Volevo fare l'avvocato
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Volevo fare l'avvocato

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Fare l'avvocato o essere avvocati? Questo è il problema. In alcune carte di Primo Levi è stata trovata un'annotazione relativa a un deportato: sapeva fare l'orologiaio. Non era un orologiaio, o faceva l'orologiaio, ma sapeva fare l'orologiaio. Anche per chi si avvicina alla professione di avvocato, questo dovrebbe essere il vero traguardo. Questo però non è un manuale su come fare l'avvocato: è soltanto una raccolta di fatti e una cronaca di un'esperienza su come possa venire percepita praticamente una professione che una burocrazia ad angolo ottusoe in continua evoluzione tenta a volte di farci odiare.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833372327

1.
L’esame di Stato

Avvocati si nasce.
Se non siete portati ad affrontare anni di sentenze ingiuste, attese interminabili nei corridoi dei palazzi di giustizia, pubblici ministeri in assetto di guerra, clienti capaci di telefonarvi anche quando siete a un funerale, lasciate stare.
L’esame di Stato è come l’avvocatura. Duro, aspro, e vi aspetta dopo la pratica come un questurino. Vi sembra insuperabile?
È solo l’anticamera. Prima del 1997 si chiamava ancora esame da Procuratore Legale.
Equivaleva ad essere abilitati anche se potevi difendere soltanto all’interno del distretto di Corte d’Appello di residenza per i primi sei anni.
Una norma funzionale che ci evitava trasferte in altre città dove il rischio di combinare guai diventava maggiore. In seguito venne varata la legge (1997) per cui tutti e subito – superando l’esame – si diventava avvocati. Il meccanismo comunque non cambiava.
L’esame continuava a prevedere tre giorni di prove scritte, due pareri pro veritate e un atto di procedura. Che poteva essere, a scelta, penale, civile o amministrativa.
Se le superavi – l’esito viene comunicato dopo circa sei mesi – bisognava affrontare gli orali, anche a distanza di qualche mese. Dovevi soltanto studiare.
Gli scritti si fanno a dicembre – poco dopo l’Immacolata – in un freddo che strizza, mentre gli orali cominciano a settembre.
Un’estate trascorsa sui libri, bianchi in faccia come stracci. Tanto è l’ultima che passi così, poi ci sarà la libertà. Pensi.
Gli scritti sono il vero incubo per ogni aspirante avvocato.
Bisogna scrivere chiaro e poco, vi diranno.
Le argomentazioni devono essere logiche e coerenti.
Quando si adotta una tesi, anche se minoritaria, va portata avanti fino in fondo, a costo di sfiorare il paradosso.
Magari è sbagliata, ma se è logica, per quale motivo non dovrebbe essere considerata convincente quanto la più ortodossa?
La giurisprudenza è una creatura fatta di fantasia.
Molto spesso vengono pronunciate sentenze isolate il cui ragionamento portante non per questo può essere scartato a priori.
Sono il frutto di menti giuridiche talmente sottili e cangianti da assomigliare alle dune del deserto.
Poi viene il discorso della grafia leggibile.
Tutti gli esperti in materia vi diranno che è necessario scrivere come alle elementari, grosso e comprensibile.
Non è facile modificare una grafia ormai consolidatasi nelle nostre dita pretendendo che cambi da un minuto all’altro.
Dopo aver subito un bombardamento di consigli tutti uguali, mi comportai di conseguenza.
Scrissi più chiaro che riuscii, in modo da farmi capire anche da un cieco.
Per tutte e tre le prove non superai i confini di un solo uso bollo.
L’uso bollo è un foglio protocollo che contiene quattro facciate.
Se le si riempiono tutte, si è già scritto molto.
Non è che sia una regola scritta ma attenervisi significa fare un piacere a noi stessi e un altro a chi ci deve leggere. Calamandrei diceva: “l’avvocato deve scrivere chiaro e conciso”.
All’esame – voglio aggiungere – e durante la sua carriera.
Sempre.
Cecilia Carreri – un Gip che oggi fa l’editore – dice che un giudice legge più volentieri una memoria se in due righe riesce già a centrare l’obiettivo.
All’esame potrebbe capitarvi come vicino di banco un candidato capace di compilare più di un uso bollo.
Cazzi suoi se non ha il dono della sintesi.
Non fatevi influenzare da uno così, un compilatore, neanche se scrive un trattato.
Tenete a bada l’onda delle parole che sentite montare dentro di voi e cercate di condensare i concetti in frasi secche come fucilate.
Soprattutto, piazzate subito nella prima pagina l’argomento che vi sembra più robusto. Non affogatelo alla quarta pagina, prima delle conclusioni.
Giovannino Guareschi, il creatore di Don Camillo e Peppone, non usava più di duecento parole per scrivere le sue storie, sempre diverse.
Giulio Cesare ha scritto il De Bello Gallico, il miglior racconto di guerra mai scritto da un generale rubando spazio al sonno, con uno stile fatto soltanto di soggetto, verbo e complemento oggetto.
Gallia est omnis divisa in partes tres. In una frase c’è tutta la storia di un popolo.
Ancora oggi sembra l’abbia scritto due minuti fa.
Se scrivete poco avrete maggiori probabilità di essere letti con attenzione.
Ridurrete fin dall’inizio anche il ventaglio degli errori. Concetto antico, povero nel suo contenuto, tutto quello che volete, ma provate a scrivere dieci pagine di memoria anziché due:la vostra controparte dispone di dieci buoni motivi per criticarvi mentre chi ne ha soltanto due dovrà sforzarsi di trovarne un terzo perché non ha spazio sufficiente per attaccarvi. Attila usava la tecnica della terra bruciata per sconfiggere i propri nemici: la stessa tecnica adottata dai tedeschi in ritirata dalla Russia.
Certo, anche qui, non bisogna cadere nell’eccesso opposto. Un mio collega – dopo circa dieci bocciature – si presentava all’esame senza codici commentati.
Ne portava soltanto uno, quello sinottico, in cui i quattro codici sono contenuti in unico volume.
Scriveva sempre una pagina dove individuava il concetto di base senza bisogno di massime ma finiva poi per consegnare un compito insufficiente perché soltanto abbozzato.
Coglieva l’idea al primo colpo di naso, ma non l’agguantava per la coda, la lasciava volare via.
Se ne andava prima di tutti, tranquillo, tra le nostre sghignazzate. Oggi fa il tipografo e mi sembra...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. 1. L’esame di Stato
  3. 2. Aprire uno studio negli anni 2000
  4. 3. Difese d’ufficio e gratuito patrocinio
  5. 4. Il cliente dell’avvocato
  6. 5. I praticanti
  7. 6. Affrontare le udienze e gestire i propri dominus
  8. 7. Arrivare puntuali alle udienze è la miglior presentazione
  9. 8. I cronisti di giudiziaria
  10. 9. Difendere il colpevole che non te lo dice e difendere il colpevole che te lo dice senza sudare
  11. 10. Scriversi lettere convincenti tra colleghi
  12. 11. L’ansia da udienza
  13. 12. I difensori di fiducia
  14. 13. Ricevere i clienti
  15. 14. La bestia nera di ogni avvocato
  16. 15. Note spese e parcelle
  17. 16. L’accompagnatore sapiente
  18. 17. I libri per cui sono diventato avvocato
  19. Ringraziamenti