage era figlio di questa epoca di trasformazioni. Nato a Londra nel 1791, trascorse gran parte della sua infanzia a Totnes, piccola città nel Devon. Dopo avere studiato matematica alla University of Cambridge, all’età di ventiquattro anni divenne membro della Royal Society. In uno studio del 1822 Babbage descrisse il modello di una macchina di calcolo che chiamò macchina alle differenze, il cui progetto si basava su diverse colonne meccaniche ognuna delle quali muoveva una serie di ruote dentate; attraverso un sistema di leve e ingranaggi, le ruote dentate e le colonne potevano essere manipolate in modo da eseguire i calcoli. Babbage provò a costruir...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Capitolo 1
  4. Capitolo 2
  5. Capitolo 3
  6. Capitolo 4
  7. Capitolo 5
  8. Capitolo 6
  9. Capitolo 7
  10. Capitolo 8
  11. Capitolo 9
  12. Capitolo 10
  13. Bibliografia