DIRITTO CIVILE - Cronopercorsi - Volume 1
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6 percorsi in formato cronologico-sistematico su altrettanti argomenti di Diritto Civile, con una breve anteprima di Diritto Romano, per agevolare la memorizzazione dei pertinenti profili fondamentali.L'Autore opera una innovativa "summa" Crono-sistematica della giurisprudenza e della dottrina pertinenti (anche non recenti), di imprescindibile rilievo, in particolare dal punto di vista della preparazione concorsuale.Un strumento utile e di facile consultazione, anche per chi vuole solo rimanere aggiornato e competitivo nell'attività professionale di tutti i giorni.Devi con-correre! Scegli Tu l'Allenatore migliore!Aggiornamenti a cura di Emilio Barile La Raia

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788890532962
Capitolo VI
Prescrizione e decadenza
nel Diritto romano
Massima
I Romani assegnano al tempo un ruolo giuridico assai preciso in rapporto alle actiones e dunque (né del resto poteva essere altrimenti) alla tutela processuale di determinati interessi, muovendo da una originaria, congenita perpetuità delle actiones medesime per approdare alfine ad un progressivo contingentamento cronologico della ridetta, pertinente tutela; ciò in un contesto generale che vede più esplicitamente affiorare la prescrizione (estintiva ed acquisitiva) oltre che di già affacciarsi, seppure in misura meno palmare, la stessa decadenza.
Articolo
In un sistema giuridico sommamente “pratico” come quello romano, che come tale conosce – processualmente – il tipo di tutela “di qualcosa” senza indagare troppo, sul crinale sostanziale, cosa sia il “qualcosa” tutelato, lo scorrere del tempo non può che spiegare concreti effetti sulla ridetta tutela processuale e, in ultima analisi, non può che incidere sul potere o meno di spiccare un’actio.
Premesso che i Romani non hanno operato veruna configurazione unitaria dell’istituto della prescrizione, muovendo dalla fase più arcaica ci si trova al cospetto di actiones perpetuae, e dunque di iniziative giurisdizionali a tutela di situazioni giuridicamente tutelate che possono essere intraprese in ogni tempo, senza il rischio di vedersele estinte per relativo, mancato esperimento entro un dato termine; si tratta di quella che in dottrina è stata riconosciuta come tendenziale perpetuità ed intangibilità delle “legis actiones”, le più antiche forme di tutela (in qualche modo) “giudiziale”, quale contraltare “processuale” – in termini di incondizionata fruibilità nel tempo – alla concezione “sovrana” dei poteri del paterfamilias.
Con l’invalere del processo formulare, e di connesse azioni introdotte dal Magistrato competente (il Praetor), si assiste invece al proliferare di “actiones temporales”, e segnatamente di “actiones annales” perché collegate alla durata della carica del Magistrato medesimo, di regola annuale; affiora una forma di potenziale decadenza, dacché se normalmente un determinato tipo di tutela viene via via confermato (e, al limite, ampliato ed integrato) nel successivo Editto ad opera del nuovo Praetor, tale evenienza non può dirsi scontata, con il rischio in astratto di trovarsi – scaduto l’anno di carica del Magistrato concedente – nella impossibilità di far valere tutele non più previste dal ridetto “nuovo” Editto (riconducibile ad un “nuovo” pretore).
Viene normalmente ricondotta a Teodosio II l’introduzione, nel V secolo d.C., della c.d. praescriptio triginta annorum, e dunque della prescrizione trentennale delle azioni che non si estinguano, in forza della ridetta praescriptio, in un termine più breve.
***
Legato a doppio filo alla “prescrizione” delle azioni è, su altro crinale, l’acquisto della proprietà che ad essa può essere complementare laddove chi abbia perso il possesso di una res (che gli appartiene) non possa più – per decorso d’un certo tempo – agire per recuperarla, così subendo – a determinate condizioni – la c.d. usucapio del possessore della res medesima, quest’ultimo capace in quanto tale di paralizzare l’azione di recupero dell’ormai ex proprietario.
L’“usucapio” è peraltro un istituto di ius civile puro che, come tale, non si applica sul versante soggettivo a chi non sia civis Romanus e, sul crinale oggettivo, a terre provinciali collocate al di fuori della penisola italica, circostanza che agevola l’affiorare della c.d. longi temporis praescriptio, istituto analogo alla usucapione ed operante, per l’appunto, nelle Province in cui quest’ultima non possa assumersi operativa.
In questo caso, emblematicamente, il fuoco dell’attenzione dei giuristi romani si sposta non tanto sull’acquisto della proprietà in capo al possessore – come accade nelle fattispecie di usucapio disciplinate dal ius civile per i cives Romani ed i fondi italici – quanto piuttosto sul potere del possessore medesimo di “eccepire” per l’appunto la “prescrizione” della proprietà dell’attore, laddove il relativo possesso si sia protratto per un dato periodo di tempo corrispondente ormai nel III secolo d.C. a 10 anni se i due contendenti (proprietario attore e possessore convenuto) vivono nella medesima città, e a 20 laddove invece vivano in città distinte.
La longi temporis praescriptio consente dunque al possessore (laddove si siano varcati i 40 anni, anche se di mala fede e non in possesso di un titulus) di paralizzare l’azione del proprietario che rivendichi (rei vindicatio) la cosa propria pur avendone tollerato per lungo tempo in capo a terzi (il possessore, per l’appunto) l’esercizio del pertinente potere di fatto, senza ad un tempo abilitarlo a farsi attore al fine di recuperare il possesso medesimo laddove perduto.
Con l’avvento di Teodosio II – e della “praescriptio longissimi temporis” o “praescriptio triginta annorum” da lui introdotta nel 424 d.C. (C. Th. 4, 14, 1)- vede la luce un regime della “prescrizione” (anche acquisitiva, e dunque ad usucapionem) generalizzato alla cui stregua, decorsi 30 anni dalla violazione di un proprio diritto, il relativo titolare perde il potere di intentare qualsivoglia azione per tutelarlo; circostanza che – stante anche l’abolizione di qualunque distinzione tra cives Romani e c.d. peregrini, da un lato, e tra suoli italici e suoli provinciali, dall’altro – contribuisce ormai alla fusione postclassica tra usucapio (di ius civile) e longi temporis praescriptio in un unico istituto giuridico compendiantesi nella usucapio (o prescrizione acquisitiva) di Giustiniano.
***
Sul crinale della decadenza, non si rinviene nell’esperienza giuridica romana (e a differenza di quanto accade per la prescrizione) neppure una pertinente terminologia specifica.
Ciò non esclude una presenza “sotto traccia” del pertinente istituto, come dimostra non solo la stessa, ridetta “annualità” di determinate azioni concesse dai Magistrati, ma anche – secoli dopo – la previsione di brevi termini per interporre appello siccome prevista nella procedura extra ordinem, dovendo la parte interessata dichiarare, subito dopo la lettura della sentenza sfavorevole, di volerla appellare, facendo poi pervenire il libellus appellatorius al giudice di primo grado entro un brevissimo tempo al cui spirare l’appello diveniva irricevibile (con Giustiniano, tale termine è pari a 10 giorni).
Gli elementi più antichi del concetto moderno di decadenza – come ha sottolineato la dottrina – sembrano strettamente avvinti alla necessità di contenere i tempi processuali e, dunque all’esigenza di garantire la rapida definizione dei giudizi pendenti, massime in età imperiale (in particolare tra IV e V sec. d.C.).
è soprattutto in epoca medioevale, e dipoi in particolare con il giurista francese Ugo Donello, che affiorano le prime coordinate di una vera e propria teoria della decadenza, con progressivo isolamento della connessa nozione di “perdita dell’azione per decorso del tempo”; Donello muove nondimeno, e non a caso, proprio dall’esperienza giuridica romana giusta attenta distinzione (ex post) tra actiones temporales e actiones perpetuae, onde mentre le prime si estinguono ipso iure alla scadenza del termine di 1 anno – stante come la possibilità stessa che la pertinente azione sia accordata viene riconosciuta entro limiti di tempo circoscritti – le seconde si estinguono ope exceptionis, dacché il diritto di invocarle viene riconosciuto in perpetuo, salva la possibilità per il convenuto di eccepire la prescrizione.
Collegamenti
Prescrizione – Decadenza – Usucapione
IL TEMPO È GALANTUOMO.
MA NON SEMPRE E NON PER TUTTI
Prescrizione e decadenza
Massima
Il titolare “statico” di un diritto, non esercitandolo (non “attivandolo” in senso “dinamico”) per un significativo torno temporale, finisce con l’ingenerare una situazione di fatto che si presume, in virtù dell’apparenza, conforme a diritto; proprio la certezza giuridica impone a questo punto di far corrispondere il “fatto” al “diritto”, onde chi era formalmente un “debitore”, a cagione della “forza delle cose” e complice (imprescindibile) l’inerzia del proprio “creditore”, finisce via via sostanzialmente col non apparire più tale e financo, alfine, per non esserlo più neppure formalmente, tanto che questo accada secondo una declinazione in termini di prescrizione, quanto che invece succeda a valle di una decadenza; resta ferma “in ogni caso” la necessità di distinguere i due istituti ridetti ed i pertinenti regimi (il secondo, più del primo, palesandosi avvinto alla presenza di un interesse collettivo ed alla connessa esigenza di “certezza celere” che ne deriva); resta ferma altresì, ma qui solo “in qualche caso”, la difficoltà di individuare l’attimo in cui, concretamente, l’inerzia del “creditore” – più o meno “diligente” – inizia ad essere giuridicamente rilevante in ottica estintiva della pertinente pretesa (o, secondo una tesi più antica, dell’azione che la presidia), massime laddove compendiantesi quale pretesa risarcitoria avvinta a pregiudizi c.d. “lungolatenti”.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Il 25 giugno viene varato il R.D. n.2358, codice civile del Regno d’Italia (c.d. codice Pisanelli), di stampo liberale, che disciplina in generale la prescrizione agli articoli 2105 e seguenti, giusta disposizioni generali (2015-2114), disciplina delle cause che impediscono o sospendono la prescrizione (2115-2122), disciplina delle cause per cui si interrompe la prescrizione (2123-2132) ed infine disciplina del tempo necessario a prescrivere (2133-2147: disposizioni generali; prescrizioni di 30 e 10 anni; prescrizioni più brevi).
Importante la norma di incipit del pertinente regime, ovvero l’art.2105, alla cui stregua la prescrizione è un mezzo con cui, col decorso del tempo e sotto condizioni determinate, taluno acquista un diritto ovvero è liberato da una obbligazione. Il Legislatore del 1865 disciplina dunque nella medesima sedes materiae tanto la prescrizione estintiva quanto quella c.d. acquisitiva, o usucapione, come conferma l’art.710, comma 3, alla cui stregua la proprietà e gli altri diritti reali “possono anche acquistarsi col mezzo della prescrizione”.
Dal punto di vista dell’oggetto della prescrizione estintiva, esso sembra doversi individuare nell’azione (e non già nel diritto), stante il disposto dell’art.2135 onde tutte le “azioni” – tanto reali quanto personali – si prescrivono col decorso di 30 anni, senza che possa in contrario opporsi il difetto di titolo o di buona fede; terminologia ricalcata dai successivi articoli 2138, 2139, 2140 e 2146.
Nondimeno, l’art.2136 definisce la prescrizione anche come mezzo che consente di essere “liberato da un’obbligazione”, con ciò facendo riferimento – seppure a contrario – all’estinzione del diritto del creditore; del pari agli articoli 515 e 529 (in tema di usufrutto, uso e abitazione), l’art.666 (in tema di servitù) e l’art.2030 (in tema di ipoteca) riferiscono in modo palmare la prescrizione ai rispettivi diritti, e non già alle pertinenti azioni.
Nella dottrina successiva al codice, si propende maggiormente per la tesi onde la prescrizione estingue il diritto soggettivo, dacché un diritto senza azione (ormai prescritta) viene giudicato un non senso, mentre al cospetto di un diritto prescritto non è più spiccabile la pertinente azione.
Per quanto riguarda la decorrenza della prescrizione, il codice tace dando la stura al dibattito della dottrina e della giurisprudenza che fanno appello, nella sostanza, al motto di ascendenza romanistica onde “actio nondum nata non praescribitur” e dunque non può prescriversi un’azione che non sia ancora neppur...

Indice dei contenuti

  1. PREMESSA
  2. Capitolo I I diritti umani nel Diritto romano
  3. Capitolo II Le associazioni nel Diritto romano
  4. Capitolo III La tutela del nascituro nel Diritto romano
  5. Capitolo IV Le fondazioni nel Diritto romano
  6. Capitolo V L’incapacità naturale e l’amministratore di sostegno nel Diritto romano
  7. Capitolo VI Prescrizione e decadenza nel Diritto romano