Anatomia del crimine. Storie e segreti delle scienze forensi
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I morti parlano. Ogni omicidio può raccontare le sue cause e chi ne è il colpevole. Capirlo è il lavoro degli scienziati forensi, che come in "CSI" risolvono misteri e aiutano la giustizia analizzando i messaggi lasciati su un cadavere o sulla scena del crimine. Val McDermid ripercorre l'evoluzione delle scienze forensi dai primissimi passi alle odierne tecnologie d'avanguardia, attraverso le storie degli omicidi che ha risolto, dei protagonisti, dei suoi eccentrici pionieri e dei fallimenti di questa affascinante ricerca della verità. Soprattutto, "Anatomia del crimine" mette a nudo tutti i segreti della medicina legale, raccontando di mosche succhia-sangue, esperimenti complessi e autopsie, e di come i vermi raccolti da un cadavere possono aiutare a determinare il tempo della morte o come una microscopica traccia di DNA può essere utilizzata per condannare un assassino.[BIO AUTORE]Val McDermid è una delle più importanti e premiate scrittrici di gialli e noir al mondo. Le sue tre serie di romanzi polizieschi sono state tradotte in trenta lingue e hanno venduto più di dieci milioni di copie. Tra queste, "Il canto delle sirene" ha vinto il Gold Dagger Award for Best Crime Novel of the Year.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788875786281
Categoria
Criminology

Capitolo 1

La scena del crimine

La scena è un testimone silenzioso.
Peter Arnold, specialista in analisi della scena del crimine
«“Codice zero”. Un agente ha bisogno di aiuto». È questa la chiamata che ogni poliziotto teme di ricevere. A Bradford, in un grigio pomeriggio del novembre 2005, la voce spezzata di Teresa Millburn aveva messo i brividi a tutta la centrale di polizia del West Yorkshire. Questa comunicazione, purtroppo, era solo l’inizio di una brutta vicenda che avrebbe toccato da vicino e nel profondo ogni agente della comunità. Quel pomeriggio, la paura silenziosa con la quale i poliziotti convivono tutti i giorni si era materializzata.
Teresa era in compagnia di una collega, l’agente Sharon Beshenivsky, in servizio da appena nove mesi. Le due poliziotte avevano quasi concluso il giro di pattuglia con l’auto di servizio e dovevano solo dare un’ultima occhiata in giro. Il loro lavoro consisteva essenzialmente nell’intervenire in caso di piccoli problemi e nel rendere la polizia una presenza visibile sulle strade. Sharon non vedeva l’ora di tornare a casa per festeggiare il quarto compleanno di uno dei suoi figli e, poiché mancava meno di mezz’ora alla fine del turno, tutto faceva pensare che sarebbe arrivata in tempo per i giochi e il taglio della torta.
Proprio allora, subito dopo le tre e mezza, le due colleghe furono raggiunte da una chiamata. Alla Universal Express, un’agenzia di viaggi nelle vicinanze, era scattato un allarme silenzioso, collegato direttamente alla centrale di polizia. Dal momento che sarebbero comunque dovute passare vicino all’agenzia per tornare in centrale, Teresa e Sharon decisero di prendere la chiamata. Parcheggiarono dal lato della strada opposto rispetto all’edificio di mattoni, le cui finestre erano oscurate da tende a pannello verticali, e si avvicinarono all’agenzia.
Raggiunta l’agenzia, si ritrovarono improvvisamente faccia a faccia con tre rapinatori armati. Sharon fu colpita al petto da un proiettile sparato a bruciapelo. Teresa, durante il processo agli assassini di Sharon, rilascerà la seguente dichiarazione: «Eravamo ad appena un passo di distanza l’una dall’altra. Sharon camminava davanti a me. Poi si fermò, tanto bruscamente che la superai. Udii un colpo e la vidi cadere a terra».
Qualche istante dopo anche Teresa fu colpita al petto: «Ero per terra e tossivo sangue, che mi colava dal naso e mi ricopriva la faccia mentre annaspavo cercando di respirare». Riuscì comunque a dare l’allarme e a inviare alla stazione il famigerato “Codice zero”.
L’agente di polizia Sharon Beshenivsky, uccisa a bruciapelo da una gang di rapinatori armati. (© Getty Images)
L’agente di polizia Sharon Beshenivsky, uccisa a bruciapelo da una gang di rapinatori armati. (© Getty Images)
Peter Arnold, esperto di analisi della scena del crimine per le contee di Yorkshire e Humberside, udì il messaggio alla radio.
Non lo dimenticherò mai. Potevo vedere l’intera scena dalla stazione di polizia, come un film che si svolgeva sulla strada, proprio davanti ai miei occhi. All’improvviso ho visto uno sciame di poliziotti arrivare di corsa, non avevo mai visto così tanti agenti tutti assieme, sembrava di assistere a un’evacuazione anti-incendio.
All’inizio non capivo che cosa stesse succedendo, poi sentii alla radio che qualcuno era stato raggiunto da un colpo di pistola e che probabilmente si trattava di un collega. Corsi lì anche io e fui il primo agente della scientifica a giungere sulla scena. Volevo rendermi utile per allestire i cordoni divisori per preservare l’area di interesse. C’era molta confusione in quel momento e dovevamo a tutti i costi cercare di riportare un po’ d’ordine.
Nelle due settimane successive non ho fatto altro che analizzare la scena del crimine, per ore che sembravano interminabili. Attaccavo alle sette di mattina e non tornavo a casa prima di mezzanotte, e per quanto fossi letteralmente esausto non mi importava. Quella scena rimarrà con me per sempre, non la dimenticherò mai; non perché fosse particolarmente difficile da analizzare, ma perché mi ha coinvolto moltissimo: una collega era stata uccisa. Il fatto che Sharon fosse un’agente di polizia la rendeva una di famiglia. Altri agenti erano ancora più sconvolti di me, ma non potevamo fare altro che tirare avanti, continuando a lavorare come se nulla fosse.
Il nostro lavoro diede buoni risultati, che furono poi decisivi per la soluzione del caso. Raccogliemmo indizi non solo a partire dalla scena del delitto, ma anche dai veicoli usati dai rapinatori per fuggire e dai luoghi in cui si erano recati in seguito.
Gli uomini che avevano reso orfani i tre figli di Sharon Beshenivsky e vedovo suo marito furono processati e condannati all’ergastolo. La condanna era fondata in larga parte sui risultati ottenuti dalla polizia scientifica e da altri esperti forensi che avevano lavorato sodo per rintracciare le prove, interpretarle e presentarle in aula. Questo stesso percorso, dalla scena del crimine alle aule dei tribunali, lo ritroveremo più volte nel corso di questo libro.
Ogni morte violenta ha una storia, e per scoprirla gli investigatori cominciano da due elementi: la scena del crimine e il cadavere. Nel caso ideale il corpo della vittima viene ritrovato sulla scena del crimine, e l’analisi delle relazioni tra l’uno e l’altra consente agli investigatori di ricostruire l’accaduto. Tuttavia le cose non vanno sempre così. Sharon Beshenivsky, per esempio, fu trasportata all’ospedale in fretta e furia, nel disperato tentativo di salvarla. In altri casi può capitare, al contrario, che una persona ferita a morte riesca a trascinarsi da sola in un posto anche molto lontano da quello in cui è stata colpita. Infine ci sono casi in cui gli assassini spostano il cadavere con l’intenzione di occultarlo o di confondere gli investigatori.
Edmond Locard, il criminologo che inaugurò il primo laboratorio di analisi scientifiche del mondo e coniò il motto delle scienze forensi: «Ogni contatto lascia una traccia». (© Maurice Jarnoux/“Paris Match”/Getty Images)
Edmond Locard, il criminologo che inaugurò il primo laboratorio di analisi scientifiche del mondo e coniò il motto delle scienze forensi: «Ogni contatto lascia una traccia». (© Maurice Jarnoux/“Paris Match”/Getty Images)
Gli scienziati forensi hanno ideato metodi investigativi per ciascuno di questi scenari. Il loro lavoro consente ai detective di ricostruire l’accaduto e fornisce agli inquirenti un ampio ventaglio di prove ed evidenze. Per far sì che una ricostruzione regga in un’aula di tribunale, tuttavia, l’accusa deve dimostrare che questi elementi sono solidi e ben documentati e che le prove raccolte non sono state contaminate. Nei casi di omicidio, la procedura scelta per analizzare la scena del delitto riveste un’importanza prioritaria. Per dirla con Peter Arnold: «La vittima non può dirci che cosa è successo, e con ogni probabilità non ce lo dirà nemmeno il sospettato. L’unica possibilità che ci resta, quindi, è formulare ipotesi sull’accaduto».
I progressi nella capacità di formulare ricostruzioni sempre più accurate sono andati di pari passo con quelli nella comprensione di cosa è possibile inferire a partire dalla scena del crimine. Nel diciannovesimo secolo i processi basati sulle prove raccolte sono diventati la norma, ma queste venivano ancora conservate in maniera rudimentale e il concetto di contaminazione non era universalmente accettato. Questo limite non costituiva comunque un grosso problema dal momento che i risultati a cui potevano arrivare gli esperti dell’epoca erano comunque molto modesti. Quando gli specialisti cominciarono ad applicare le proprie conoscenze teoriche ai casi reali i risultati divennero via via più consistenti.
Una delle figure chiave nella storia dell’analisi della scena del crimine fu il francese Edmond Locard, che dopo aver studiato medicina e giurisprudenza a Lione, nel 1910 inaugurò il primo laboratorio di analisi scientifiche del mondo. Il dipartimento di polizia di Lione gli mise a disposizione solo due mansarde e due assistenti, ma nonostante ciò riuscì a dare vita a un centro di studi che raggiunse una fama di livello internazionale. Fin dalla più tenera età, Locard era stato un avido lettore di Arthur Conan Doyle ed era rimasto particolarmente impressionato dal suo romanzo Uno studio in rosso, in cui compariva per la prima volta il celebre detective Sherlock Holmes. Nel romanzo, Doyle fa dire al suo personaggio: «Ho studiato in modo particolare la cenere dei sigari, anzi ho scritto una monografia in proposito. Mi vanto di poter distinguere a prima vista la cenere di una qualsiasi qualità nota di sigaro o di tabacco».
Nel 1929 Locard pubblicò un articolo dal titolo L’analyse des Poussieres en Criminalistique che verteva su come individuare il tipo di tabacco dalle ceneri rinvenute sulla scena del crimine; inoltre tra il 1931 e il 1933 diede alle stampe un’opera monumentale in sette volumi, il Traité de criminalistique. Il suo contributo più duraturo alle scienze forensi, tuttavia, fu probabilmente l’aforisma che diventerà poi noto come “Principio dello scambio” secondo cui «ogni contatto lascia una traccia» ed «è impossibile che un criminale agisca, e in special modo in crimini particolarmente efferati, senza lasciare segni della sua presenza».
Le tracce possono essere impronte digitali, orme, fibre provenienti dall’ambiente o dagli indumenti, capelli, pelle, armi o ancora oggetti accidentalmente smarriti. Ma è vero anche il principio inverso, secondo cui anche il crimine lascia delle tracce sul criminale, come sporcizia, fibre provenienti dalla vittima o dalla scena del delitto, DNA, sangue o macchie di vario genere.
Locard dimostrò anche come questo principio teorico potesse essere messo in pratica. In un caso, analizzando la polvere rosa che aveva trovato sotto le unghie di un sospetto, riuscì a stabilire che si trattava dell’assassino, nonostante l’uomo avesse un alibi molto solido per l’omicidio della sua fidanzata. Locard spiegò come il tipo di polvere che aveva trovato poteva provenire solamente dal trucco della vittima. Quando l’uomo fu messo a confronto con questa prova non poté fare altro che confessare.
Dai tempi di Locard ai giorni nostri l’influenza dei tecnici e dei periti è notevolmente aumentata, ma senza il meticoloso lavoro che viene effettuato a monte, sulla scena del crimine, le scienze forensi non avrebbero dati su cui lavorare. Frances Glessner Lee, all’epoca una ricca ereditiera, è stata la pioniera di quell’approccio che vede la scena del delitto come un enigma da decifrare. Nel 1931 ha fondato la Harvard School of Legal Medicine, primo istituto di questo genere in tutti gli Stati Uniti. Frances aveva costruito una serie di repliche in miniatura molto elaborate di alcune autentiche scene del delitto, dotate di porte funzionanti, finestre, tazze e luci. Ribattezzò le sue ricostruzioni, che potevano sembrare macabre case di bambola e che venivano utilizzate come strumenti didattici nelle sue lezioni sull’analisi della scena del crimine, «studi essenziali di morti tuttora inspiegate». Gli investigatori che partecipavano ai seminari avevano novanta minuti di tempo per analizzare i plastici, dopodiché dovevano stilare un dettagliato resoconto sulle conclusioni a cui erano giunti. Erle Stanley Gardner, “padre” di Perry Mason, il celebre personaggio letterario protagonista anche di una fortuna serie televisiva, scrisse a proposito dei plastici di Glassner Lee: «Una persona che analizza approfonditamente questi modellini può imparare in un’ora sulla scena del crimine più di quanto imparerebbe in mesi e mesi di studio teorico». A distanza di cinquant’anni, diciotto di queste ricostruzioni sono ancora utilizzate dal centro di medicina legale del Maryland per fini didattici.
Nonostante la criminologa avesse ampiamente inquadrato i principi di base su cui si fonda la moderna analisi della scena del crimine, la maggior parte dei dettagli le sarebbero tuttavia sfuggiti. Abiti di carta usa e getta, guanti di gomma nitrilica, maschere protettive: tutto l’equipaggiamento utilizzato dalla polizia scientifica ai giorni nostri consente una precisione nella repertazione che i primi esperti di criminalistica non potevano nemmeno immaginare. Ed è questa accuratezza che ha consentito alla polizia di scoprire l’identità dell’assassino di Sharon Beshenivsky, un esempio da manuale su come gli investigatori possano giungere a conclusioni fondamentali partendo da tracce promettenti. Anche ai giorni nostri, come allora, gli inquirenti si basano quasi esclusivamente sui dati che gli esperti forensi mettono a loro disposizione.
A intervenire per primi sulla scena del delitto sono gli esperti della polizia scientifica, che iniziano la loro carriera frequentando un corso che fornisce loro competenze e tecniche di base per identificare, raccogliere e conservare gli elementi di prova. Quando cominciano a lavorare, sono comunque sottoposti a una costante supervisione, ma nel frattempo fanno esperienza sul campo, partendo dai crimini più ordinari fino ad arrivare ai casi più difficili, acquisendo in tal modo nuove abilità e competenze. Per poter lavorare nella polizia scientifica devono inoltre costruirsi, nel tempo, un vero e proprio portfolio di casi risolti.
Abbiamo avuto modo di osservare cosa succede sulla scena del crimine guardando le ricostruzioni presentate in televisione, e forse ci siamo fatti un’idea di come funzioni il lavoro. Abbiamo visto specialisti vestiti di bianco che fotografano accuratamente le prove più importanti, le repertano e le mettono al sicuro. Ma le cose stanno davvero così? Cosa fa nel concreto la polizia scientifica? Cosa succede, per esempio, quando viene scoperto un cadavere?
I primi ad arrivare sulla scena di un delitto, di solito, sono i poliziotti in uniforme, ma a decidere se la morte sia o meno sospetta è sempre un agente che abbia almeno il grado di ispettore. Una volta che questi abbia stabilito che è possibile che si tratti di omicidio, il passo successivo consisterà nel preservare la scena del crimine in attesa dell’arrivo della polizia scientifica. La polizia ordinaria si fa da parte, circoscrive e isola la scena con del nastro segnaletico e apre un verbale in cui deve essere registrato chiunque metta piede oltre il nastro, per poter poi ricostruire a posteriori ogni possibile causa di contaminazione.
In un momento successivo viene conferito l’incarico di svolgere l’indagine a un agente con il grado di ispettore superiore. Tutti gli agenti della polizia scientifica sono responsabili di quello che fanno e non possono scaricare la responsabilità su nessun altro. L’ispettore superiore viene affiancato da un responsabile di area forense che ha il compito di coordinare gli esperti e gli specialisti di cui ci sarà bisogno.
Peter Arnold lavora come responsabile di area forense ed è un uomo slanciato che sprizza energia da tutti i pori. Ha occhi vivaci da furetto, da cui traspare un grande entusiasmo per la professione che svolge. La sua unità presta i propri servizi a quattro diversi corpi di polizia e, dopo il Metropolitan Police Service di Londra, è la più grande agenzia di servizi forensi con un personale di ben cinquecento unità. Gli uomini al servizio di Arnold lavorano a turno ventiquattro ore su ventiquattro per investigatori e inquirenti che indagano su ogni crimine immaginabile. L’agenzia ha sede appena fuori dall’autostrada M1, vicino a Wakefield, in uno strano edificio che prende il nome da Sir Alec Jeffreys, lo scopritore del fingerprinting genetico. Il fabbricato si trova a ridosso di un lago artificiale la cui placida tranquillità rurale si staglia in netto contrasto con le tecniche scientifiche all’avanguardia che vengono applicate all’interno dell’edificio.
«Appena ricevo la prima telefonata, comincio a coordinare le mie risorse» dice Arnold. «Se la scena del delitto non è all’aperto, non c’è bisogno di affrettarsi più di tanto perché non c’è pericolo di pioggia o neve, e sarà già stata messa al sicuro e resa sterile. Ma se la scena del delitto si trova all’aperto, e magari siamo nel bel mezzo dell’inverno e c’è la possibilità che venga giù un diluvio, devo andare subito a raccogliere le prove, prima che siano distrutte per sempre».
Poiché l’omicidio di Sharon Beshenivsky era avvenuto all’aperto, e per di più su una strada affollata, la priorità principale era preservare la scena del delitto, anche se non era l’unica insidia che Peter e i suoi colleghi dovevano affrontare. «Di solito le persone pensano che vi sia un’unica scena del crimine, ma la verità è che spesso ne abbiamo anche cinque o sei; ad esempio il luogo dove si è consumato l’omicidio, quello in cui si sono recati successivamente i presunti assassini, il veicolo che hanno utilizzato per gli spostamenti, il luogo in cui sono stati arrestati e il posto in cui è stato spostato il cadavere, qualora sia stato rimosso dalla sua posizione originaria. Ciascuna di queste singole scene del delitto necessita di un trattamento a sé».
La priorità per la polizia scientifica è la sicurezza. Può accadere, per esempio, che ci sia un ferito da arma da fuoco e che il colpevole sia ancora a piede libero. Gli agenti della polizia scientifica, tuttavia, non indossano giubbotti antiproiettile né hanno in dotazione pistole, taser o manette. Non sono addestrati ad arrestare persone pericolose o violente, e questo nonostante spesso debbano svolgere indagini proprio su di esse. Per questo motivo, quando è necessario, si chiede l’intervento di agenti armati incaricati espressamente di proteggere la polizia scientifica mentre è al lavoro.
Dopo la sicurezza, in ordine di importanza, viene la necessità di preservare gli elementi di prova da qualsiasi possibile fonte di contaminazione. Come spiega Peter: «Possiamo avere a che fare con un delitto commesso in un’abitazione che è stata opportunamente isolata e recintata, ma magari i sospetti sono scappati saltando su un’auto che avevano preparato appositamente per la fuga. Se ci sono ancora delle macchine che circolano potrebbero passare inavvertitamente su proiettili, pallottole o tracce di pneumatici. In casi del genere è utile isolare l’intera strada fino a che tutti i reperti non siano stati raccolti».
Una volta che la scena del delitto sia stata isolata interviene il crime scene manager (CSM). Prima di mettersi al lavoro indossa un apposito equipaggiamento: una tuta bianca, una retina per capelli o un cappuccio, delle sovrascarpe e due paia di guanti protettivi, uno sopra l’altro (alcuni liquidi potrebbero filtrare attraverso il primo paio di guanti). Infine indossa una maschera chirurgica per evitare di contaminare la scena del delitto con il suo DNA, oltre che per proteggersi da sostanze organiche come sangue, feci e vomito. Dopo essersi opportunamente equipaggiato percorre la scena del delitto avendo cura di disporre prima sul pavimento, a mano a mano che procede, alcune tavole per proteggerne la superficie. In questa fase preliminare va alla ricerca di indizi che possono portare all’identificazione del colpevole in tempi rapidi e che hanno, di conseguenza, un’importanza fondamentale. Tra le tracce di questo tipo possono esserci, per esempio, un’impronta vicino alla finestra da cui è uscito l’aggressore, o delle gocce di sangue che dall’abitazione arrivano fino alla strada. È possibile ottenere un profilo del DNA, a partire da una macchia di sangue, in appena nove ore, ma se si ha a disposizione una maggiore quantità di tempo i costi si riducono sensibilmente.
Peter deve tener conto contemporaneamente di tutti gli elementi in gioco. Il National DNA Database, per esempio, non è aperto per tutto il fine settimana, e se non si può controllare immediatamente il profilo non c’è motivo di chiedere un’analisi urgente. In casi del genere la strategia migliore può essere chiedere che il lavoro sia eseguito in ventiquattro ore, in modo tale che il profilo sia pronto il lunedì mattina, per la riapertura del database.
Dobbiamo pensare a tutto ciò che ci occorre per ottenere i risultati che ci interessano. Le cose che vedete in televisione non le facciamo tutti i giorni, e quando le facciamo sono la nostra ultima spiaggia. Quando si lavora in ambito legale il rispetto dei tempi è fondamentale, e anche noi altri dobbiamo riposare se vogliamo lavorare come si deve. La custodia cautelare di un sospetto ha durata limitata e il nostro lavoro in questa fase consiste nel ricavare dagli indizi preliminari gli elementi in base ai quali la polizia può decidere se confermare o meno il fermo. Ogni volta dobbiamo mettere sul piatto della bilancia interessi diversi e contrapposti.
Mentre vengono fatte queste considerazioni il lavoro sulla scena del delitto continua. Gli agenti della polizia scientifica scattano fotografie della stanza da tutte le angolazioni: i loro rilievi devono coprire ogni dettaglio, inclusi il pavimento e il soffitto, in modo tale che se qualcosa viene spostato è possibile rilevare lo spostamento. A volte niente sembra rilevante e poi, magari dieci anni dopo, la riapertura di un caso irrisolto può mettere in luce alcuni elementi fondamentali che erano stati trascurati.
Viene inoltre sistemata una fotocamera rotante in mezzo alla stanza che scatta una serie di fotografie che verranno unite da un software. Questo consentirà alla giuria di visualizzare la scena del crimine, di c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Capitolo 1. La scena del crimine
  4. Capitolo 2. La scena del crimine negli incendi dolosi
  5. Capitolo 3. Entomologia
  6. Capitolo 4. Patologia
  7. Capitolo 5. Tossicologia
  8. Capitolo 6. Impronte digitali
  9. Capitolo 7. Macchie di sangue e DNA
  10. Capitolo 8. Antropologia
  11. Capitolo 9. Ricostruzione facciale
  12. Capitolo 10. Informatica forense
  13. Capitolo 11. Psicologia forense
  14. Capitolo 12. Il tribunale
  15. Conclusioni
  16. Ringraziamenti
  17. Bibliografia