Exit Strategy. L'Unione Europea: com'è nata, come funziona e perché bisogna combatterla
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Exit Strategy. L'Unione Europea: com'è nata, come funziona e perché bisogna combatterla

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Spacciata come punto d'approdo di un percorso nato per favorire la pace e garantire la libertà, l'Unione Europea è, nella realtà dei fatti, un organo burocratico niente affatto interessato al benessere del continente. A dimostrarlo, insieme alle scelte politiche della UE, la sua stessa storia, una vicenda all'interno della quale trova spazio una sola esigenza: quella di favorire la "libertà" del capitale speculativo contro la sovranità popolare. Per questo rompere la gabbia dell'Unione Europea non è solo giusto, ma anche assolutamente necessario.

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Informazioni

BREVE STORIA ECONOMICA
E POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA

UN’INTERPRETAZIONE IDEALIZZANTE DELLA STORIOGRAFIA sul processo d’integrazione europea vuole che proprio durante la Resistenza e nei campi di concentramento creati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale sia rinata e abbia preso forma l’idea dell’unificazione. Questa lettura, fatta propria in questi ultimi anni anche dalla sinistra “unioneuropeista”, non trova però riscontro nella realtà documentale. I comunisti, che della Resistenza furono i protagonisti più numerosi e meglio organizzati, dimostrarono all’epoca scarso interesse quando non un netto rifiuto per una proposta che mal si conciliava con l’internazionalismo e gli interessi delle classi subalterne. Piuttosto se l’idea di un’Europa unita aveva raccolto qualche consenso a cavallo tra le due guerre mondiali questo era avvenuto proprio in chiave anticomunista. Winston Churchill, futuro primo ministro britannico e convinto sostenitore del processo d’integrazione continentale, già dagli anni Trenta esortava i Paesi dell’Europa occidentale a federarsi per contenere e isolare la rivoluzione bolscevica dando vita agli Stati Uniti d’Europa. Per completare il quadro occorre ricordare come in quel periodo anche nelle organizzazioni della Resistenza ispirate ai valori del patriottismo tradizionale, come in Francia il movimento gollista, più che all’Europa si guardasse alla ricostruzione del ruolo internazionale e della grandeur della nazione. Anche nella Resistenza italiana, dove il sostegno al progetto del federalismo europeo fu indubbiamente più forte, esso rimase sempre espressione di gruppi elitari e di forti individualità legate quasi esclusivamente al Partito d’Azione tra cui Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e, soprattutto, Altiero Spinelli, colui che con le sue idee e le sue opere avrebbe influenzato più a lungo e più profondamente il Movimento Federalista Europeo. Nel suo Manifesto di Ventotene, un documento programmatico stilato nel 1944 mentre era al confino sull’isola, Spinelli indicava l’Unione europea come il frutto di una vera e propria rivoluzione politica che avrebbe richiesto una strategia e dei militanti “di professione” oltre che la struttura organizzativa di un movimento capace di agire dentro e al di sopra dei partiti tradizionali. Il federalismo italiano rimase però un fenomeno unico e sostanzialmente isolato a livello europeo, costretto nel giro di pochi mesi a una sconfitta sia politica che culturale. A guerra finita esso si troverà a confrontarsi con posizioni moderate e gradualistiche che finiranno per prevalere dando al processo d’integrazione un ben diverso orientamento. E anche il Partito d’Azione, l’unico ad aver accolto con qualche convinzione la prospettiva europeista, si avvierà ben presto verso la dissoluzione. Quando l’idea europea riprenderà a correre lo farà sulle gambe delle tariffe doganali e dei mercati, ma soprattutto sotto la spinta di Washington e delle strategia della guerra fredda.

1945-1950. CARBONE, ACCIAIO E GUERRA FREDDA.

Ancor prima della fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti promossero l’istituzione dei tre principali regimi di cooperazione internazionale del dopoguerra: il sistema di Bretton Woods (1944) per i cambi monetari; il General Agreement on Tariffs and Trade, GATT, (1947) per il commercio internazionale e la North Atlantic Treaty Organization, NATO, (1949) in ambito militare. Questi tre regimi condizioneranno irreversibilmente il processo d’integrazione europea e la costituzione di un blocco occidentale. D’altronde i prodromi del conflitto Est-Ovest incubati nel corso del conflitto si manifestarono pienamente già a partire dal 1946 intorno al futuro della Germania a cui era inevitabilmente legato anche quello dell’Europa. Sul fronte economico il 1946 si era chiuso con un buco di 7 miliardi di dollari nella bilancia commerciale dei Paesi dell’Europa occidentale, e questo nonostante i massicci prestiti americani ricevuti nel corso dell’anno da Gran Bretagna, Francia, Belgio e Olanda. L’enorme deficit suscitava forti preoccupazioni a Washington, per l’evidente incapacità europea di pareggiare i conti con i fornitori nordamericani e per le conseguenze che ciò avrebbe avuto per l’economia statunitense, dipendente dalle esportazioni in misura molto maggiore che nel periodo prebellico. Inoltre, nel contesto della crescente competizione con l’URSS, gli Stati Uniti vedevano l’Europa povera e divisa come un pericolo, poiché facile preda del comunismo. Il 12 marzo del 1947, davanti al congresso degli Stati Uniti, il presidente Truman pronunciò un discorso che molti storici indicano come l’inizio della guerra fredda impegnando gli USA a «sostenere i popoli liberi che si oppongono ai tentativi di oppressione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne».
Le implicazioni di quella che venne poi ribattezzata come la “dottrina Truman” apparvero chiare fin da subito. Il 10 marzo si era infatti aperta a Mosca la quarta conferenza sul futuro della Germania alla quale partecipava il nuovo segretario di Stato George Marshall. I sovietici insistevano per la creazione di uno Stato unitario tedesco centralizzato, ma la proposta contrastava con il disegno degli USA che propendevano per una soluzione confederativa e questo diede loro il pretesto per far saltare il negoziato. Tornato a Washington, nel corso di alcune apparizioni pubbliche, Marshall non lasciò dubbi sull’inconciliabilità tra le posizioni sovietiche e quelle statunitensi e sull’urgenza di procedere unilateralmente alla ricerca di una “soluzione” per la questione tedesca. Dopo poco più di un mese, preparato a tappe forzate dal Dipartimento di Stato, nacque il cosiddetto “Piano Marshall”, il cui annunciò fu fatto dallo stesso segretario di Stato il 5 giugno del 1947 con un discorso all’università di Harvard. La guerra fredda era ormai dichiarata.
Dal 1948 al 1952 attraverso il piano Marshall gli Stati Uniti concessero aiuti all’Europa per 12 miliardi di dollari, la metà dei quali a Gran Bretagna, Francia e Germania occidentale. Si trattava principalmente di contributi unilaterali (e non prestiti) che vennero utilizzati per pagare le importazioni di merci dagli stessi Stati Uniti. In particolare questi fondi permisero l’importazione di macchinari tecnologicamente avanzati necessari alla nascita di una produzione su larga scala fondata su un’organizzazione del lavoro di stampo fordista, un processo che venne favorito anche dal trasferimento di tecnologia da parte delle multinazionali statunitensi, come la stessa Ford, incoraggiate dal piano Marshall a investire in Europa. Parallelamente venne creata un’istituzione sovranazionale intergovernativa, l’OECE (Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea), il cui scopo era quello di coordinare l’attuazione del piano e rimuovere gli ostacoli alla ricostruzione del commercio. Dopo il 1945 le valute europee erano inconvertibili, non potevano cioè essere scambiate con le altre valute senza il permesso dei rispettivi governi. Le maggiori nazioni europee erano in bancarotta e gli scambi tra loro erano spesso basati sul baratto e su accordi bilaterali. Nel 1947 il volume del commercio intraeuropeo raggiunse appena il 60% di quello registrato nel 1938 prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Per iniziativa dell’OECE nel 1950 venne creata un’altra istituzione, l’Unione Europea dei Pagamenti (UEP), che rese multilaterali molti degli accordi tra Paesi e che attraverso un sistema di compensazione dei pagamenti permise l’avvio del processo di liberalizzazione del commercio favorendo così una ripresa delle esportazioni. La progressiva integrazione commerciale in Europa fece sì che la dimensione e la frammentazione dei mercati cominciasse a non costituire più un limite per l’adozione delle nuove tecnologie e dei nuovi metodi di produzione.
La dottrina Truman e il Piano Marshall erano i due pilastri, ideologico l’uno, economico l’altro, sui quali in meno di due anni gli Stati Uniti costruirono il blocco occidentale. Il terzo pilastro, come anticipato, sarà il Patto Atlantico (NATO) che del blocco avrebbe costituito il sistema “difensivo”. La reintegrazione politica della Germania, con la ricostruzione di uno Stato tedesco occidentale e più tardi il suo riarmo erano quindi destinati a diventare il fulcro della politica europea degli Stati Uniti. I dirigenti americani non ignoravano che tanto l’opinione pubblica europea quanto i governi, su tutti quello francese, erano fortemente ostili al recupero politico ed economico della Germania a soli due anni dalla fine della guerra. Solo un pericolo “imminente” come quello di una presunta aggressione sovietica avrebbe potuto convincerli ad accettare la partnership teutonica, ma ciò doveva essere accompagnato da forti garanzie che evitassero la rinascita del pericolo tedesco. Quelle garanzie sarebbero state in primo luogo l’impegno statunitense a mantenere una presenza militare in Europa e a sostenere la ricostruzione economica europea per contenere l’avanzata dei partiti comunisti occidentali. Un’ulteriore garanzia fu la promessa che il recupero della Germania sarebbe avvenuto nel quadro di un’unificazione europea di cui gli USA divennero convinti sostenitori. Già il 22 marzo del 1947, pochi giorni dopo l’annuncio della dottrina Truman e il fallimento dei negoziati di Mosca, il Congresso statunitense approvò una risoluzione presentata dal senatore Fulbright in cui si affermava solennemente: «Il Congresso degli Stati Uniti favorisce la creazione degli Stati Uniti d’Europa».
Era l’inizio di un sostegno attivo ai programmi d’integrazione europea destinato a durare per più di un ventennio.
Ovviamente la sovrapposizione tra europeismo e atlantismo e il clima da guerra fredda non mancarono di far sentire il loro peso sulla direzione e sugli obiettivi del processo d’integrazione che prese forma proprio in quegli anni. L’offensiva per il superamento dello Stato nazionale e della sua sovranità, che era alla base della dottrina federalista, non era infatti più proponibile di fronte a un pericolo che veniva presentato come imminente. L’urgenza di edificare il blocco occidentale mostrò immediatamente la propria incompatibilità col tema della costituente europea cara ai federalisti. Infatti, se da un lato le esigenze della difesa comportavano la cessione di sovranità a vantaggio della collaborazione, dall’altro richiedevano il rafforzamento degli Stati e dei rispettivi governi al fine di aumentare il controllo e l’egemonia sui propri cittadini. Serviva, a tal proposito, un progetto che avesse anche la capacità di contrapporsi all’attrazione esercitata dal comunismo e dal socialismo sulle masse europee uscite dal conflitto mondiale ideologicamente esauste e materialmente impoverite. Nel maggio del 1947 Churchill, in un discorso tenuto alla Albert Hall di Londra, sostenne pubblicamente la politica statunitense rispetto alla questione tedesca affermando che «senza la soluzione del problema tedesco non ci può essere l’Europa Unita»; ribadendone poi in maniera chiara l’impostazione anticomunista e antisovietica: «lo scopo dell’Europa Unita è quello di offrire una decisiva garanzia contro l’aggressione».
Lo stesso Churchill nel dicembre successivo indisse quindi la prima grande manifestazione europeista continentale, il Congresso d’Europa, che si sarebbe tenuta dal 7 al 10 maggio del 1948 all’Aja.
La conferenza, che vide riuniti nella città olandese i maggiori statisti dell’Europa occidentale insieme ai più convinti sostenitori dell’idea federalista, non produsse però risultati concreti. La risoluzione finale appariva infatti come la mediazione tra chi, come i federalisti, spingeva per la costituzione di un’assemblea europea eletta direttamente dai cittadini e dotata di un potere costituente, e i sostenitori di una Confederazione (o Unione) secondo cui i membri dell’assemblea avrebbero dovuto essere indicati dai rispettivi governi. L’assemblea europea nacque un anno dopo, il 5 maggio 1949, a Londra, con la denominazione di Consiglio d’Europa. Vi parteciparono fin dall’inizio dieci Paesi: Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Svezia. Si trattava di un organo consultivo che a sua volta si dotava di una Assemblea Consultiva e di un Comitato dei Ministri, e che proprio a quest’ultimo affidava per Statuto i compiti di elaborare le misure atte a realizzare gli scopi del Consiglio. È in questi mesi che tra federalisti e unionisti inizia ad affermarsi un nuovo approccio, quello rappresentato dai funzionalisti. La soluzione “funzionale” prevedeva un’integrazione graduale per settori e per funzioni, specie di natura economica e commerciale, nella convinzione che, a un certo punto, si sarebbero create le condizioni per il trasferimento dei poteri politici a un’autorità sovranazionale senza però predefinire un assetto istituzionale finale. Si trattava di un approccio intergovernativo che coinvolgeva le classi dirigenti, i governi e le rispettive burocrazie lasciando fuori i popoli e che impresse al processo d’integrazione europeo quel carattere post-democratico ed elitario che tuttora permane.
L’ulteriore passo verso l’integrazione europea a guida statunitense fu, come detto, la creazione dell’organizzazione di difesa euro-americana, con il varo del Patto Atlantico che venne firmato il 4 aprile del 1949 da parte di dodici Stati occidentali. Nonostante la sua natura prevalentemente militare la Nato diventò fin dall’iniziò lo strumento che legava l’Europa e gli USA a un’alleanza politica e ideologica che perdura ancora oggi, a oltre sessant’anni dopo la sua firma e la scomparsa del cosiddetto “pericolo sovietico”.
Intanto procedeva l’integrazione politica ed economica della Germania nel blocco occidentale in via di formazione. Subito dopo la fine della guerra la Germania era stata suddivisa dagli alleati in quattro zone d’occupazione, con la fusione delle tre zone sotto il controllo francese, inglese e statunitense venne creata un’amministrazione tedesca e furono indette le elezioni nei Länder. Nel giugno del 1948 venne adottata la riforma monetaria con la sostituzione del ReichsMark con il DeutscheMark e tra il settembre del 1948 e il maggio del 1949 venne formulata e approvata la nuova Costituzione. Nell’estate del 1949 vennero infine eletti il nuovo parlamento e costituito il nuovo governo. La riforma monetaria ma ancor di più gli aiuti statunitensi diedero al neonato Stato tedesco occidentale gli strumenti per la ricostruzione economica e politica e posero a breve scadenza anche il problema del riarmo. La prospettiva della ricostruzione dell’economia tedesca e più ancora quella del riarmo aprirono però un problema fondamentale per la Francia che fin dalla fine del conflitto insisteva per la separazione della Ruhr e della Renania dalla Germania e per il protettorato francese sulla Saar. In questo modo Parigi avrebbe privato l’economia tedesca del suo polo industriale più dinamico, senza il quale era difficile immaginarne anche un possibile futuro riarmo, e si sarebbe assicurata l’approvvigionamento di carbone della Ruhr per la propria industria. Il governo francese finì però per trovarsi in difficoltà nei confronti degli stessi Stati Uniti che volevano uno Stato tedesco ricostruito e inserito a pieno titolo nel blocco occidentale e che esercitarono enormi pressioni in tal senso. A sbloccare la situazione contribuì il passaggio di consegne della politica estera francese da George Bidault a Robert Schuman che inaugurò una nuova fase nei rapporti franco-tedeschi e segnò l’allineamento di Parigi alla politica statunitense. Alla vigilia della riunione sulle quote di produzione, fissata per il 10 maggio del 1950 a Londra, quando era ormai chiaro che il piano francese di internazionalizzazione della Ruhr non era più in grado di reggere le crescenti contraddizioni economiche e politiche, il ministro degli esteri francese presentò dunque la proposta per un’autorità dotata di poteri sovranazionali che avrebbe gestito, controllato e commercializzato la produzione di carbone e acciaio di Francia e Germania e di quei Paesi europei che avessero accettato di partecipare. Alla CECA (Communauté européenne du charbon et de l’acier) aderirono i Paesi del Benelux e l’Italia. I negoziati per la stesura del trattato si protrassero fino al marzo del 1951 e la firma dello stesso arrivò il 18 aprile dello stesso anno. Come ebbe a scrivere il leader socialdemocratico tedesco Kurt Schumacher, con la CECA era stata creata un «Europa dominata da quattro K: Kapitalismus, Klericalismus, Konservatismus e Kartel».

1950-1954. LA SCONFITTA ANNUNCIATA DEL FEDERALISMO EUROPEO.

Gli anni che seguirono l’istituzione della CECA segnarono anche il fallimento del tentativo di imprimere una svolta federalista al processo d’integrazione attraverso la costruzione della Comunità Europea di Difesa (CED) e rappresentano da questo punto di vista un vero e proprio spartiacque nelle vicende della costruzione europea. L’escalation della guerra fredda, che avrebbe raggiunto il suo punto di rottura nella guerra di Corea (1950-53), aveva convinto i principali esponenti dell’amministrazione Truman ch...

Indice dei contenuti

  1. Unaltrastoria
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Introduzione
  5. Breve storia economica e politica dell’Unione Europea
  6. Il Sistema di governo dell’Unione Europea
  7. La Sinistra e l’Europa
  8. Indice
  9. Red star e-book