“Berlino non è più Berlino”
L’ultima intervista di Edoardo Sanguineti
Roma-Genova, 23 aprile 2010
Ma tu, piccolo muro, hai fatto di Berlino una città: (e le hai iniettato persino un po’ di Lokalpatriotismus): troppa grazia, accidenti, juter jott, che di città, così, ne hai fatte due”
Edoardo Sanguineti,
Reisebilder (settembre 1971)
In questi giorni la casa editrice ISBN ha pubblicato una raccolta di poesie molto interessante. Si tratta di un libro, molto politico, che ci racconta una fetta di storia europea, quella legata alle due Germanie vista attraverso gli autori della Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Si tratta di 100 poesie dalla DDR, a cura di Christoph Buchwald e Klaus Wagenbach con uno scritto di Edoardo Sanguineti, ed è con quest’ultimo che vogliamo parlare della raccolta. Il poeta Edoardo Sanguineti non ha bisogno di alcuna presentazione, tanto vasta è stata la sua opera di autore letterario e di critico.
Parlare oggi di questo libro è molto importante, dato che poesia e cultura sono degli aspetti di grande rilievo nel panorama creativo. Ricordo di aver letto, in un libro di recente pubblicazione, che la DDR era considerata il “Paese della cultura”, dove si leggeva molto e maggiore era l’attenzione verso la lettura. Edoardo Sanguineti ha voluto premettere un suo scritto a questo libro anche per una ragione molto particolare: nel 1971 ha vissuto per alcuni mesi a Berlino Ovest e frequentato la parte Est della città con un permesso speciale.
Edoardo Sanguineti, in quale circostanza si recò a Berlino nel 1971? Cosa la spinse in quella città?
“Berlino a quell’epoca – parlo di Berlino Ovest – ospitava per decreto del Senato, e con l’appoggio degli Stati Uniti in particolare, artisti di ogni specie. A questi artisti veniva assegnata una casa. Non c’era obbligo di nessun genere. Chi voleva utilizzare la vita culturale della città poteva farlo liberamente frequentando teatri, cinematografi, musei. Nel fare queste attività c’era un vantaggio supplementare.
Visto che avevo un passaporto straniero non avevo le stesse difficoltà degli altri abitanti di Berlino nel passare da una parte all’altra della città. In pratica avevo minori problemi nel passare da Berlino Ovest nella parte della città governata dalla DDR. Approfittai di quella circostanza per vedere tanti spettacoli del ‘Berliner Ensemble’, di Bertolt Brecht, opere teatrali, i musei, i concerti. I musei più importanti erano nella zona Est di Berlino. In quella circostanza era possibile un’opera di confronto concreto tra l’una e l’altra Berlino; tra l’uno e l’altro modo di vita. Questa situazione rendeva molto evidente che, nella parte Est, quella della Repubblica Democratica Tedesca, la vita era certamente più dura perché le condizioni erano molto più rigide, difficili. Anche pagando in dollari o con soldi dell’Ovest non era facile trovare una buona cena o altro. Però c’era una vita culturale e una speranza molto forte. Occorre dire che in quella zona di Berlino c’era una sorta di grande aspettativa.
Una parte di quegli abitanti, quella più ‘democratica’, nel senso sociale della parola, nutriva degli interessi immediati nei confronti dell’esistenza: avere una casa; esercitare un mestiere; fruire delle biblioteche con servizi culturali molto alti. Questo era il loro orgoglio e la loro aspettativa. Questa situazione non coinvolgeva tutta la popolazione. Tuttavia, ho letto di recente sui giornali la notizia di un’inchiesta su cosa pensassero oggi, nella Berlino riunificata, della caduta del ‘muro’ i tedeschi. Adesso ricordo quale era la fonte: si trattava della ‘Bild’, cioè una fonte totalmente insospettabile perché questo quotidiano non aveva alcuna simpatia verso la Germania dell’Est.
Secondo questo sondaggio, la maggior parte dei tedeschi rimpiangeva la ‘beata’ età del ‘muro’. ‘Beata’ nel senso che, in quel periodo, c’era una sicurezza esistenziale che, dopo, vista la condizione di speculazione edilizia che si è creata dopo il 1989, non c’è più stata. Infatti, a Berlino Est c’erano intere zone abitate da intellettuali, artisti, lavoratori, che praticamente non avevano spese. C’era una sorta di sicurezza esistenziale. E questa sicurezza veniva fortemente rimpianta. Questo sondaggio è passato su più di un giornale, ma non si diceva che lo aveva scritto la ‘Bild’. Quando sono tornato a Berlino, dopo la caduta del ‘muro’, ho avuto un’impressione molto sfavorevole. Mi ero convinto che era stata operata una rapina nei confronti di quella parte della città: sono stati buttati giù edifici, che appunto erano la salvezza...non voglio usare dei termini...dei proletari in senso largo. In quella città c’era un certo orgoglio proletario. I cittadini di quella zona di Berlino erano stati depredati di tutto: non c’era nessuna sicurezza. Questa condizione di insicurezza si è diffusa un po’ in tutti gli strati dell’opinione pubblica. E non mi riferisco solo al mondo occidentale, ma a tutto il pianeta. E Berlino non è più Berlino. Ho avuto occasione di vedere Berlino prima del muro, durante il muro e dopo la caduta del muro.
Posso dire di aver conosciuto bene la città. Ricordo che per arrivare a Berlino si volava su aerei con sportelli terrificanti. Su quegli sportelli non c’era nessun controllo. Chiunque poteva aprirli perché servivano ai paracadutisti in quanto adibiti al trasporto dei soldati. Colpiva molto questa fusione di quella parte di Berlino Ovest rispetto al resto della città. Proprio nei giorni del mio soggiorno a Berlino scrissi delle poesie. I grandi magazzini dell’Alexanderplatz, situati a Berlino Est, volevano essere una sorta di compensazione dei magazzini all’occidentale. In quel periodo tutto era condizionato dalla televisione. La tv di quegli anni aveva già magnificato tutto quello che faceva parte dell’Occidente rispetto a quello che veniva fatto ad Oriente. Era accaduto quello che abbiamo visto con gli albanesi all’inizio degli anni Novanta, quando migliaia di persone sono sbarcate in Italia sulle coste pugliesi, credendo che sarebbero arrivati nel paese di Cuccagna e che avrebbero trovato il cielo sopra la terra. Poi, un po’ alla volta si accorsero che non era così. E la verità delle cose, per fortuna, non sempre, con la durezza dell’esistere, trionfa di molte favole”.
In questo libro che ospita il suo scritto vengono mischiate le poesie di dissidenti che erano avversi al regime comunista di Ulbricht e di Honecker con quelle di intellettuali legati al governo di Pankow. Ha trovato corretta questa impostazione del libro?
“A me pare molto corretto il fatto che si mettesse in luce che le posizioni espresse sul terreno della cultura erano molto meno omogenee, e coatte anche, di quanto apparisse. C’è una famosa risposta di Bertolt Brecht quando ci fu la sommossa operaia a Berlino. Andò da lui una delegazione di operai in lotta contro il regime. Il poeta disse a questi operai: «Non posso. Sono impegnato nelle prove. Ho altro da fare». È una risposta molto brechtiana. E se vogliamo è una risposta molto cinica. Però questa era anche una risposta molto realistica nel senso che Brecht non aveva mai patito alcuna illusione ed è stato un uomo colto, cinico ed esprimeva qualcosa che negli intellettuali era molto forte. Ho co...