Tramonti
eBook - ePub

Tramonti

Un mondo finisce e un altro non inizia

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Tramonti

Un mondo finisce e un altro non inizia

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Sembra finire un'epoca e si dichiarano dissolti tutti i mondi in cui abbiamo vissuto e creduto: il pensiero e la carta stampata, le religioni e le loro chiese, la storia e il suo racconto, la politica e i grandi movimenti, i territori, i popoli e le famiglie, la cultura e la natura. Tutto sembra sgretolarsi e naufragare, perdere senso e consenso, ma nulla sorge al loro posto, solo un magma mutevole e indefinibile, un mondo senza confini e pieno di pseudo-simulacri che credono di essere al centro dell'universo: un pulviscolo di egoismi cosmici in un mondo spaesato. Non è la fine del mondo, come non c'è mai stata la fine della storia; semmai è la fine di un mondo, come è accaduto altre volte. Stavolta però manca il fervore degli inizi, manca l'accenno al nuovo che non sia solo la decomposizione del vecchio o l'emancipazione dal passato. Siamo ancora alla teofania della liberazione. E poi cosa viene, cosa accade?

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Tramonti di Veneziani Marcello in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Politica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833372419

Dopo la democrazia
Libertà, prigione senza muri

Da alcuni anni sta accadendo qualcosa che non avevamo immaginato. Alla caduta del Muro di Berlino un leit motiv tambureggiante glorificava la fine della storia nelle braccia del modello liberal-democratico. Caduto l’antagonista funesto, il comunismo, l’avvento della democrazia atlantica sembrava non avere più rivali. Il modello unico e obbligato su cui edificare il nuovo ordine mondiale era quello. Si addensarono altri antagonismi, in Medio Oriente e poi col radicalismo islamico, o con la ripresa vigorosa delle identità locali e nazionali. Ma sul piano politico, il sistema liberal-democratico regnava senza rivali e il resto del mondo era considerato in una prospettiva ancora lineare e fatalista come una periferia in via di sviluppo che si sarebbe prima o poi adeguata al modello democratico. Invece è avvenuto un cortocircuito. La democrazia ha cominciato a perdere forza, consenso, capacità decisionale e i poteri si sono trasferiti altrove, anzi sono visibilmente traslocati in altri luoghi opachi e sovraordinati rispetto alle sedi elettive della democrazia.
Il tramonto della democrazia, almeno come l’abbiamo finora conosciuta, è sotto gli occhi di tutti. È inutile fingere che siano solo parziali o passeggere malattie e sostenere che l’attuale malessere rientra nella vita ordinaria della democrazia, che è sempre sotto attacco, da sempre vive in crisi, tra turbolenze e transizioni, e oscilla tra alti e bassi, momenti di crescita e momenti di difficoltà. Ci sono in realtà troppi fattori concomitanti che portano a ritenere strutturale e non provvisorio il crepuscolo della democrazia. Passiamole in veloce rassegna: la sovranità popolare è di fatto espropriata da organismi e oligarchie transnazionali che non hanno alcuna legittimazione democratica e prescindono da ogni riferimento al popolo sovrano e alla cittadinanza. Lo spazio delle decisioni in sede di governo e di parlamento si restringe sempre più, la politica si limita a recepire e tradurre a livello locale le direttive che giungono dagli organismi sovranazionali e dai parametri indicati in sede tecno-economica.
Al deficit decisionale corrisponde il deficit partecipativo: cresce la disaffezione e l’indifferenza, metà elettorato non va abitualmente a votare in Occidente; quando vota esprime dissenso più che consenso, vota contro, esprime un voto psicolabile, variabile e presto revocabile; premia l’antipolitica e punisce l’establishment, rigetta ogni mediazione, condanna i partiti che erano le colonne della democrazia, a un’avvilente marginalità e vota il nuovo a prescindere, più per avversione a tutto quel che preesiste ed è stato dominante. Poi accade che grazie alle alchimie elettorali e mediatiche si presentino come trionfi elettorali, leader e partiti che raccolgono solo un quinto, un sesto effettivo dell’elettorato; ma tra larghe astensioni, soglie di sbarramento e premi di maggioranza, si ritrovano grandi margini per governare. Le forme di rappresentanza a cui la democrazia si affidava e gli stessi governi in carica vengono di continuo sfiduciati dalla doxocrazia, in cui i sondaggi delegittimano continuamente gli equilibri precedentemente acquisiti. E la democrazia diretta nelle forme assurde delle consultazione tramite rete, blog, stabilisce preferenze e priorità indicate da campioni microscopici, circuiti militanti tutt’altro che rappresentativi dell’opinione pubblica. La democrazia finisce – in alto come in basso – in balia delle sette: gruppi di attivisti in basso, gruppi di potere in alto. Oligarchie e minoranze settarie.
La popolazione va perdendo i riti preliminari alla partecipazione democratica: meno informazione, ancor meno formazione politica e conoscenza della storia, meno letture dei quotidiani e dei libri; meno frequentazione di associazioni, movimenti, partiti, luoghi di appartenenza. Il cittadino vive in solitudine, il suo oblò sul mondo è il suo smartphone ed è convinto che i problemi primari della sua vita non passino più dalla politica ma si risolvano nella sfera privata.
A questi evidenti sensori della crisi, si aggiungono tendenze di fondo: la democrazia, schiacciata tra il dominio del globale e il rifugio nel privato, perde il suo spazio politico, perde il suo ambito. Tra il singolo privato e lo spazio globale deperiscono tutte le realtà intermedie e gli ambiti vitali, dalla politica alla cittadinanza, dalle comunità civili a quelle religiose. Soli nel globale.
Non esiste democrazia senza un territorio, la democrazia delocalizzata non è una democrazia, perché non c’è un luogo della sovranità; una democrazia ha bisogno di un perimetro entro cui riconoscere la cittadinanza, le sue norme, la loro osservanza. Non può esistere una democrazia sconfinata; e se, come si ripete citando Bauman, viviamo in un’epoca liquida, a maggior ragione una società liquida ha bisogno di recipienti che la contengano per evitare che esondi, si sversi, si disperda e si prosciughi. Senza limiti, senza regole, senza limes, una democrazia muore, come del resto ogni altra forma politica. La democrazia è viva se si riconosce in uno spazio delimitato.
Ma la democrazia, per funzionare, ha bisogno oltre che di un territorio anche di un sostrato su cui fondarsi: ossia un insieme di ordini, consuetudini, tradizioni, strutture consolidate e legami sociali, dalla famiglia alle comunità, senza i quali la democrazia non ha fondamento né ossigeno e nemmeno prospettiva. Nel corso degli anni questo patrimonio ereditato, questo capitale sociale, questo legame civico è stato logorato, denigrato, disperso.
In questo contesto nasce, serpeggia e a tratti dilaga un fenomeno nuovo ma anche ciclico in seno alle democrazia: la crescita dei populismi, a volte su base nazionale, leaderistica e identitaria, a volte su base radicale e libertaria, ma con una forte caratterizzazione sociale e plebiscitaria. L’establishment suona l’allarme per la democrazia, e i media conformi ai poteri dominanti seminano paura intorno ai movimenti populistici, presentandoli come un pericolo per la democrazia, una minaccia per la società libera, aperta e globale. In realtà la minaccia alla democrazia precede lo sviluppo dei populismi, ne è anzi la sua principale motivazione: i populismi nascono proprio perché la democrazia è esautorata, la sovranità popolare non conta. La stessa cosa avviene quando si denuncia che i populismi prosperano soffiando sulla paura della gente per lo strapotere cinico dei gruppi economici, per gli incontrollati flussi migratori o per la criminalità. Ma poi, anche il fronte anti-populista soffia sulla paura del populismo, paventando dietro ogni movimento populista un nuovo totalitarismo o addirittura la riedizione del nazismo. Si denuncia la politica della paura su cui regge il populismo mentre si adotta la politica della paura per demonizzarlo.
I populismi hanno poi tante debolezze, rozzezze, limiti vistosi: leadership demagogiche di estrazione mediatica, ceti dirigenti inadeguati, programmi politici velleitari, origini storiche e culturali spesso fragili, se non immaginarie. E come i loro antagonisti, anche i populisti vivono sul presente, sulle emozioni del momento, tagliano i ponti con il passato e col futuro. Ma i populismi prendono corpo da una duplice domanda cruciale: può ancora considerarsi democrazia un regime dove si decide fuori dalla sovranità politica, popolare e nazionale? E poi: può considerarsi ancora adeguata, efficace, la democrazia parlamentare come l’abbiamo finora conosciuta, nell’epoca in cui la sovranità passa alle élite tecnocratiche e finanziarie e i confini territoriali e identitari dei popoli sono continuamente relativizzati, scavalcati e minacciati dall’accoglienza dei massicci flussi migratori clandestini? L’onda populista, che a volta avanza, a volte sembra sparire o rientrare nell’alveo oscuro dell’astensionismo, attraversa le democrazie, sia quelle imperniate sul parlamento e sulla rappresentanza sia quelle incentrate sul governo e sulla leadership, come le repubbliche presidenziali come gli Usa e semipresidenziali come la Francia.
Il populismo non è il pericolo della democrazia, o quantomeno non è il pericolo principale; ma è la reazione a un processo di svuotamento della democrazia, di deprivazione della sovranità popolare, di inaridimento dei tessuti connettivi di una democrazia e dei suoi circuiti vitali: la rappresentanza, i partiti, i leader, le regole, il rapporto fiduciario tra elettori ed eletti, tra governo e cittadini, tra parlamento e popolo sovrano. In una democrazia esautorata dagli organismi sovranazionali, il populismo diventa l’extrema ratio per far pesare gli interessi, le volontà e gli umori popolari nelle scelte e nelle decisioni. La democrazia è sfibrata ma le ombre autoritarie che la minacciano, prima ancora di provenire dai leader populisti che perlomeno si sottopongono al voto e decidono in trasparenza, coram populo, si annidano nei poteri opachi, nei quartier generali di banche, fondi monetari, commissioni, organismi globali e multinazionali. Il populismo, invece, nasce, vive e spesso muore in piazza.
I populismi possono essere fenomeni passeggeri o possono continuamente spegnersi e rinascere sotto altra forma, con altri leader. Ma la loro presenza è destinata a durare. Dall’altra parte la democrazia non è eterna né insuperabile, non è il capolinea della storia. Sono caduti imperi millenari, non c’è ragione di pensare che la democrazia nelle sue forme correnti debba essere invece il non plus ultra. La democrazia è mortale come tutti i regimi e gli ordinamenti.
Il vero, grande problema non è il tramonto della democrazia, sottoposta come tutti i regimi alla storicità delle forme politiche, e dunque alla nascita, allo sviluppo e al declino. Il vero, grave problema è il tramonto della politica, che resta il luogo insostituibile in cui prende corpo, anima, forma una società, in cui si decidono e si rappresentano gli interessi generali, si ricerca il bene comune, si confrontano governati e governanti, élite e popolo, maggioranza e opposizione, si affrontano e si riconoscono reciprocamente consenso e dissenso, in cui si esprimono i valori divisi e condivisi. L’egemonia della tecnica e della finanza, la perdita del territorio e dei confini nell’orizzonte globale, l’espansione del privato e dei temi attinenti la sfera dei desideri individuali, affondano la politica e l’essenza della polis. E se si spegne la politica, ci spegniamo anche noi, retrocediamo da cittadini a utenti, sudditi e consumatori.
Quali sono le condizioni preliminari della buona politica e del buon governo, ovvero le categorie della politica? La politica è il regno che ha per base la partecipazione, per altezza la decisione e per finalità il bene comune. È una corda tesa tra conflitto e consenso che riconosce diritti al dissenso e un perimetro di valori non negoziabili, sovraordinati rispetto alle parti in campo. Primo tra tutti l’amor patrio e dunque la salute della res publica. Trasparenti, controllabili e revocabili sono i suoi poteri, salvo una soglia di necessaria riservatezza fino al segreto di Stato (Arcana Imperii). Il buon governo non è mai assoluto e non è mai a tempo indeterminato, la decisione resta piena e responsabile, ma con una serie di verifiche e contrappesi (equilibrio di poteri) e a con mandati a termine. La libertà e l’uguaglianza sono condizioni di partenza, pari opportunità, e parità dei diritti commisurati ai doveri. Ma la libertà e l’uguaglianza tramite il riconoscimento dei meriti e delle capacità, producono differenze, gerarchie e aristocrazie. A ciascuno va riconosciuto il suo rango, la sua competenza e il suo grado di responsabilità. Infine un buon governo non risponde solo al criterio maggioritario, ma ha tre parametri su cui modula la sua azione: l’esperienza, la maggioranza e la competenza ovvero la lezione del passato, ossia il giudizio derivato dalla storia e dalla tradizione; poi il giudizio derivato dal voto popolare; infine il giudizio degli esperti e dei competenti. Una decisione è saggia se è sostenuta da almeno una delle tre fonti senza essere smentita dalle altre due; o se è smentita da una fonte dev’essere confermata dalle altre due. Naturalmente non è un criterio da applicare meccanicamente; va calato nella realtà specifica e modulato dalla saggezza del buon governo sulle esigenze contingenti. Ma i criteri generali restano quelli. Con quei lineamenti siamo ancora dentro la democrazia, ne siamo già fuori, o siamo nell’ambito di una democrazia comunitaria, organica o decisionista? È una domanda giusta, ma la definizione è comunque meno importante della salvaguardia dei suoi contenuti e delle sue istanze.
La perdita della politica come dimensione centrale della cittadinanza rischia di rendere ozioso e tardivo il discorso sulla democrazia. L’assoluto predominio della tecnica e del mercato confina la democrazia nella sfera delle procedure; la democrazia diventa una cornice, uno sfondo o display, un rito convenzionale, ma non è più una dimensione costitutiva e incisiva della vita associata.
La democrazia politica in Europa rischia dunque di cedere il passo a una eurocrazia economica. In Europa la legittimità democratica è in pericolo, scriveva già alcuni anni fa Larry Siedentrop ne La democrazia in Europa64, per “le macchinazioni di alcune elites che si sottraggono al controllo democratico”. La commissione ha il monopolio delle proposte, le decisioni sono prese dall’alto, senza mai rispondere ai cittadini. A sua volta il Parlamento europeo conta poco, anzi aggiungeva Ralph Dahrendorf, nelle sue lezioni sulla Libertà attiva65, “non merita questo nome”. L’Europa è una democrazia senza demos, senza popolo, avrebbero detto Pietro Nenni e Maurice Duverger. Poi l’astensionismo alto e la disaffezione larga (mezza Europa non va a votare) restringono ulteriormente la credibilità e la rappresentatività delle sue istituzioni. L’Unione europea ha poi reciso i ponti con la storia della sua civiltà.
L’altra colonna dell’ordine liberale e democratico è lo Stato di diritto. Ma anch’esso è in pericolo e può diventare il dominio incontrollato dei funzionari e dei giudici, avverte Dahrendorf. Il riferimento riguarda non solo l’abuso di potere della magistratura, ben noto in Italia, o il ruolo delle corti europee, che calpesta tradizioni giuridiche e culturali millenarie, ma anche il deficit di giustizia diffusa in ordine ai temi della sicurezza e dell’ordine. La tolleranza verso la delinquenza e la diffusa illegalità, l’indulgenza verso la clandestinità, l’insufficienza nel fronteggiare il terrorismo e la criminalità, favoriscono per contro la voglia di scorciatoie illiberali e soluzioni drastiche.
Sul piano politico-istituzionale il declino degli Stati nazionali, che sono ancora gli unici riferimenti su base democratica che rappresentano la storia, la vita e il sentire dei popoli europei, produce un’ulteri...

Indice dei contenuti

  1. Porta d’ingresso Punto Zero
  2. Dopo il comunismo I residui tossici, gli eredi smemorati e il nuovo PC
  3. Dopo l’Occidente Dal tramonto europeo allo sconfinamento globale
  4. Dopo la cristianità L’Europa perde Cristoe la Chiesa insegue i cambiamenti
  5. Dopo la destra In principio fu aristocrazia, alla fine populismo
  6. Dopo la democrazia Libertà, prigione senza muri