Prefazione
Teoria e pratica della liberazione animale
Il pensiero critico non ha patria
I pensieri non sono tutti uguali. A renderli diversi non è solo una certa qualità intrinseca ma anche il contesto in cui appaiono. Così ci sono pensieri che brillano per la loro capacità di astrazione e altri per la loro eleganza. Ci sono pensieri tragicamente intempestivi – pensieri che arrivano troppo presto o troppo tardi – e altri che accompagnano le svolte decisive della storia. Prima ancora che la qualità e l’importanza delle riflessioni di Steve Best contenute nel libro che avete tra le mani vorrei però dedicare due parole ad un’altra caratteristica, scarsamente considerata quando si valuta il significato e il valore di un pensiero: il coraggio. Non importa quanto si sia d’accordo con Best sull’insieme o sui dettagli del suo lavoro; una qualità che non potrà essergli negata, una qualità dell’uomo prima ancora che del pensatore, è proprio il coraggio. E non si parla qui del velleitarismo e della presunta “radicalità” di cui troppo spesso il movimento per gli animali – non solo nostrano – si tinge assumendo ridicole pose eroiche, ma dello sforzo sincero e attento di chi lavora con tutto se stesso all’elaborazione di una prospettiva teorica e pratica all’altezza della situazione, un pensiero che non sottovaluti la potenza di un sistema di sfruttamento planetario senza precedenti nella storia. Best è stato coraggioso nelle sue scelte che lo hanno portato con coerenza ad entrare in collisione con l’establishment statunitense; ma ha avuto anche il coraggio di essere impopolare presso coloro che quell’establishment lo contestano: da sinistra o all’interno del movimento per i diritti animali. E questa lezione di Steve Best sono in molti a doverla ancora imparare. Il pensiero critico non ha patria. Questa è la sola garanzia che esso rimanga libero di dire sempre la verità e che dunque possa fare da sostegno ad un movimento che si voglia di autentica liberazione.
La liberazione totale è una sintesi, non una somma
La riflessione di Steve Best viene spesso banalizzata come un generico richiamo ad una “liberazione totale” che non avrebbe nulla da offrire se non un appello ad unire le lotte di liberazione in un percorso unitario. Tale appello viene solitamente rifiutato da alcuni esponenti dell’animalismo moralistico come “cedimento” nei confronti dei movimenti umanisti, coltivato per pure esigenze pragmatiche, che finirebbe per “diluire” le istanze più radicali della liberazione animale. Il presente lavoro di Best respinge queste critiche al mittente dimostrandone il duplice errore. Non solo, infatti, la posizione di Best è molto più di un generico appello di natura pragmatica ma ha solide fondamenta teoriche; Best dimostra anche quale miseria filosofica, politica e umana caratterizzi il movimento animalista nelle sue derive moralistiche e identitarie, tutta la religione del “go vegan” e il sogno a occhi aperti di un cambiamento sociale che procede attraverso la “conversione” del prossimo ad uno stile di vita ideologicamente definito “non-violento”. Nell’animalismo tradizionale non c’è nulla di “radicale” ma solo una borghesissima protesta del tutto interna ai meccanismi di perpetuazione del capitale.
La prospettiva di Best invece quella radicalità va a cercarla nelle uniche due direzioni in cui è possibile trovarla: indietro, verso il pensiero, disponendosi all’ascolto di ciò che permette di mettere in discussione la realtà sociale quotidiana; in avanti, verso l’azione, aprendosi alla pluralità di approcci con cui gli umani cercano quotidianamente di combattere l’oppressione insita in quella realtà sociale. Solo dall’unione di questi due aspetti può giustificarsi la pretesa di una filosofia di essere “radicale”, cioè di mirare radicalmente alla liberazione. Altrimenti abbiamo solo a che fare con due aborti di verità: il pensiero senza militanza è vuoto, la militanza senza pensiero è cieca. E quella militanza, precisa Best, non può essere la semplice e meccanica “messa in opera” di un pensiero che autarchicamente definisce e chiude l’ambito del dover-essere, come se gli esseri umani nella loro lotta quotidiana fossero dei fantocci vuoti, privi di legittimi desideri, aspirazioni, meri ricettori in attesa di una Verità che cala dall’alto. La militanza esiste già, il pensiero deve anzitutto prenderne atto e, soprattutto, prendere atto del fatto che quello di militanza è un concetto plurale, irriducibile ad un’astratta unità, umanista o animalista che sia.
La ricerca filosofica di Best è volta a trovare una cornice teorica che permetta di pensare questa pluralità in modo da leggerne la genesi e le finalità alla luce di una prospettiva coerente. L’idea di “liberazione totale” non costituisce dunque la semplice somma di istanze diverse, quanto un tentativo di sintesi che ne permetta l’incontro senza che se ne perda la specificità. Ma anche in questo caso non si tratta di una ricetta costruita a tavolino, partorita dalla mente “geniale” del filosofo di turno. L’unità delle lotte si evidenzia a partire da un’unità che la precede e la fonda: quella del sistema di sfruttamento. È solo perché le diverse istanze di liberazione illuminano ognuna nella sua particolarità un aspetto particolare di un sistema di oppressione universale che questo sistema appare come l’unità negativa a partire dalla quale è possibile pensare come un che di positivo la prospettiva di una liberazione congiunta degli umani, degli animali e della natura. Steve Best non inventa nulla, non predica nulla, non profetizza nulla: constata che i sistemi di oppressione condividono meccanismi simbolici e materiali di asservimento dell’altro e riconosce analogie ed esigenze simili tra i movimenti di liberazione che ad essi si oppongono. Il sistema di oppressione non è una costruzione a priori, è un processo storico complesso e stratificato, la sua unità è dinamica, i suoi meccanismi interdipendenti ma non identici. Cadono così tutte le obiezioni di rito a questo tipo di prospettiva: né Best, né altri pensatori degni di questo nome hanno mai detto che la liberazione umana e la liberazione animale abbiano la stessa origine, siano la stessa cosa e abbiano lo stesso destino. Nessuna semplificazione, nessun riduzionismo, nessuna pretesa di divinare il futuro della lotta: è piuttosto l’intreccio dei rapporti di dominio alla base della società gerarchica a far sì che essi possano e debbano essere combattuti insieme, in un approccio plurale e contestuale, senza dogmi precostituiti, e soprattutto senza che sia scontato l’esito di tale progetto emancipativo. La possibilità dell’estinzione di massa è sempre all’orizzo...