La politica educata
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La politica educata

Una proposta di formazione alla politica della Diocesi di Lecce

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La politica educata

Una proposta di formazione alla politica della Diocesi di Lecce

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Informazioni sul libro

La Scuola di Formazione Politica promuove un'idea di politica che vede nell'animazione di comunità il proprio elemento distintivo. Compito dell'animatore è organizzare la domanda di cambiamento e farsi carico della costruzione delle relative risposte. Ai giovani di Azione Cattolica della Diocesi di Lecce, la Scuola ha affidato questo importante compito: leggere le esigenze e le emergenze del territorio e tradurle in progettualità politiche. Un briciolo di quel "lievito" evangelico che, senza clamore, trasforma. In tale ottica essa diviene una palestra di formazione di una classe dirigente nuova, non solo in senso anagrafico, ma anche e soprattutto in quanto portatrice di una cultura dell'agire politico radicata nella dimensione locale, nei rapporti di prossimità e in grado anche di interfacciarsi con una dimensione nazionale e sovranazionale con le "reti lunghe" che dominano la scena politica ed economica globale. La Scuola di Formazione Politica è stata realizzata grazie alla collaborazione di Don Nicola Macculi, direttore Caritas diocesana di Lecce, Annarita Quarta, direttore Pastorale Sociale del Lavoro di Lecce e Mauro Spedicato, Presidente diocesano di Azione Cattolica.

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Informazioni

Capitolo 1
La parola e la politica

1.1 La fede e l’agire quotidiano

Nel pezzo di Salento coinvolto dalle azioni di animazione territoriale si scorge una idea di fede che vuole liberarsi dai lacci di una consuetudine che l’ha trasformata in una religione le cui cifre fondamentali sono state: la dimensione intimistica e la conseguente riduzione dell’impegno nei confronti dell’altro a un fatto puramente eventuale e comunque circoscritto nel recinto di una “aristocratica” erogazione di interventi caritatevoli.
Quella che emerge è una idea di fede che, liberata finalmente da una interpretazione clericale, si fa testimonianza attraverso gesti e comportamenti concreti. «Una fede che non è tangibile ma la si può riconoscere e toccare attraverso il comportamento dei credenti» (Vernole). «È la base per un cammino comune, fonte di insegnamento e riflessione interiore, propiziatrice di esperienze concrete di impegno comunitario e sociale in favore degli altri» (Lecce).
Una fede mai interamente posseduta una volta per sempre, ma costantemente «in fieri, una sorta di continuo e mutabile flusso di pensieri, sensazioni, emozioni e volontà» (Monteroni); «un percorso in continua crescita e in continua formazione e, in questo percorso, sempre in divenire»; motivo della «costruzione di nuove speranze e di un servizio da spendere difronte alle nuove sfide dei nostri tempi» (Lecce).
Se l’obiettivo di una necessaria de-clericalizzazione della fede è presente in gran parte dei racconti, a questa consapevolezza non corrisponde una altrettanto chiara consapevolezza dei modi e dei mezzi grazie ai quali conseguire l’obiettivo. In altre parole, sembra mancare a quei racconti la consapevolezza di un salto culturale nel dire la fede a partire dalla riappropriazione dei contenuti che il Concilio esprime circa i tratti caratterizzanti i laici cristiani e il loro impegno nella città. «La difficoltà di parlare realmente della fede, specie tra i più giovani, e collegarla all’agire quotidiano» (Lecce) trova le sue ragioni, appunto, in questo deficit culturale.

1.2. Il messaggio di Papa Francesco e la Chiesa

Il magistero di Papa Francesco insieme al suo stile pastorale è “segno di contraddizione”. Molti sottolineano la portata “rivoluzionaria” del suo messaggio. La sua insistenza sul tema degli “scartati” dal modello di sviluppo economico attualmente egemone, che crea diseguaglianze sociali e mette in crisi il rapporto tra l’uomo e l’ambiente; sul tema della misericordia e della compassione di Dio, «senza cambiare le regole morali, ma cancellando il moralismo rigido della Chiesa» (Vernole); sul tema del clericalismo nella Chiesa che ne condiziona pesantemente l’immagine e lo stile, «riportando la Chiesa all’essenzialità del Vangelo. Sta minando quelli che sono gli apparati che non si ritrovano nel Vangelo, provocando una trasformazione della Chiesa stessa» (Lecce); sul tema della Chiesa in uscita: «una Chiesa missionaria, aperta»; «apre la Chiesa alla povertà del mondo» (Monteroni).
Il segno di contraddizione, naturaliter, non può non provocare disorientamento e opposizione: «Il messaggio di Papa Francesco sta influenzando in maniera distorta la comunità; purtroppo, essendo un messaggio – a detta di alcuni – molto libero, in tanti lo interpretano a proprio piacimento» (Vernole). «Il Papa parla e nessuno lo ascolta; le sue parole mettono sempre meno in crisi la scena politica, a differenza di quanto avveniva in passato» (Monteroni). «La difficoltà di seguire un messaggio che può risultare duro nella concretezza e nel quotidiano e che a volte pecca di ottimismo; mette in discussione strutture e pratiche consolidate» (Lecce).

1.3. L’eredità del cattolicesimo politico e il ruolo della Chiesa

Riflettendo sull’eredità che i cristiani impegnati in politica hanno lasciato, la maggioranza degli intervistati ha citato, senza indugio, le figure di Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Vittorio Bachelet. Essi hanno influenzato e ispirato intere generazioni e il loro pensiero e il loro agire sono stati riferimento per tante donne e uomini che ci hanno consegnato uno Stato democratico e repubblicano fondato sui valori della solidarietà sociale. In particolar modo, La Pira e Moro vengono visti come gli esempi più emblematici del perfetto equilibrio tra l’essere cristiano e l’essere politico. «Questi due aspetti non sono assolutamente agli antipodi, come spesso si pensa. Il cristiano deve necessariamente sporcarsi le mani, intendendo con ciò l’impegno nella comunità civile. Il cristiano non deve sdoppiarsi ma deve apportare il suo contributo di laico e di credente anche nell’ambiente politico, diventando, in questo modo, un prezioso valore aggiunto» (Monteroni).
È importante sottolineare come la ispirazione religiosa in politica, tuttavia, non può essere spesa in termini di mera affermazione dei valori cristiani, «questi valori si devono confrontare con i valori anche dei non cattolici» (Lecce). La consapevolezza che lo spazio della politica è abitato dalla diversità e dalla pluralità delle culture conduce il politico cristiano ad agire secondo il metodo del dialogo: «la politica è confronto di valori» (Lecce), negarlo significa cedere ad atteggiamenti integristi. L’eredità, forse, più significativa che le richiamate figure del cattolicesimo politico italiano hanno lasciato è rappresentata proprio della loro capacità di esercitare il metodo del confronto. Grazie alla cultura della mediazione, infatti, i principi del personalismo cristiano hanno potuto innervare l’impianto valoriale della nostra Costituzione; grazie alla cultura della mediazione, che non è mai stata cedimento o affievolimento, il cattolicesimo democratico è stato artefice non soltanto dell’architettura democratica dello Stato, ma anche delle concrete politiche di sviluppo economico e civile della società italiana.
Il discorso sul metodo dell’impegno politico dei cristiani continua a essere il tema più dirimente, più difficile e più complesso per i cattolici. Gli orientamenti emersi nel corso della ricerca-azione sono diversi e tra loro distanti.
Una prima posizione, che potremmo definire tradizionale, muovendo dalla esigenza di recuperare una responsabilità politica non più solo in termini di opzioni individuali ma di scelta collettiva, conduce a prospettare ancora una presenza “identitaria”, capace di «fare la differenza, evitando di essere omologati e diventare insignificanti» (Lecce). Il richiamo alle figure carismatiche del passato, testimoni di una fede incarnata nella storia, sembra dire più una nostalgia che un progetto. L’auspicio di una presenza identitaria porta poi a riaffermare la tradizionale collocazione centrale dei cattolici sullo scenario politico: «Noi cattolici siamo nati per stare al centro; attualmente veniamo messi un po’ qua e un po’ là e alla fine non contiamo niente da nessuna parte» (Monteroni). Nell’ambito di questa posizione è presente, comunque, una idea di laicità della politica, ribadita, di fatto, quando si afferma che «la Chiesa non deve avere un partito, ma deve avere persone formate che siano presenti in politica per il bene comune» (Monteroni).
Un secondo orientamento, nettamente distinto dal precedente e che potremmo definire clericale, ammette che «la Chiesa, intesa sia come gerarchia che come comunità laica, deve avere un ruolo totalizzante in politica. Come avveniva nelle comunità tradizionali, le Chiese dovrebbero orientare a tal punto le vicende politiche ed individuali, da fare comprendere che ogni atto della vita deve essere rivolto alla ricerca del Sacro. Il ruolo della Chiesa nella politica deve essere vivo nella difesa della vita e dei valori umani. La Chiesa deve avere un ruolo molto importante in politica, e non deve quindi avere paura di esporsi» (Vernole).
Una posizione agli antipodi di questa muove invece dall’affermazione che «la Chiesa deve avere un ruolo costruttivo nella società e non interessarsi specificamente di politica» (Vernole). In particolare, «non deve occuparsi della politica intesa come partitica; la Chiesa intesa come gerarchia deve esserne fuori; non deve prendere parte attiva nella politica cioè inserirsi nel dibattito politico a favore di una determinata parte. Nessuna commistione deve esserci tra Chiesa e partiti» (Lecce).
Infine, un quarto orientamento, che potremmo definire pluralista, riconosce più utile «una presenza di cristiani cattolici nei pari partiti politici, piuttosto che l’idea di un partito esclusivamente cattolico; questo perché sia il radicalismo estremo potrebbe metter radice all’interno di un partito solo cattolico e il che sarebbe un male e sia perché in ogni partito esistente la presenza di almeno un esponente cattolico ispirato al Vangelo apporterebbe solo benefici allo Stato» (Vernole). C’è in questa posizione una maggiore consapevolezza della distinzione dei ruoli e quindi dell’autonomia del laico rispetto alla Chiesa, «il ruolo attivo in politica è un ruolo che devono rivendicare i cittadini non la Chiesa in quanto tale; […] non è che l’essere cattolico costituisca un titolo differenziale per rivendicare un ruolo politico» (Lecce).
Non v’è dubbio che la diversità di posizioni sul tema del rapporto tra fede e politica rispecchi le incertezze, e forse anche una certa confusione, che caratterizzano lo stesso dibattito nazionale. Incertezza e confusione che, occorre riconoscerlo, sono il risultato di una mancata valorizzazione delle responsabilità laicali. Un laicato formato secondo schemi culturali improntati a una idea di Chiesa “clericale”, nei quali il ruolo primario spetta alla gerarchia e il laicato si adegua, è un laicato immaturo di esercitare la responsabilità politica in maniera autonoma, cioè senza coinvolgere nei suoi atti e nelle sue opinioni la responsabilità della comunità ecclesiale. È il Concilio che manca ancora nei percorsi di formazione del laicato.

Capitolo 2
La politica e le istituzioni

2.1. Rappresentanza e partecipazione

La crisi della rappresentanza è un fenomeno che non risparmia il mondo cattolico, sia quello organizzato sia quello che fa riferimento ai tanti laici credenti non legati a una specifica organizzazione. I cattolici, al pari degli altri cittadini, avvertono una crescente distanza tra eletti ed elettori; prevale una sostanziale sfiducia nella politica. Alla domanda se si sentissero personalmente rappresentati a livello politico, quasi tutti gli intervistati hanno risposto di no, talora in modo radicale:
«L’attuale classe politica è quanto di più lontano da quello che io intendo per mio rappresentante»;
«Sinceramente credo che sia uno dei peggiori momenti per quanto riguarda le nostre istituzioni»;
«Non mi rivedo nessun partito politico»;
«Manca una visione di insieme, un progetto a medio-lungo termine».
In alcuni casi il disagio si tramuta nel rimpianto di passate esperienze politiche: «All’interno Democrazia Cristiana ritrovavo una corrente nella quale mi identificavo».
La crisi della rappresentanza politica manifestata dagli intervistati si riflette in una valutazione sostanzialmente negativa dello stato della democrazia in Italia, significativamente da alcuni raffigurata con metafore di gravità clinica: c’è uno «stato di coma profondo nel senso che la classe politica attuale è costituita da persone che non hanno nessuna cultura democratica reale, che non hanno nessuna capacità di analisi, nessuna propensione alla complessità, nessuna cultura in generale»; non c’è «un regime, per cui la democrazia sia in pericolo, però i meccanismi attraverso i quali si esplica ciò che siamo abituati a chiamare democrazia sono fortemente inceppati»; «se fosse in ospedale la democrazia penso starebbe nel reparto di rianimazione, perché c’è solo spartizione di potere; quando c’è spartizione del potere ci si trova a non dialogare, a controbattere fra le forze politiche sui temi importanti; dove non c’è un’opposizione seria, dove non c’è un governo coerente con le cose che propone, ritengo non ci sia democrazia».
Sia a livello locale che nazionale si fatica a trovare figure di riferimento, nessuno tra gli intervistati, a eccezione di coloro che sono direttamente coinvolti in partiti, individua ne...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. Presentazione
  7. Introduzione
  8. Parte prima - Il rapporto di ricerca-azione
  9. La metodologia
  10. Capitolo 1 - La parola e la politica
  11. Capitolo 2 - La politica e le istituzioni
  12. Capitolo 3 - Le grandi sfide
  13. Parte seconda - Gli atti del primo ciclo
  14. «Essere nel mondo ma non essere del mondo»: il cristianesimo paradossale della Lettera a Diogneto
  15. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…»: il cristiano e la carità politica
  16. Riforma della Chiesa e “questione cattolica”: dalla Evangelii Gaudium al Convegno ecclesiale di Firenze
  17. I cristiani e la democrazia. Sturzo, De Gasperi, Moro. Tracce di un progetto incompiuto
  18. Note