Due papà, due mamme. Sfatare i pregiudizi
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Due papà, due mamme. Sfatare i pregiudizi

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Due papà, due mamme. Sfatare i pregiudizi

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Lo scopo di questo volume è quello di inaugurare nuovi saperi che diano adito – ripercorrendo simbolicamente un noto paradigma foucaultiano – a nuove forme di potere. Un potere che non è quello negativo legato all'esercizio della forza, al predominio, al controllo, alla coercizione, ma potere positivo della relazione, dell'incontro, dell'apertura e dell'ampliamento degli orizzonti di senso; dell'integrazione dei diversi punti di vista attraverso cui si può guardare alla complessità del reale; potere come abbattimento di chiusure comunicative, confronto dialettico e costruttivo, condivisione di vissuti ed esperienze, destrutturazione del pregiudizio, della discriminazione, della stigmatizzazione, dell'esclusione.L'obiettivo del libro non è pertanto quello di convincere il lettore in modo ideologico della funzionalità della genitorialità omosessuale, ma di presentare e discutere approfonditamente i criteri epistemologici e metodologici per guardare alla genitorialità come complessa funzione psicologica, oltre che come dimensione di ruolo.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788861535459

PARTE III

Genitorialità omosessuale.

Quando la risposta al pregiudizio è l’evidenza empirica

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1.

Dal piano giuridico alla ricerca psicologica

Le riflessioni finora condotte hanno consentito l’accesso a un piano discorsivo in cui sono stati recuperati precisi costrutti epistemologici e metodologici in grado di chiarire le dimensioni costitutive del concetto di famiglia e di genitorialità, destrutturando quei sistemi di rappresentazione che tendono a reiterare in modo inappropriato l’esclusione della genitorialità omosessuale sia dall’alveo della definizione di specifico sistema familiare, sia dal novero delle possibili configurazioni che la genitorialità stessa oggi può assumere. È stato in tal modo dimostrato il carattere arbitrario di impostazioni che continuano a proporre in maniera distorta visioni o concezioni omologate/omologanti di famiglia, e di competenza/funzione genitoriale, senza alcun riferimento ad approcci scientificamente fondati.
Partendo da tali assunti ampiamente dibattuti, l’obiettivo di questa Terza Parte è affrontare in prima istanza la discussione sulla realtà della famiglia e della genitorialità omosessuale nel contesto italiano dal punto di vista giuridico-legale, centrando l’attenzione in modo sintetico sulle aperture che in ambito giurisprudenziale alcuni pronunciamenti e sentenze hanno introdotto, pur con pochi effetti sul piano di una reale revisione della definizione di famiglia in termini maggiormente inclusivi.
Successivamente la riflessione verrà focalizzata sulle modalità attraverso cui la ricerca empirica in ambito psicologico ha esplorato, analizzato, studiato, compreso e osservato la specificità delle dinamiche relazionali inerenti i nuclei omogenitoriali. Relativamente a questo secondo aspetto verranno passate in rassegna le numerose indagini condotte a livello internazionale, i cui risultati supportano e confermano empiricamente le tesi ampiamente argomentate nel corso delle riflessioni teorico-metodologiche precedentemente presentate. La migliore risposta a tutta quella serie di affermazioni che tendono a rimarcare una visione negativa della genitorialità omosessuale sono, infatti, non solo le specifiche prospettive teoriche finora approfondite, ma anche, e soprattutto, i risultati delle ricerche e degli studi effettuati da oltre quarant’anni, che ribadiscono la funzionalità della genitorialità omosessuale, al di là di orientamenti discorsivi ideologicamente connotati che tenderebbero ad affermare il contrario.

2.

Il riferimento al contesto italiano: famiglia e genitorialità omosessuale come ossimoro

La famiglia omosessuale, così come la genitorialità omosessuale, nel rapporto tra esistenza di fatto e riconoscimento formale, se rapportata al sistema giuridico italiano, si configura nelle linee generali (ossia senza fare riferimento alle decisioni di singoli tribunali relativamente a istanze presentate da specifici nuclei omogenitoriali) come un ossimoro ovvero una realtà esistente nell’attuale scenario sociale ma allo stesso tempo inesistente dal punto di visto del diritto. Tuttavia è possibile rilevare che in Italia i genitori omosessuali, quindi i nuclei omogenitoriali, registrano una considerevole presenza nello scenario sociale, come dimostrato dall’importante presenza di realtà associative molto attive sul territorio nazionale: quali “Famiglie Arcobaleno – Associazione Genitori Omosessuali” e “Rete Genitori Rainbow – Genitori Lgbt con figli da relazioni etero”1.
I/le bambini/e che nel nostro Stato vivono in nuclei omosessuali sono più di centomila (come è emerso dalla ricerca Modi-di condotta da “Arcigay” nel 2005 con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità). Questo dato di certo non esaurisce gli elementi di conoscenza quantitativa reale del fenomeno, non solo per il fatto che molte coppie omosessuali vivono clandestinamente le proprie relazioni e non fanno coming-out, ma soprattutto perché il dato stesso è oramai vecchio e superato, risalendo oramai a dieci anni fa. Portando la riflessione sul piano delle implicazioni giuridiche è possibile osservare che il vuoto legislativo italiano sui nuclei omogenitoriali comporta delle inevitabili ricadute, soprattutto rispetto alla mancanza di tutela dei diritti dei minori.
Stando alle norme legislative attualmente vigenti e tralasciando il riferimento ai singoli procedimenti predisposti per sopperire a tale vuoto normativo, ad esempio, nei casi di morte del genitore biologico i/le figli/e di genitori omosessuali rischiano di essere privati della continuità affettivo-relazionale con l’altro genitore/co-genitore (genitore non biologico); a differenza dei/delle figli/e nati/e in famiglie nucleari con genitori eterosessuali, laddove i casi di vedovanza non implicano – ovviamente – il rischio di interruzione del rapporto con il genitore rimasto in vita, proprio in virtù della continuità tra asse generativo e asse genitoriale. Stesso discorso vale, ad esempio, nei casi di separazione della coppia genitoriale, laddove i/le figli/e nati/e all’interno di una coniugalità omosessuale non hanno alcun diritto di avere contatti con il genitore non biologico e questi non è tenuto ad assolvere a nessun dovere circa il loro mantenimento.
Di fronte alla legge il co-genitore è considerato come un estraneo per il/la minore, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in materia di esclusione di quest’ultimo/a dall’asse diretto della successione ereditaria (sia del co-genitore stesso, sia dei suoi parenti prossimi). In caso di ricoveri in ospedale, o nelle situazioni che implicano un rimando alle condizioni di salute del/della figlio/a, il genitore non biologico non può avere alcun ruolo in merito alle decisioni sanitarie; così come (per citare altre situazioni che ineriscono la quotidianità) è necessaria una delega da parte del genitore biologico per poter prendere il/la proprio/a figlio/a da scuola.
Rispetto alle varie dimensioni che costituiscono la “normale” routine familiare, i genitori omosessuali vivono troppi “intoppi”, dovuti proprio all’assenza di riconoscimento giuridico; notevoli, inoltre, sono le ripercussioni che i/le bambini/e possono vivere nel rapporto con le istituzioni (scuola, servizi educativi, servizi sanitari, ecc.) laddove, direttamente o indirettamente, il più delle volte si creano le condizioni per la determinazione di dinamiche di stigmatizzazione o discriminazione su vari livelli.
Se si fa pertanto riferimento alla necessità imprescindibile di garantire il bene dei minori – sancito nel nostro ordinamento dalla legge n. 176/1991 che ratifica e rende esecutiva la “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia” del 1989 così come dalla “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo” (1996) – è possibile concludere che, contravvenendo a tale intendimento, in Italia i/le figli/e di genitori omosessuali risultano essere fortemente discriminati/e rispetto ai/alle figli/e di genitori eterosessuali. Questa condizione è dovuta alla riproposizione di processi di omofobia istituzionalizzata che investono la società, le istituzioni, il diritto e la volontà del legislatore e che, a livello sostanziale, violano i reali diritti e le reali esigenze di bambini e bambine: prima fra tutte la tutela massima delle loro relazioni emotivo-affettive, che sono fondamentali e imprescindibili per la realizzazione di adeguati processi evolutivi.
L’omofobia istituzionalizzata reitera una prospettiva “adultocentrica” tesa a stigmatizzare l’omosessualità dei genitori, coinvolgendo i minori stessi in tale dinamica di disconoscimento del pieno diritto di cittadinanza delle persone omosessuali, attraverso l’attuazione di pratiche e sistemi di credenza che sono impostati su una forte svalutazione delle relazioni e dei contesti relazionali omosessuali stessi (Lingiardi, 2007).
Entrando in modo più specifico sull’analisi degli aspetti giuridici è possibile vedere che il tema dell’omogenitorialità è fortemente interconnesso con altre importanti questioni, quali quella relativa al riconoscimento delle unioni civili, o del matrimonio omosessuale, e in modo particolare alla legittimazione del matrimonio egalitario. In Italia negli ultimi anni si sono verificati interessanti passi avanti in relazione ad alcuni pronunciamenti giurisprudenziali che, sebbene non abbiano prodotto alcun risultato sul piano della ridefinizione giuridica effettiva del costrutto di famiglia e di genitorialità, possono essere tuttavia letti come un importante e imprescindibile punto di riferimento per un auspicabile processo di cambiamento socio-culturale o politico-istituzionale.
Un ruolo di primo piano lo assume, senza dubbio, la sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale. Nella sua prima pronuncia sulla questione omosessuale la Consulta ha riconosciuto che nel concetto di “formazione sociale” di cui all’art. 2 della Costituzione rientra anche l’unione omosessuale, intesa quale stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso. Si intende, infatti, per formazione sociale (riprendendo testualmente quanto presente nella sentenza) “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” (sentenza 138/2010, G.U. 21/04/2010).
Pertanto le coppie omossessuali, sulla base del suddetto articolo costituzionale, divengono titolari del diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendo il relativo riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. In questo senso la Corte ha compiuto rilevanti aperture rispetto alla tutela dei diritti delle persone omosessuali. La battuta d’arresto si ha, tuttavia, nel momento in cui il riconoscimento dell’unione omosessuale come formazione sociale specifica, così come il relativo obbligo connesso di una tutela giuridica, non rende “costituzionalmente obbligata” la scelta di equiparare tali unioni al matrimonio. In altre parole la tutela imposta dal principio personalistico non deve necessariamente realizzarsi estendendo la disciplina civilistica alle unioni suddette, ben potendo esplicarsi anche sotto altre forme, la cui definizione è rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore.
In estrema sintesi, non esiste nessun principio costituzionale che da tale riconoscimento giuridico impone un’“equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”: tocca al solo Parlamento “nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni” (ibidem).
La Corte, dunque, non ha affermato che un eventuale matrimonio omosessuale sarebbe incostituzionale ma che il matrimonio, o l’equiparazione al matrimonio, non è l’unica via obbligata per riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali. La Consulta, invece, afferma che le unioni omosessuali devono avere un riconoscimento giuridico, perché rientrano, come già evidenziato, tra le “formazioni sociali” costituzionalmente garantite dall’ art. 2 della Costituzione.
Un ulteriore rilevante elemento inerisce quanto si dichiara rispetto al concetto di famiglia. La Consulta afferma che la fisionomia della famiglia è destinata a mutare continuamente, al passo con l’evoluzione dei costumi e della società.
È vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entró in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi (ibidem).
Ne deriverebbe che anche l’art. 29 della Costituzione dovrebbe richiamare un concetto estremamente flessibile e “destrutturato” di famiglia, senza essere rigido, statico, cristallizzato (Perrone, 2010; Mannella, 2013).
A distanza di due anni, dopo tale pronuncia della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione ritorna sul matrimonio omosessuale con una sentenza che, nonostante il dispositivo di rigetto, ha il pregio, quantomeno, di mettere a fuoco la nota dolente dell’intera questione ovvero quello dell’uguaglianza nel godimento dei diritti. La vicenda riguarda in modo specifico una coppia di cittadini italiani gay che nel 2002 ha contratto matrimonio in Olanda. Nel 2004 la coppia ha chiesto la trascrizione dell’atto di matrimonio al sindaco del Comune di Latina, il quale l’ha rigettata con la motivazione che l’atto di matrimonio formato all’estero non è suscettibile di trascrizione in quanto “contrario all’ordine pubblico”. Avverso il provvedimento di rifiuto della trascrizione la coppia propone ricorso al Tribunale ordinario di Latina, che a sua volta respinge il ricorso. In risposta a tale provvedimento si propone nuovamente reclamo alla Corte d’Appello, che ancora rigetta l’istanza. La coppia quindi propone ricorso in Cassazione. La suprema Corte, con la sentenza n. 4184/2012, stabilisce che il matrimonio celebrato dalla coppia gay non può essere trascritto, non perché invalido o inesistente, ma perché inidoneo a produrre effetti nell’ordinamento italiano. Tuttavia tale pronuncia è di particolare rilievo nella parte in cui allarga, ancora una volta, le possibilità interpretative dell’art. 29 della Costituzione ed elabora un principio potenzialmente suscettibile di applicazione giudiziaria diretta. Alla negazione del diritto alla trascrizione per i matrimoni omosessuali celebrati all’estero si accompagna, infatti, il riconoscimento della tutela della vita familiare anche per le coppie omosessuali, così come previsto dall’art. 8 della Cedu (Convenzione europea sui diritti dell’uomo). Si sancisce, cioè, in maniera definitiva il superamento del “dualismo complementare” tra famiglia (matrimoniale) ed eterosessualità, in favore di un diritto alla vita familiare che viene riconosciuto come fondamentale e universale, prescindendo sia dalla dimensione coniugale, sia dal sesso dei conviventi (Gliatta, 2013).
Su questo piano del discorso la questione della trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni omosessuali contratti all’estero è di straordinaria attualità, proprio in relazione al fatto che numerosi sindaci di varie città italiane (Bologna, Milano, Roma, Napoli, Empoli, Udine, Fano, Grosseto, ecc.) hanno consentito tale trascrizione. A questo è seguita una circolare, diramata in data 7 ottobre 2014 dall’attuale ministro dell’interno Angelino Alfano, indirizzata ai Prefetti della Repubblica e loro sedi, nonché ai Commissari del governo per le Province Autonome di Trento e Bolzano, la quale ribadisce che “quando a chiedere la trascrizione siano cittadini italiani, la legge nazionale di ciascun nubendo si identifica con le norme dell’ordinamento giuridico italiano”.
Il Ministro rileva che “allo stato, non esiste alcuna fonte che imponga l’obbligo, per gli ufficiali dello stato civile, di addivenire ad una trascrizione di tali matrimoni che, seppur validi secondo la legge del luogo di celebrazione, sono insuscettivi di produrre effetti nell’ordinamento giuridico italiano. La circolare conclude con un richiamo ai prefetti cui, ex art. 9 D.P.R. 396/00, spetta la vigilanza sugli uffici dello stato civile: essi dovranno garantire che la funzione di stato civile (esercitata a livello locale dal sindaco in qualità di ufficiale di Governo) si svolga in conformità alle leggi vigenti regolative della materia. Il Ministro dell’Interno, infine, chiede agli organi periferici di disporre la cancellazione della trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero, successivamente registrati in Italia. In caso di inerzia da parte dei sindaci non ottemperanti alle richieste summenzionate, gli atti eventualmente adottati in violazione di tali direttive saranno sottoposti ad annullamento d’ufficio ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies l. 241/90 e 54 commi 3 e 11.”
Relativamente a tale questione alcuni mesi prima della diramazione della circolare ministeriale si era espresso il Tribunale di Grosseto con un provvedimento del 3 aprile 2014, ordinando all’ufficiale di stato civile la trascrizione del matrimonio tra due uomini, cittadini italiani, celebrato secondo le forme previste nello Stato di New York (ai sensi del Marriage Equality Act). La Corte di Appello di Firenze aveva annullato per questioni di procedura la precedente decisione dello stesso Tribunale, il quale, chiamato a pronunciarsi nuovamente il 26 febbraio 2015, ha ritenuto di non mutare indirizzo rispetto alla propria pronuncia di quasi un anno prima. I giudici ampliano notevolmente gli argomenti posti a sostegno della trascrivibilità del matrimonio e riconoscono che non esiste nel nostro ordinamento interno alcuna norma che impedisca a persone dello stesso sesso di unirsi in matrimonio. Neppure l’art. 29 della Costituzione che fa riferimento alla società naturale fondata sul matrimonio può essere interpretato a favore della famiglia tradizionale formata da uomo e donna poiché, per i giudici grossetani, anche l’unione omosessuale deve essere intesa come “formazione sociale spontanea” e dunque si presenta con caratteristiche altrettanto naturali quanto l’unione fra un uomo e una donna. I giudici, poi, si intrattengono a lungo sull’efficacia delle norme di diritto internazionale e affermano che quel complesso di principi che costituisce l’ordine pubblico internazionale consente di considerare legittimo il matrimonio fra pe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione – Di cosa si parla quando si parla di omogenitorialità?
  3. Parte I – La famiglia omosessuale nella pluralità dei modelli familiari esistenti. Costrutti e teorie per l’assunzione di paradigmi inclusivi
  4. Parte II – Dalla genitorialità come funzione di cura all’omogenitorialità. Approcci teorici e modelli interpretativi
  5. Parte III – Genitorialità omosessuale. Quando la risposta al pregiudizio è l’evidenza empirica
  6. Conclusioni – Dall’omosessualità all’omogenitorialità: un passaggio che cela un pregiudizio ancora da abbattere
  7. Bibliografia