PARTE PRIMA
“Guai a me se non annuncio
il Vangelo”
“1Corinzi 9.16”
“Pur essendo libero da tutti, mi sono
fatto servo di tutti per guadagnarne
il maggior numero…
Mi sono fatto debole per i deboli, per
guadagnare i deboli, mi sono fatto
tutto per tutti per salvare ad ogni costo
qualcuno.
Ma tutto io faccio per il vangelo per
diventarne partecipe anch’io”
“1Corinzi 9,19-22”
Il difficile cammino del Concilio
Il Vaticano II si era chiuso alimentando speranze e suscitando un impegno di intenso rinnovamento nella vita della Chiesa e nel suo rapporto con il mondo.
Gli obiettivi del Concilio si riassumevano in uno solo: rendere la Chiesa del ventesimo secolo sempre più idonea ad annunciare il Vangelo all’umanità del ventesimo secolo1. Annunziare il Vangelo. Comunicare all’uomo di oggi la buona notizia2 della liberazione annunciata da Cristo e affidata alla Chiesa, “sacramento”, cioè segno e strumento di salvezza3.
Il popolo di Dio, che aveva gioito all’annuncio e durante la celebrazione del Concilio, iniziò a ripensare seriamente alcuni degli aspetti fondamentali della sua vita: l’ascolto della parola di Dio, la celebrazione liturgica, la catechesi, il ruolo dei laici nella Chiesa e nella vita socio-politica.
Il popolo di Dio prendeva sempre più coscienza della sua dignità di “popolo profetico, sacerdotale e regale”4 e maturava gradualmente una più viva partecipazione alla vita della comunità ecclesiale ed un più responsabile impegno nell’animazione delle realtà temporali5.
Ma non era facile liberarsi dai condizionamenti derivanti da consuetudini ormai radicate nella vita della Chiesa. Bisognava compiere un grande sforzo e conquistare una libertà di spirito per accogliere non superficiali novità, ma il recupero del Vangelo. Apparvero, così, i primi segni di inquietudine, di dubbi, di rifiuti del Concilio in nome della fedeltà alla tradizione. Si misero in moto i seguaci di Lefebvre, il quale già durante il Concilio ne aveva contestato gli orientamenti. Cominciavano ad esprimere dubbi tutti i nostalgici del passato, specialmente quanti nella Curia romana temevano che la collegialità episcopale potesse condizionare l’autorità del Papa. Sul versante opposto si battevano i sostenitori di un rinnovamento più radicale, per i quali il Concilio aveva fatto scelte di compromesso.
Anche le riforme volute dal Concilio (riforma liturgica, rinnovamento della catechesi, Sinodo dei Vescovi, consigli pastorali) sembravano scelte deboli, mentre il centralismo romano continuava ancora a decidere e dirigere tutto.
Paolo VI che aveva creduto nel Concilio, che lo aveva guidato e concluso, dovette svolgere un’opera di prudente mediazione.
Egli era convinto che fosse necessario mettere in atto gli orientamenti del Concilio. Però si rendeva conto che si faceva sempre più grave il rischio di uno scontro fra tradizionalisti e innovatori.
Lefebvre continuava la sua opera di contestazione e riusciva a raccogliere numerosi seguaci, tanto da far temere uno scisma.
In Curia cresceva il malcontento soprattutto a causa di alcuni eccessi verificatisi specialmente in Olanda. Il “catechismo olandese”, tentativo di una moderna presentazione del cristianesimo (1966), e il Concilio pastorale nazionale (1966-1970) che aveva messo in discussione fondamentali punti della dottrina cristiana, suscitarono preoccupanti reazioni.
Paolo VI era convinto che toccasse al Papa intervenire con autorità per evitare che l’attuazione del Concilio portasse divisioni nella Chiesa.
Il Papato doveva essere il cardine dell’azione riformatrice del Concilio, attuata dal governo centrale in collaborazione con gli episcopati. Egli moltiplicò i suoi sforzi per chiudere la questione Lefebvre; intervenne energicamente per correggere gli eccessi della Chiesa olandese; assunse decise posizioni su temi sottratti all’esame del Concilio e risolti con un intervento personale, che suscitò molte critiche e forti reazioni negative6.
Il ’68 era stato un momento di grande sconvolgimento sociale, che aveva avuto ripercussioni anche nella Chiesa. La contestazione globale animata soprattutto dai giovani, metteva in crisi persone e gruppi sociali. Aumentavano le defezioni nel clero ed entrò in crisi l’associazionismo cattolico7.
La polarizzazione tra tradizionalisti e progressisti si acuì sino a far temere ripercussioni sulla stessa fedeltà di tanti cristiani alle verità della fede.
Paolo VI colse l’occasione del centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo (1967) per indire “l’anno della fede” con l’intento di ribadire il tradizionale insegnamento della Chiesa, tenendo conto delle esigenze dei tempi. L’“anno della fede”, che fu quasi ignorato dalle chiese locali, si concluse con un’articolata e solenne professione di fede, pronunciata dal Papa in San Pietro il 30 giugno 1968.
Ma il malessere non cessò. Segno che non si poteva curare un processo di crescita solo con interventi di mediazione e di autorità.
Di fronte al permanere delle difficoltà Paolo VI non si perse d’animo. Sentì forte il bisogno di un colpo d’ala che aiutasse la Chiesa a tirarsi fuori dalle secche di dispute sterili e spesso pretestuose. Bisognava volare alto e recuperare l’originale ed irrinunciabile missione della Chiesa: l’evangelizzazione.
L’evangelizzazione si propone negli ultimi anni del pontificato come categoria fondamentale nel pensare la presenza della Chiesa nella società contemporanea8.
Questo messaggio Paolo VI lanciò con l’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii Nuntiandi pubblicata l’8 dicembre 1975 a conclusione della III assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (sul tema “L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”), in chiusura dell’anno Santo 1975 e a dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II.
Annunzio del Vangelo
e liberazione umana
È utile ripercorrere a grandi linee l’Evangelii Nuntiandi perché ancora oggi è di grande attualità e mette all’ordine del giorno impegni che sono stati dimenticati o cancellati. All’inizio il documento chiarisce il concetto di evangelizzazione che non può essere intesa in modo ristretto e univoco. L’elemento dinamico vivo ed unificante dell’evangelizzazione è il mandato missionario affidato da Cristo risorto alla Chiesa. L’evangelizzazione è la risposta al comando del Signore. Non è solo parola annunziata. Designa, piuttosto, la totalità del...