Orsola
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Durante una leggera nevicata, in un pomeriggio di gennaio senza vento, nei verdissimi boschi del versante trentino del Parco Naturale Adamello-Brenta, non distanti dall'incantato villaggio dolomitico di Spormaggiore, i protagonisti di questo libro — un'operatrice sociale colta e idealista, Orsola Stecker, e l'estroso cucciolo d'orso JJ1, che avrebbe in seguito fatto parlare di sé i giornali di tutto il mondo — ebbero modo di incontrarsi. Fin qui nulla di speciale. L'incredibile fu che i loro spiriti varcarono i confini delle rispettive specie e… si fusero assieme! Proprio così: le loro esistenze divennero, misteriosamente, una. Di tale prodigio, foriero di esiti a tutt'oggi imprevedibili nella storia del welfare universale, non sarebbe tuttavia rimasta memoria se altri due personaggi non avessero frequentato in quei tempi i medesimi, incontaminati ambienti montani. Uno è Luigi, Gigioti, un guardaparco tanto burbero nei modi quanto dotato di robuste capacità di osservazione. L'altro è l'Autore stesso di quest'Opera, amico di lunga data di Orsola Stecker, il quale non ha esitato ad attingere alle proprie competenze professionali e alle letture di una vita per spiegare, il più possibile scientificamente (ahinoi!), il mirabile arcano.

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Informazioni

Editore
Il Margine
Anno
2021
ISBN
9791259820174
Argomento
Education
Parte sesta
Neo welfare
Dove il testimone passa al giovane orso JJ1 il quale, con la baldanza tipica di chi non è ancora vecchio, ben radicato nei fitti boschi trentini ma a volte anche fuori, diventa il primo operatore sociale della storia addetto al welfare forestale

1.

Sembra che l’Opera tenga

Dove si prende atto che ormai il meno è fatto e che dunque la scrittura può tranquillamente proseguire
Possiamo ora dedicarci alla sola storia del nostro orso. Finalmente. Da tempo ipotizziamo che, durante i due anni e passa di una vita avventurosa, JJ1 abbia trasportato in se stesso, assieme ai quintali del proprio peso, avanti e indietro per i nostri boschi, l’anima buona di Orsola Stecker. Tutto alla luce del sole. Lo dichiarammo apertamente. Non è una trama dunque la nostra. Tramiamo un bel nulla, noi. Noi vuol dire quattro gatti. Siamo io il sottoscritto, Luigi il guardaparco, mia moglie (che comunque non ci crede) e tutti voi, cari Lettori. Compagni di merende? Sciocchezze. Ricercatori siamo. Il presente libro ci ha fornito innumerevoli dati rispetto all’ineffabile segreto. Ineffabile vuol dire che non si dovrebbe spifferare. Meglio sarebbe stato perciò non aver dato annunci prematuri. Non è facile, comunque, mordersi la lingua e tacere. Tutti i segreti spirituali premono, dice Buber, per essere detti.
Neppure l’esperienza più intima è al riparo dall’impulso a esteriorizzare.1
La prudenza va bene, ma nel nostro caso come si fa a tacere? Se l’opinione pubblica non è informata e non si entusiasma, anzi rimane indifferente, è come se nulla fosse successo. Ma se nulla è successo come fa la gente a entusiasmarsi? Il punto tuttavia è un altro. La gente resti pure apatica o abulica o finanche menefreghista. Infastidisce il tempo sprecato. Gironzolare a vuoto. Quando ti accorgi t’imbestialisci. Fin qui abbiamo scritto (e letto) come matti. Siamo informatissimi. Tuttavia, quanto ne sappiamo davvero di più, ora?
L’abbiamo ben scandagliata, la vita di Orsola. Siamo andati a caccia di curiosità, aneddoti, segreti, pensieri intimi, sciocchezze, vanità e finanche di tanto in tanto delle verità. In tal modo camionate di frammenti di vita spirituale altrui sono finiti in pasto al grande pubblico. Abbiamo frugato nei sentimenti della Stecker per scopi nostri. Ripeto. Ricercatori siamo. Desideriamo trovare prove, o perlomeno qualche indizio. Vogliamo misurare, ma qui purtroppo ci torna in mente S. Agostino, che spesso esclamava:
Oh mio Dio io misuro, ma non so che cosa misuro.2
Forse da piccoli abbiamo fatto qualcosa di male, amici, per ritrovarci oggi tutti noi senza volerlo così poco postmoderni. Amiamo l’esattezza ben sapendo che quasi sempre infine essa risulta sbagliata. Heisenberg ci avvertì per tempo. Se vuoi misurare la posizione di un elettrone — diceva — proprio in quanto la misuri quello te la cambia. Schizza via come un furetto, giusto sotto il nostro metro. Ma basta con questi elettroni. Smettiamola con le scienze esatte. Pensiamo alla medicina. Come si fa a dire che è esatta? Quando il dottore vuole misurarci la pressione, questa ci si alza perciò stesso.
Non per vantarci. Noi fin dall’inizio, pur fissati con il determinismo, il quale per tante ragioni non è dissimile dal fatalismo,3 sapevamo in fondo di non poter cercare l’esattezza bruta, bensì la semplice sensatezza: piccoli lampi di intuizione; connessioni leggere; latenti suggestioni; indizi fugaci; labili per non dire reversibili illuminazioni… in generale, un qualcosa di che! Tutte evidenze sottili ma forti, che possano infine reggere gli urti dello scetticismo altrui. Del resto mica siamo degli sprovveduti, amici. Sappiamo eccome.
La mistica è una scienza esatta, come ben sapevano i veggenti vedici — e da essa deriva ogni altra specie di esattezza.4
Cercavamo, insomma, qualcosa d’indefinito e sfuggente ma serio, qualcosa che ci facesse non interrompere bensì spingere in avanti, con l’insensatezza propria di ogni entusiasmo, la oscura ricerca nostra. Connubio tra distinte specie di viventi? Inutile, amici, che la domanda scateni ironie nascoste. Sì, io rispondo. Sì! Dei potenziali sorrisetti altrui a noi non ce ne importa. Anche perché poi, con la verità in mano, avremmo subito investito nella utilissima divulgazione. Senza smargiassate, colpi di grancassa, squilli di tromba e così via, beninteso. Tutto con sobrietà ed eleganza. Invece!
Prossimi allo zero. Siamo nel punto di partenza. Abili fummo indubbiamente nei capitoli scorsi a rovistare nella vita della nostra protagonista prima che, all’insaputa di sé medesima, si decidesse a cambiare pelle. Orgogliosi per tutto ciò ma, mio Dio, che cosa ci hai consentito di trovare? Un pugno di mosche. Non che sia facile prenderle a pugni. Proviamoci, amici. Da parte nostra, abbiamo messo in campo tanta tenacia e pure una certa tecnica. Ma l’eccesso di zelo non paga. Così diceva un nostro amico sempre intento a farsi gli affari suoi. Cara signorina Stecker, dunque. Vita interessante, la tua. Ritrovarcela scritta e stampata in centinaia di pagine, con la comodità di poterle se desideriamo rileggere, questo sì, un poco ci aiuta. Ci siamo pure divertiti. Non per l’intrattenimento, tuttavia, noi muoviamo i nostri passi. Di intrattenere e, peggio ancora, di essere intrattenuti non ce ne importa. Dell’effimero a noi non ce ne care, diciamo, orgogliosi di parlare come don Milani.

Dove si conferma che due più due fa quattro

A parte la sua psicosi, Orsola era in discreta forma, tutto sommato, al tempo in cui venne a star meglio. Eppure ecco che nel breve volgere di qualche pagina, senza un saluto, di punto in bianco, lei ci lasciò. All’improvviso sprofondò nel «non esserci». È mancata, si dice. In mezzo c’è stato ovviamente il funerale. Non ce la siamo sentita di raccontarlo con tutti gli inutili particolari e le parole di circostanza. Troppo triste. Certi fedeli oltretutto parlottano alla cerimonia. Fanno battutine e pure ridacchiano. Che ci sarà mai? Il fatto è che, lungo la strada per il cimitero, il nostro racconto perde il suo centro o, come si dice, la sua colonna. L’azionista di maggioranza del nostro libro cede le sue quote e se ne va. Sparisce. Fuori dalle nostre pagine. Zero incidenza futura. Sorge perciò un quesito.
«Quando il primo personaggio di un libro viene meno, il racconto non si chiude forse in poche righe?».
Solo il tempo delle conclusioni, noi diremmo. Qui ci colpisce invece la diversità. Orsola muore e il nostro lavoro entra nel vivo.
Vuoi vedere dunque — timidamente ipotizziamo — che Orsola non è deceduta? Sarebbe questa — possibile? — una delle prove che andavamo cercando? Lo stesso proseguire dell’Opera alla ricerca di prove è forse «la» prova? Sembrerebbe. Usiamo il condizionale. «È come cavalcare il bue alla ricerca del bue», direbbe Po-chang, maestro Zen. Ma non diamo ascolto a tali astratte critiche. Basta disfattismo.
Vuoi vedere che i conti improvvisamente tornano?
Doi pù doi fa quatro (trad. it. Due più due fa quattro), sbraitavano nei bar, al tempo, i vecchietti trentini sbattendo il pugno sul tavolo. Erano matti? No, giocavano alla mora. Se è per questo, noi potremmo pure andare oltre. Potremmo dire «sette per sette fa quarantanove» e poi «quarantanove più sette fa cinquantasei» [ma allora tanto valeva moltiplicare per otto; ndr] e via discorrendo. Fortunatamente infinite sono le combinazioni esatte della matematica convenzionale. Ciò che conta affermare è che un romanzo tiene solo se il suo protagonista scomparso in realtà c’è ancora. Vediamo la nostra narrazione su Orsola nel pieno della sua energia creativa? Non è mai stata così vitale? Dunque è possibile. Orsola esiste ancora! Con il nostro consenso, amici, proviamo qui a ipotizzare.
Non è forse chiaro che l’assistente sociale Orsola Stecker viva sotto altra forma e altra veste?
Sotto altra veste, già.
Ma ecco che, pensando al vestiario, d’improvviso alcuni relais cerebrali nella nostra testa si accendono e scoppiettano. Non è infatti che forse noi Lettori ora ci stiamo tutti chiedendo se io come Autore non mi sia mai interrogato, lungo l’estenuante iter di scrittura, se noi Lettori, nel mentre corrispondentemente leggevamo, ci stessimo interrogando a tratti se io scrittore ignorassi il problema di che cosa avrebbe risposto Orsola nell’ipotesi che qualcuno di noi (parente, amico, lettore, semplice cittadino) l’avesse a suo tempo interrogata circa i possibili sentimenti da lei provati (rabbia, vergogna, orgoglio, ecc.) qualora avesse saputo di dovere un giorno girare nei boschi lei stessa (sì, lei!), tutta pelosa, nelle sembianze di un orso?
A un certo punto, uno due tre, pronti, via… Cara Orsola, mettiamoci dentro una pelliccia e andiamo avanti. Ma cosa ne penseremmo noi, noi che ci interroghiamo circa tali sentimenti altrui, se una cosa del genere ci fosse capitata personalmente? Orsola in vita aveva altro per la testa. Ed è sicuro. Mai mise in conto per sé una tale evenienza. Lei così buona, diventare una bestia! Imbarazzo e umiliazione. Mettersi in una pelliccia non è mai umano. La sua sensibilità di animalista, oltretutto, va a farsi benedire. In vita Orsola è sempre stata contro le pellicce intese quali cappotti delle signore. Ammirava Brigitte Bardot per le sue lotte. Figuriamoci. Mai avrebbe acconsentito a ricoprirsi tutta di pur ottimo pelo,5 e dotarsi finanche di una coda che a un certo punto, da copione, le sarebbe spuntata dietro. Non si tratta qui di indossare, bensì di essere indossata.
«Incarnarmi? No, grazie. Incarnati tu. Mica sono un’unghia» avrebbe risposto Orsola a precisa domanda (che nessuno, però, per fortuna, mai le rivolse).
La nostra povera assistente sociale amava profondamente gli animali, ma non fino al punto di farsi tutt’uno con loro. L’amore non è mai un’ammucchiata. Nessun dubbio. Lo disse chiaro Lévinas stesso.
È in direzione di un pluralismo che non si risolve in unità, che noi vorremmo incamminarci.6
Esatto. Proprio così. È in quella direzione. Ma non prima di aver buttato lì ipoteticamente, d’altronde, una serie di «se». Se Orsola avesse saputo in vita come la sua «fine» si sarebbe stiracchiata in un nuovo inizio, oltrepassandosi biologicamente… se avesse saputo che non avrebbe potuto dire, all’arrivo della propria ora, semplicemente «buonanotte ai suonatori», come tutti dobbiamo fare, essendo la morte ’na livella… se avesse saputo che il destino le imponeva non di dissolversi semplicemente, bensì di traslocare….insomma, se davvero Orsola vivente avesse cartesianamente cogitato in tal modo, che cosa pensiamo sarebbe successo dentro l’animo suo così sensibile? Si sarebbe sbalordita e spaventata, amici. Eccome. Un conto è parlare di alterità, alla guisa dei filosofi. Un conto è diventare altri per davvero.
Di nuovo Lévinas ci chiede di fare attenzione. In una vera relazione — diceva — i soggetti non si «mangiano» l’un l’altro.
Risalendo alla radice ontologica della solitudine, speriamo di intravvedere in che cosa questa solitudine può essere superata. Diciamo subito ciò che questo superamento non sarà. Non sarà una conoscenza, perché nella conoscenza l’oggetto, che lo si voglia o no, si dissolve nel soggetto e la dualità sparisce. Non sarà un’estasi, perché, nell’estasi, il soggetto si dissolve nell’oggetto e si ritrova nella sua unità. Questi rapporti approdano tutti alla sparizione dell’altro.7
La nostra amica si sarebbe anche arrabbiata, e parecchio, con il titolo del presente paragrafo che io e il Redattore, dopo lunghe discussioni, avevamo concordato e che poi però, fortunatamente, per i soliti pentimenti editoriali, non è giunto in stampa. «Orsola in JJ1» era la prima proposta. Allude alla condizione di una sposa. Provocazione, perché mai in vita la Nostra si coniugò. Neppure seriamente fidanzata fu mai. Solo tenere simpatie, in lontananza. Mai aveva desiderato rapporti carnali con conspecifici. A maggior ragione, mai avrebbe acconsentito a incarnarsi lei medesima, con tutto il rispetto, in un grezzo orso delle nostre valli.

Dove si ricorda che tutti i grandi scienziati hanno rischiato di prendere dei granchi, che è sempre meglio di fulmini

In ogni caso, non tutto ciò che nuoce è male. Diciamolo alla nostra Stecker. Piuttosto che morire davvero, noi tutti preferiremmo, al dunque, la sua eccentrica sorte. «Non essendo l’Anima un porto sicuro dell’identità» — come si declamò in un memorabile discorso8 — essa rimane Anima solo se resta ancorata a un supporto organico. Se si dematerializza, ne perdiamo traccia. Al sopraggiungere della morte, non si sa cosa le capiti. Può essere pure che essa evapori o si disciolga. Fine di tutto quaggiù in terra. Nessuno ha mai visto anime in giro, nel mondo dei vivi. E comunque — amici — c’è un ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione - Preamboli
  3. Parte prima - Contorni
  4. Parte seconda - E venne l’insight
  5. Parte terza - Belle illusioni
  6. Parte quarta - Disfacimento
  7. Parte quinta - Momentaneo sollievo
  8. Parte sesta - Neo welfare
  9. Parte settima - Sconclusioni
  10. Appendice - Le immagini