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La casa oltre il confine

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La casa oltre il confine

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Fiume: la città del rispetto, della tolleranza e del senso del lavoro. È qui, tra gli incantevoli paesaggi del golfo del Quarnero, che affondano le radici di Giuseppina "Mary" Nacinovich Smaila. Oggi la città di un tempo non esiste più, ma Mary, attraverso i suoi racconti e le sue memorie, ci riporta indietro nel tempo, in quel luogo dal profumo di mare davanti e di resina dei monti dietro, dove lei ha vissuto per ventidue anni. La città che ha "scelto" (ma ebbe davvero scelta?) di lasciare dopo il passaggio sotto il controllo del regime comunista titino.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833372624
Argomento
Histoire

1
Fiume:
storia, cultura, lavoro

Voglio cominciare così queste mie annotazioni:
Il mare approdò ai piedi delle antiche mura romane, dove poi sorsero palazzi, portando palpiti di mondi lontani… Il vento, pieno degli effluvi salati del catrame, quando la città diventò porto importante, recò e reca il sottile e penetrante profumo degli allori…”.
Questa era, questa è Fiume.
Già in alcuni documenti del xiii secolo, cioè in tutto l’arco del 1200, il nome di Fiume fa la sua prima comparsa. Il Sinus Liburnicus (oggi golfo del Quarnaro) viene anche chiamato Fanum Sancti Viti ad Flumen, ovvero “Santuario di San Vito in prossimità del fiume”. Bella e caratteristica, con le due ampie scalinate, la chiesa dei Cappuccini di San Vito si affaccia quasi sul porto (lì si sono sposate le mie due sorelle). San Vito e Modesto sono i Santi Patroni della città, e a San Vito ci si reca per la Santa Messa in italiano. Mentre il nostro Duomo, del 1413, è di stile romanico (qui sono stata battezzata), la Chiesa di San Vito, del 1638, fu costruita a imitazione di Santa Maria della Salute di Venezia.
Purtroppo oggi la chiesa non è più contornata dal suo antico e originale ambiente, la caratteristica “cità vecia”. Tutto è stato distrutto e deturpato da costruzioni moderne. Ma poiché, a un certo punto, “quelli di là” si accorsero che stavano cancellando qualcosa di “folcloristico”, se non di antico, si arrestarono nella loro furia distruttrice, pensando di frenare la gran bramosia di rimuovere anche la memoria.
Oggi, perciò, a Fiume spiccano costruzioni in cristallo accanto a quello che è rimasto.
Quando mi soffermo a guardare l’Arco romano, subito prima di San Vito, ricordo ciò che mi raccontava mia madre del periodo in cui andava da un’amica più in età, e già provetta sarta, per imparare a “cusir” (allora non esisteva ragazza che non imparasse ad adoperare l’ago e la macchina da cucire). Dalle finestre della casa, a destra rispetto all’Arco, mia madre adocchiava mio padre che abitava di fronte, e lui adocchiava lei, facendole una corte spietata. “Mia Madonna” la chiamava… Eh sì, altri tempi!
Secondo il Vescovo Marotti, uno dei tanti studiosi che si occuparono della sua storia, Fiume avrebbe avuto origine dall’antica città di Promona e dagli abitanti di Tarsatica, posta sul colle di Tersatto (dove si trova il Santuario della Madonna, la quale, secondo la leggenda, giungendo da Gerusalemme attraversò la Turchia rifugiandosi in questo colle prima di stabilire la sua casa a Loreto). Proprio da Tarsatica, dunque, gli abitanti scesero al mare dopo la sua distruzione.
Celti, fenici, illiri, liburni, veneti, istri, popoli confluenti a formare, nei secoli, una popolazione che, ai primordi, secondo il Cimiotti, è sorta assieme al Vallo romano, che egli chiama “fiumano”, nel 128 a.C., quando i Romani eressero il muro per difendersi dalle invasioni dei Giapidi.
Ma basta parlare di Storia. Non si finirebbe mai.
Sto leggendo, un po’ alla volta perché la materia è complessa e impegnativa, il libro di Arianna de Corti: Fiume dalle sue origini al 1945. Triestina, ma affezionata alla mia città, Arianna fa uno studio approfondito, ben documentato non solo di Fiume, ma anche di tutta la nostra terra, l’Istria e la Dalmazia. Il suo libro ha ricevuto il Premio Tanzella, riconoscimento che le diedi in prima persona durante il pranzo di Natale del 2004, in occasione della cerimonia del Premio.
Ilona Fried, una studiosa della condizione di Fiume sotto l’amministrazione ungherese1 (quando Trieste e Pola sottostavano invece a quella austriaca) riconosce alla città una:
cultura prevalentemente italiana, assimilatrice anche della gente che veniva da fuori. La quasi totale estinzione, nella seconda metà dell’800, delle antiche famiglie patrizie fiumane, parte delle quali sin dal ’600 e poi nel ’700 si erano dedicate ad attività commerciali e imprenditoriali, portò via via alla formazione di una borghesia economica e di liberi professionisti che contribuirà a disegnare il volto eminentemente mercantile della città, per tutto l’800, e ad aprirla a uno stile di vita aggiornato e, per tanti aspetti, precorritore. Da limitato centro costiero e marinaro, essa crebbe economicamente, culturalmente, demograficamente nell’ultimo decennio del 1800. Gli ambienti più elevati e i nuovi ceti benestanti sviluppavano intense relazioni sociali, anche sulla scia delle antiche inclinazioni dei fiumani a uno stile di vita aperto e curioso”.
Un osservatore del tempo annotava come “i fiumani hanno sempre amato andare a teatro” (nella famiglia di mia madre la lirica era il pane quotidiano, dato che mio nonno cantava nel coro del teatro “Verdi” e coltivava la sua passione trasmettendola ai figli), “ma oltre il teatro, concerti, balli e gite erano i passatempi più seguiti. Il popolo fiumano è, per natura, semplice, sincero e cordiale, avendo assimilato la gentilezza dei rapporti mantenuti con i veneziani e la cortesia della cultura italiana”.
Ecco il motivo della nascita di numerose iniziative connesse alle rappresentazioni teatrali, alle riviste letterarie, alla lirica, alla Società dei Concerti, nei quali si rinvengono nomi ed ensemble prestigiosi dell’interpretazione e della composizione, da Jan Kubelik a Ferruccio Busoni, dalla Société des Instruments Anciens di Parigi (ne era presidente Camille Saint Saens) alle orchestre da camera di tutta Europa.
Ma Fiume era anche porto e industria: la Romsa Oli minerali, la fabbrica Compensum, la Ferrum, il Silurificio, la Zona Franca del porto, la fabbrica Tabacchi e cento altre imprese facevano di questa città operosa, civile, acculturata, un sogno per tutti coloro che arrivavano da fuori.
“Chi beve l’acqua di Fiume non va più via!” si diceva. Nel nostro stemma c’è appunto l’acqua che esce dall’anfora: c’è scritto “indeficienter”, perché era fresca anche d’estate, abbondante e buona, scendeva dai monti, e ovviamente scende anche oggi, ma noi fiumani non ci siamo più!
Centro di etnie e di religioni diverse, aperta a tutti coloro che avevano voglia di lavorare e di vivere democraticamente e pacificamente, la città “è venuta dietro ai suoi esuli, ovunque sia accaduto loro di trovarsi nell’esodo”.
Vorrei aggiungere una piccola nota amena. Mi sono sentita dire, molto spesso, e da persone anche acculturate: “Sai, sono stato a Rijeka, in Croazia”. E io ogni volta mi sono irrigidita: “No, guarda, sei stato a Fiume, la mia città”. Anche sotto la dominazione austro-ungarica, e i miei genitori lo sono stati, Fiume è sempre stata Fiume.
In uno di quei giri turistici che toccano Salisburgo, Vienna, Praga e Budapest ho potuto vedere con i miei occhi, nella sala del Municipio di Budapest, insieme agli stemmi degli stati e province che all’epoca erano sotto il dominio e l’amministrazione ungherese, lo stemma della mia città, con chiare lettere italiane “Fiume”.
Noi oggi diciamo: “vado a Vienna, a Salisburgo, ad Amburgo, a Parigi” e non “vado a Salzburg, a Wien, ad Hamburg, a Paris”. Perché mi devo sentir dire dagli italiani “vado a Rijeka”? Non conoscono la storia, non sanno cos’è l’orgoglio nazionale? Che tristezza!
1 Ilona Fried, Fiume. Città della memoria 1868-1945, Udine, Del Bianco, 2005.

2
Prima testimonianza al Teatro Nuovo di Verona
“Giorno del ricordo”, febbraio 2005

All’inizio, prima di presentarmi, voglio dire che…
Si parla di foibe con molto ritardo. Noi siamo vivi, però
per quasi sessant’anni siamo stati “infoibati moralmente”.
E da chi?
Io lo so da chi!
Ma ognuno di voi può trovare la risposta da solo.
Sono Mary Nacinovich Smaila e sono qui a raccontarvi un piccolissimo pezzetto della mia vita di profuga, di esule.
Penso che molti di noi, di voi, avrebbero tanto da dire, da raccontare, perché ogni famiglia ha la sua storia, più o meno dolorosa.
Sono nata a Fiume e fiumani erano i miei genitori e i miei nonni. Altrettanto si può dire della famiglia di mio marito, Guerrino Smaila.
Nel maggio del 1945 si è conclusa la Seconda guerra mondiale, ma per noi, istriani, fiumani, dalmati, è cominciata un’altra guer...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione di Umberto Smaila
  2. 1 Fiume: storia, cultura, lavoro
  3. 2 Prima testimonianza al Teatro Nuovo di Verona “Giorno del ricordo”, febbraio 2005
  4. 3 Seconda testimonianza al Teatro Nuovo di Verona “Giorno del ricordo”, febbraio 2006
  5. 4 Terza testimonianza al Teatro Nuovo di Verona “Giorno del ricordo”, febbraio 2007
  6. 5 Carteggio con Francesca Briani Gita a Fiume 27-28 maggio 2006
  7. 6 Lettera ad Abdon Pamich Pubblicata sulla “Voce di Fiume”, gennaio 2016
  8. 7 I miei ricordi
  9. Appendice