Psicoigiene e Psicologia Istituzionale
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José Bleger è, nonostante gli anni, di sorprendente attualità. La seconda edizione italiana viene oggi ripresentata da Ariele Psicoterapia che, attraverso il training della scuola di Psicoterapia Coirag, porta avanti la diffusione, la ricerca e l'attualizzazione del pensiero psicoanalitico di questo autore. Nella prima parte José Bleger, muovendo da un'ottica psicoanalitica, accompagna il lettore nella complessa dinamica dei gruppi e delle istituzioni come rete tra gruppi. Per il pensiero psicosocioanalitico, messo a punto da Luigi Pagliarani fondatore di Ariele, è sempre stato di particolare interesse il concetto di "psicoigiene", inteso come quel ramo dell'igiene mentale costituito dall'applicazione delle conoscenze psicoanalitiche alla Polis. La cura dell'individuo, dei gruppi e delle istituzioni, anche in chiave preventiva, trova infatti nel pensiero di Bleger un punto di riferimento imprescindibile. Nella seconda parte dell'opera di Bleger i testi mettono a fuoco la tecnica che sostiene il lavoro dello psicoterapeuta che incontra i pazienti, ma anche che opera nella selezione del personale o nella valutazione degli studenti o ancora in ambito associativo. A partire dal colloquio clinico l'Autore accompagna il lettore nella stanza d'analisi, ma non solo, per prendere in considerazione la diagnosi intesa come interrogativo sui propri obiettivi e il trattamento come disvelamento della struttura narcisistica che provoca un doloroso isolamento.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788861532205

PARTE I

Gruppi operativi

Introduzione alla prima edizione italiana (1989)

Il libro di Bleger Psicoigiene e Psicologia Istituzionale è un’eloquente testimonianza della sua continua preoccupazione di mettere a fuoco da un punto di vista metodologico e pratico gli interventi e le tecniche psicologiche più efficaci per modificare la realtà sociale nella sua influenza e azione sul malatoscrive Leon Grinberg nella presentazione della rivista della Asociaciòn Psicoanalitica Argentina del giugno ’73, numero dedicato alla memoria di Bleger un anno dopo la sua morte. Poco oltre Grinberg parla di Bleger come di uno psicoanalista animato dall’interesse di estendere la ricerca psicoanalitica e psicologica al campo sociale, e in particolare alle istituzioni pubbliche delegate a occuparsi della salute fisica e psichica della popolazione.
Psicoigiene e Psicologia istituzionale si situa nel settore della ricerca psicoanalitica applicata a una disciplina poco definita e di vasto raggio qual è l’Igiene Mentale; di essa Bleger propone fin dall’inizio una delimitazione precisa del campo, e al suo interno un’ulteriore delimitazione, la Psicoigiene, che è caratterizzata dall’uso di risorse esclusivamente psicologiche sui fenomeni umani.
Nello stabilire il territorio specifico in cui vengono utilizzate le tecniche proprie della Psicoigiene egli lo descrive come un territorio particolare costituito dalle istituzioni, e procede quindi a una definizione di cosa si intenda per istituzione: si tratta di organizzazioni sociali che possiedono una struttura fisica duratura e una funzione comunitaria. Tra le organizzazioni che presentano queste caratteristiche viene dato un posto di rilievo alle istituzioni sanitarie e scolastiche. Consapevole del fatto che si tratta di un terreno di dimensioni sociali e che egli dispone solo di strumenti di tipo individuale, Bleger si domanda quale sia in questo caso il modello concettuale richiesto.
Come psicoanalista il suo modello di riferimento è psicoanalitico, e la psicoanalisi può essere un metodo di ricerca e di comprensione unico e privilegiato dei problemi psicologici. In quanto modello essa può offrire conoscenze utili e illuminanti nelle zone di frontiera del campo più strettamente clinico. A Bleger interessa l’esplorazione di alcune particolari zone di confine che vanno dalla psicologia istituzionale alla psicologia comunitaria. Il settore maggiormente approfondito è quello della psicologia istituzionale, che occupa dunque uno spazio particolarmente rilevante in questo testo.
Per Bleger non si tratta semplicemente di servirsi dello strumento psicoanalitico per esplorare uno dei campi di frontiera della psicoanalisi. Egli parte dall’idea di definire innanzitutto un ambito particolare – le istituzioni – cui corrisponde un modello concettuale di natura psicosociale. Va notato che per Bleger la psicoanalisi può prendere almeno tre forme: la psicoanalisi clinica con la sua specifica sistematizzazione teorico-tecnica volta alla terapia individuale; la psicoanalisi applicata che si occupa delle interazioni tra gli individui e il sociale, e infine la psicoanalisi operativa che esporta le motivazioni psicologiche e le dinamiche profonde che stanno alla base dei rapporti interpersonali nelle vicende della vita istituzionale.
La psicologia istituzionale poggia sulla psicoanalisi applicata e sulla psicoanalisi operativa. Bleger sostiene l’indispensabilità di un’attenzione focalizzata sui problemi quotidiani che inevitabilmente emergono nel passaggio attraverso quelle istituzioni che reggono l’inserimento sociale. La psicoigiene quale “ramo speciale” dell’igiene mentale che fa uso di tecniche di intervento psicologiche opererà di conseguenza nell’ambito specifico delle istituzioni.
I luoghi cui mira la psicoigiene di Bleger sono dunque quelli in cui veniamo educati, dove troviamo occasione di divertimento, dove siamo seguiti in caso di malattia o semplicemente in quei momenti di crisi che costituiscono fasi inevitabili dello sviluppo. Se tali organizzazioni-cardine del tessuto sociale funzionano in modo soddisfacente, se sono in grado di offrire delle possibilità d’integrazione invece che di piatto adattamento, esse possono favorire il “benessere generale”. In quest’ottica le organizzazioni istituzionali diventano esse stesse oggetto di studio, di approccio, di diagnosi, d’indagine e intervento psicologico.
In tal modo questa disciplina a sé e operante in sede pubblica che è la Psicoigiene privilegerà tra i suoi piani di intervento un “livello” di lavoro psicologico sulle istituzioni, ponendo proprio queste ultime al centro dell’esplorazione. Nel pensiero di Bleger essa avrà persino un suo professionista: lo psicologo clinico.
Va tenuto presente che il libro Psicoigiene e Psicologia istituzionale è il risultato dell’attività di Bleger come docente della Facoltà di Psicologia: si tratta di una serie di seminari e lezioni tenute presso la Cattedra di Igiene Mentale, cattedra il cui programma venne elaborato da lui stesso assieme ai suoi collaboratori. Vediamo ora quali sono gli elementi basilari ed essenziali della figura professionale dello psicologo clinico.
Il programma d’insegnamento della Cattedra di Igiene Mentale contiene delle indicazioni interessanti: Bleger non vuole far coincidere la psicoigiene con una serie di nozioni di psicologia evolutiva cui si aggiungono alcuni concetti provenienti dalla psicologia, coronando il tutto con delle nozioni sui progetti sanitari di vasta scala. Tutto questo deve esserci, ma in una prospettiva che tenga conto fin dall’inizio del fatto che indagine e intervento sono momenti di un solo e unico processo: l’ambito psicosociale richiede un modello di applicazione adeguato.
Il terreno dell’intervento “preventivo” non può a sua volta che essere costituito dalle organizzazioni istituzionali facenti capo all’Amministrazione pubblica, la quale assume questi tecnici come suoi “dipendenti”. Ma fin da un primo sguardo appare evidente la contraddittorietà, se non addirittura l’incompatibilità, che può venirsi a creare tra il professionista della prevenzione e gli amministratori; e anche questa problematica viene affrontata da Bleger che, intendendo occuparsi di tutto ciò che concerne i compiti e gli obiettivi della psicoigiene e dei suoi tecnici, non trascura neppure le condizioni di lavoro di questi ultimi. Ora, la posizione di “impiegato” può rendere impraticabile quel livello che ha come oggetto di studio e di intervento l’istituzione stessa. Se si “dipende” dall’istituzione non si è neppure in grado d’intervenire su tale organizzazione nella sua globalità. Solo un consulente esterno può intervenire con la necessaria distanza, perché può lavorare in base a un contratto senza però dover necessariamente colludere con quegli aspetti negativi e inerti che sono sempre presenti nelle istituzioni. Al fenomeno della stereotipia, caratteristico delle istituzioni, ci si può opporre solo da una posizione di libera contrattualità. I mutamenti necessari per avviare una dinamica conflittuale che si è arenata esigono dunque questa condizione di partenza, anche se essa non è certo sufficiente a garantire di per sé un processo di cambiamento.
Si tratta di concetti in cui è chiaramente avvertibile l’eco di PichonRivière, il grande maestro che fonda e determina molti degli sviluppi della scuola psicoanalitica argentina. Nella fattispecie Bleger attinge da Pichon-Rivière la concettualizzazione della stereotipia, per studiarla poi come fenomeno che si produce anche all’interno delle istituzioni e che fa parte dell’“andamento naturale” della macchina istituzionale. La stereotipia è una dimensione dell’organizzazione istituzionale che è sempre presente; se tuttavia prende il sopravvento essa diventa un fattore di paralisi. Le istituzioni sono un sistema esterno di controllo delle ansie più primitive e la tendenza alla stereotipia al loro interno costituisce a sua volta un aspetto difensivo di quel sistema.
“Ogni individuo impegna la propria personalità nelle istituzioni sociali”, e in questo senso le istituzioni sono parte costitutiva della personalità: esse sono un suo “strumento di regolazione e di equilibrio”. In questa delicata dinamica psicologica tra personalità e istituzione si verifica una varietà d’interazioni possibili, e le personalità meno integrate sono quelle più pronte a dipendere dal supporto che l’istituzione può loro offrire. In tal modo si vengono a creare dei rinforzi negativi tra l’individuo e l’istituzione cui appartiene, rinforzi che producono un impoverimento reciproco e progressivo. In questo caso Bleger utilizza i contributi di Elliott Jaques, il quale dimostra che le istituzioni vengono inconsciamente adoperate come difesa di fronte alle ansie psicotiche. Bleger sostiene, a sua volta, che le istituzioni sono il depositario della parte psicotica della personalità.
A questo punto possiamo comprendere meglio perché egli collochi gli interventi della psicoigiene nel terreno delle istituzioni, e soprattutto perché venga considerato fondamentale il livello di intervento sull’istituzione stessa. Siamo certo ben lontani dalla prevenzione intesa come azione da opporre all’insorgere della malattia, ma non per questo si tratta di una prevenzione che ponga di fronte a delle prospettive facili. La psicoigiene viene considerata come una modalità di intervento che cerca di favorire l’arricchimento degli individui nei loro inevitabili passaggi attraverso le istituzioni.
L’“omogeneizzazione” degli individui agli aspetti più stereotipati e meno creativi delle organizzazioni è una funzione di adattamento da tenersi ben differenziata dall’“integrazione”. Quest’ultima prevede l’inserimento in un ambiente eterogeneo che permette la presenza di ruoli diversi sullo sfondo di un funzionamento globale unitario. Il funzionamento migliore è quello di un’istituzione che opera con la struttura di un gruppo secondario che non viene sommerso e paralizzato da fenomeni quali la stereotipia nella sua forma estrema.
Una sola volta, in un rapido e significativo paragrafo, Bleger si riferisce apertamente all’ideale di un’istituzione che nelle sue modalità di funzionamento privilegi l’uomo invece di perseguire l’autoconservazione. Si tratta di una meta quasi impensabile, e lo si capisce dagli ostacoli che incontriamo non appena se ne cerchi una rappresentazione mentale adeguatamente realistica; vale a dire che nella nostra esperienza manca qualcosa di simile.
In ogni caso la stereotipia è in definitiva una difesa delle organizzazioni istituzionali di fronte al conflitto, e ciò che indica il terreno patologico non è tanto l’esistenza del conflitto, quanto la mancanza di risorse per affrontarlo. Il fenomeno della stereotipia lavora in direzione del mantenimento dell’organizzazione in quanto tale, ed è proprio per questo che tale aspetto contagioso si riproduce con regolarità. In modo analogo ogni essere umano cerca di preservare le istituzioni così come stanno e con uguale forza vuole anche modificarle.
Accanto ai fenomeni della stereotipia Bleger descrive la dimensione dell’ ambiguità, che in questo testo è considerata come fattore perturbante che scolorisce i conflitti. Tale fattore ci interessa in questa sede perché sappiamo che l’opera più compiuta di Bleger contiene fin dal titolo il polo dell’ambiguità. Gli scritti concernenti questi temi seguono un pensiero unitario che non riguarda direttamente il tema della nostra presentazione, ma qui vogliamo sottolineare come sia proprio nell’ambiguità che Bleger localizza lo scoglio che più insidia il lavoro istituzionale.
L’ambiguità, nota Bleger, è definibile solo dal punto di vista di chi osserva. Una situazione è detta ambigua quando può essere capita in diversi modi e può dar quindi luogo a varie interpretazioni: si tratta di un fenomeno caratterizzato dalla presenza simultanea di elementi contraddittori che tuttavia non si configurano come vere e proprie contraddizioni. Per il soggetto ambiguo, o per la situazione ambigua, non esiste contraddizione e di conseguenza non si verifica un vero conflitto: sarà dunque l’osservatore a sentire il dubbio, o l’incertezza, o un particolare stato di confusione, perché il conflitto stesso è stato smorzato.
Per Bleger ciò che è percepito dall’osservatore come confusione corrisponde a un livello di indifferenziazione nel soggetto o nella situazione: l’ambiguità riflette una particolare modalità di organizzazione in cui manca la discriminazione tra i termini antinomici. Questo “scoglio” dell’ambiguità non gli appare soltanto come un incidente di percorso nel lavoro istituzionale, ed egli lo considera come un segnale che sta a indicare la presenza di aspetti molto primitivi non discriminati e di natura simbiotica.
Quando poi si tratta di problemi legati alla strategia necessaria per l’intervento istituzionale egli individua come punto fondamentale, come “punto di urgenza”, l’importanza delle tecniche di inquadramento in rapporto al compito stabilito, e procede a descrivere l’intervento sull’istituzione: un intervento che va tenuto distinto dal lavoro psicologico all’interno di essa.
Abbiamo così da una parte l’ostacolo rappresentato dall’ambiguità, e dall’altra (cioè dalla parte dei provvedimenti tecnici da adottare per affrontarlo) il problema della costituzione del setting. Per Bleger un setting rigoroso diventa lo strumento indispensabile per accogliere e tollerare gli aspetti ambigui delle situazioni che richiedono l’analisi istituzionale.
Quando in Psicoigiene e Psicologia istituzionale giunge al capitolo in cui si definisce l’inquadramento necessario per quel tipo di intervento istituzionale, egli suggerisce i passi da fare ed elenca una lunga e accurata lista che va dalle tappe iniziali a quelle successive e finali. Il punto di partenza è costituito dall’atteggiamento clinico che deve essere presente fin dal primo contatto con l’organizzazione che chiede l’intervento. Un atteggiamento che richiede e comprende un doppio aspetto: da un lato l’identificazione con gli eventi, e dall’altro la possibilità di conservare una distanza che assicuri il mantenimento del proprio ruolo.
Ciascuno di quei ben 18 punti ha una sua necessità. A una prima lettura quella lista può anche apparire troppo simile a un decalogo, e, se come tale viene presa, condividerà il destino di altri decaloghi: non se ne ricorderà l’inizio e si avrà solo un’idea vaga del resto. La minuziosa dedizione con cui vengono indicati i passi da seguire fino a specificare l’insieme di operazioni da compiere per giungere all’impianto del setting non può che sorprenderci. Ma il fatto che egli indichi i pericoli che si incontrano a ogni passo della costruzione del setting non è che una misura della sua complessità. Alcuni dei pericoli provengono dall’operatore, ad esempio l’onnipotenza nei confronti della propria funzione; altri sono invece connessi alla natura del compito. L’ultimo punto della lista afferma che il tempo a scadenza fissa vale solo per il momento della diagnosi: non ci sono soluzioni d’urgenza per l’istituzione.
Nello stesso anno (1966) in cui viene pubblicato Psicoigiene e Psicologia istituzionale Bleger scrive anche il saggio Psicoanalisi del setting psicoanalitico dove intende approfondire il problema teorico del setting, il significato delle “costanti invariate” che fanno da cornice al processo terapeutico. L’oggetto di studio è il setting nei casi in cui non crea problemi, quando non se ne parla perché viene accettato e mantenuto, quando funziona idealmente bene, quando non corre rischi di rottura, quando è muto.
“Un rapporto umano che dura per anni nell’ambito del quale si perpetua un insieme di norme e di atteggiamenti non rappresenta niente di meno che un’effettiva definizione dell’istituzione”.“L’identità si rivela sempre, completamente o parzialmente, ‘istituzionale’, nel senso che almeno una parte dell’identità si struttura tramite l’appartenenza a un gruppo, a un’istituzione, a un’ideologia, a un partito, ecc.”
Affermazioni in cui riecheggiano alcuni dei concetti che abbiamo toccato: la natura di ciò che viene depositato nell’istituzione, e la sua funzione di tenere immobilizzati quegli aspetti primitivi simbiotici che prendono la forma di autentiche incrostazioni.
Nel corso del saggio va poi facendosi sempre più chiara e ricca l’analisi degli elementi che vengono depositati nel setting. Non è nostra intenzione seguire passo passo un cammino che è poi già noto al lettore italiano; vogliamo solo mostrare come il lungo elenco del successivo paragrafo “Tecniche dell’inquadramento”1 abbia un suo preciso corrispondente teorico nel saggio sul setting. Un saggio in cui lo stesso Bleger dichiara essersi orientato verso quel tipo di studio del significato del setting proprio a partire dalle sue esperienze di lavoro nel campo della psicologia istituzionale. In tal senso i famosi passi da compiere in vista di un inquadramento dell’intervento istituzionale risultano parte integrante di una strategia, e non la semplice cornice di un processo.
Il punto e (“tutto quanto riguarda un gruppo o un livello non verrà trattato se non col gruppo interessato”), o il punto g (“il controllo dell’informazione è uno strumento tecnico”), o ancora il punto h (“bisogna evitare di prendere partito”) non sono solo misure volte a evitare la confusione o a render chiari i ruoli, compiti peraltro già di per sé abbastanza difficili.
Sappiamo come tra i fenomeni che si verificano quotidianamente nel lavoro istituzionale vi sia quello per cui prima o poi al consulente esterno viene chiesto di “prendere partito”, di partecipare indiscriminatamente, di aderire all’inquadramento di quell’istituzione che ha richiesto l’analisi istituzionale proprio perché c’era qualcosa che era diventato paralizzante. Perché anche le istituzioni hanno un setting (o più di uno) che funziona di fatto e comunque anche se non è esplicito; ma è solo all’interno del setting di chi compie l’intervento che questi fenomeni potranno essere analizzati.
A sua volta l’esempio dell’organizzazione che chiede allo psicologo di “entrare a far parte”, di “parteggiare” come se si trattasse di un gruppo primario o addirittura di una famiglia, pone in evidenza le ansie messe in gioco all’interno delle istituzioni. Sul setting si vanno infatti sedimentando le ansie più primitive, più legate agli aspetti simbiotici e non discriminati; ed è il suo saldo impianto, la sua rigorosa costruzione che permette di tollerare e comprendere l’ambiguità nella prospettiva di un processo che conduce al ripristino della dinamica conflittuale, fino al punto in cui i problemi possano essere sentiti e pensati come tali...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione di Aurelia Galletti
  3. Introduzione alla seconda edizione italiana
  4. Parte I – Gruppi operativi
  5. Parte II – La relazione clinica
  6. Appendice