Bruno si alzò e recitò la sua massima «sognare
la realtà vivere un sogno, cantare per non vivere niente».
L’indomani mi sarei alzato alle 7, per affrontare
due ore dopo un’orda di liceali a Palestrina.
Rino Gaetano,
dal booklet di Ingresso Libero
Melissa (Crotone), ottobre 1949. I contadini occupano le terre, sedi di secolari latifondi, al grido di “pane e lavoro”. Tre di loro – due giovani e una donna – vengono assassinati. L’Italia che è da poco uscita dalla miseria della guerra trova una nuova ragione di rabbia e di pianto, ma anche la coscienza del desiderio di cambiamento e progresso.
In questo contesto sociale difficile ma combattivo nasce l’anno dopo, 29 ottobre 1950, proprio a Crotone, Rino (il suo vero nome è Salvatore Antonio) Gaetano.
Come per altri milioni di calabresi e abitanti del meridione – a quei tempi, e purtroppo anche ai giorni nostri – la soluzione più consona a una vita decente non può essere che emigrare nei grandi poli industriali del nord Italia o del nord Europa, oppure trasferirsi nella capitale che lievita di nuovi quartieri per nuovi romani, impiegati soprattutto nell’edilizia o nella burocrazia capitolina.
Così, nel 1960, la famiglia Gaetano va ad abitare nel quartiere di Monte Sacro, dove il padre prende il posto da portiere. Una storia in cui tanti non avranno difficoltà a riconoscersi, una tematica, quella dell’emigrazione, che sarà presente praticamente in tutti i dischi di Rino e che è viva, direi fisicamente, persino nella sua voce, nelle sue vocali aperte miste ai modi di dire tipici di Roma.
Rino studia da geometra per tre anni, inizia a strimpellare la chitarra, a comporre canzoni, ad amare il teatro, figlio di un fermento creativo caratteristico di quegli anni. Ed è proprio nell’ambito del cabaret e del teatro che c’è il primo impatto col pubblico. È la Volpe di Pinocchio in uno spettacolo musicale per ragazzi, recita anche nel più “serio” Aspettando Godot di Samuel Beckett, il cui astrattismo denso di significato non è detto non abbia potuto influenzare le sue prime composizioni. Cantante e autore, ma anche cantante e attore Rino Gaetano lo sarà sempre; non quel teatro con la voce nasale e tremolante, le ampie pause e i teschi in mano, ma quello un po’ giullaresco, attivo, sperimentale che è capace di canzonare, inventare e soprattutto provocare. Tutti elementi che ritroveremo nelle sue canzoni.
Già, ma come fa il figlio di un portiere di Monte Sacro, ieri come oggi, a diventare un cantautore?
Be’, non è facile, specialmente quando la propria forza sta tutta in un’originalità dirompente, che richiede quindi qualcuno disposto a rischiare.
Già nei primi anni ’70, grazie anche a locali come il Folk Studio (leggenda vuole che vi si esibì anche un giovanissimo Bob Dylan), si diffonde l’idea dell’esistenza di una “scuola romana” di cantautori. Giovani cantanti e autori, accompagnati spesso solo dal piano o dalla chitarra, per i quali, in un modo o nell’altro, c’è la riconoscibilità della propria provenienza, anche se i mezzi con i quali essa emerge sono assai diversi da cantautore a cantautore.
Rino, da grande dissacratore, ha la sua posizione sull’argomento, così come raccolta da Claudio Bernieri in Non sparate sul cantautore («Quaderni di cultura e classe» n. 28, Mazzotta, 1978):
Ma esiste una Scuola Romana di cantautori?
La mania è nata da quelli di Milano, che, convinti che esisteva
una Scuola di Roma, hanno inventato una Scuola di
Milano: ma a Roma non c’è mai stata. Scusa, ci si ritrovava
ogni tanto a suonare al Folk Studio una canzoncina, però
alla fine a scrivere le canzoni eravamo ognuno a casa nostra.
Sì, ci si vede ogni tanto, ci si telefona: «Ciao Antonello, andiamo
a mangiare insieme?». E si parla di calcio.
Chinaglia può o non può passare al Frosinone… In questo senso l’unica vera scuola pare essere quella dei primi anni ’60 genovesi quando Tenco, De Andrè, Paoli, Lauzi, davano un impulso innovatore alla storia della canzone italiana.
Negli anni ’70 una piccola etichetta, la It records, di proprietà di Vincenzo Micocci, e legata alla Rca, insieme col produttore Sergio Bardotti, era stata la prima a credere, per esempio, in Venditti e De Gregori, producendo Theorius Campus.
Il rapporto tra i giovani cantautori e Vincenzo Micocci non sarà sempre un idillio. Alberto Fortis, per essersi visto negare un provino nel 1978, scatenerà le sue ire dedicandogli Vincenzo io ti ammazzerò, dandogli addirittura del «troppo stupido per vivere» e proseguendo con la bile di A voi romani (era sicuramente assai prima del suo attuale spiritualismo ispirato dalle tribù dei nativi americani…).
Ecco cosa ha dichiarato Vincenzo Micocci a proposito di Rino Gaetano in «Emozioni in Musica» (n. 48, De Agostini, 1991):
Era realmente underground e ha lasciato testi e musiche
ancora oggi attualissimi, dischi molto aggiornati. Da calabrese,
cioè da uomo del sud immigrato, aveva afferrato la
drammaticità di certi problemi (…). Ripeto, è andato via
troppo presto, fosse nato negli Usa se ne parlerebbe oggi
come di Roy Orbison…
It prima e Rca poi, sarà il percorso discografico anche di Rino Gaetano. Diverso per il modo scanzonato, guittesco, e allo stesso modo profondo e introspettivo col quale si presenta, diverso per il piglio diretto col quale fa nomi e cognomi dei bersagli della sua satira, diverso per il modo in cui reinterpreta quelle che sono ormai già sedimentazioni nella giovane canzone d’autore italiana, atteggiamenti che lo fanno assomigliare a un Buscaglione o uno Jannacci in mezzo ai Guccini e ai De Gregori, con un grande potenziale, non solo di risate, ma di poeticità, ancora tutto da scoprire.
Così nascono i singoli I love you Marianna e Jaqueline che, sul mondo della discografia, hanno l’effetto di far guardare con curiosità ma anche con sospetto a questo nuovo cantautore.
Il primo sarebbe un gioco di parole tra Marianna e Marijuana, interpretata sotto lo pseudonimo di “Kammamuris”: in questo caso, gli Articolo 31, gruppo hip hop di successo negli anni ’90, non avrebbero inventato gran che col loro Ohi, Maria (del resto li sappiamo fan di Rino Gaetano, che hanno anche campionato in Mille modi di fare l’amore). In realtà la nonna di Rino si chiamava Marianna e forse l’ipotesi meno suggestiva che la canzone sia dedicata a lei è anche la più veritiera. Coro femminile, una babele di lingue, testo impalpabile e comico: lo spirito dissacratore di Rino è già in azione.
In Jaqueline (che sia la sofisticata e riccona Kennedy Onassis?) il banjo e il pianoforte spediti al ritmo di un fox trot andante incalzano la voce su una tonalità altissima:
Un sacco di caffè veniva dal Perù
Ma su questo tono non ce la faccio più…
Nel 1974 esce il primo Lp, si chiama Ingresso Libero, ironicamente polemico sul mondo di dischi e canzoni che tanto libero non sembra. Comincia l’avventura del cantautore figlio del portiere di un palazzo di Monte Sacro, che sarà sempre pronto a cantare la sua gente, operai della Fiat, emigranti, baraccati e bulli di quartiere, donne e amori, e non avrà paura di mettere in ridicolo corrotti e corruttori del jet-set.
Ingresso Libero è un album in ...