Fiorirà l'aspidistra
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Fiorirà l'aspidistra

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Fiorirà l'aspidistra

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"Quello che realizzò in maniera sempre più chiara via via che passavano gli anni era che l'adorazione dei soldi si era elevata al rango di religione. Forse è l'unica vera religione, l'unica religione davvero sentita che ci è rimasta. I soldi hanno preso il posto di Dio. Il bene e il male non hanno più alcun senso al di fuori di fallimento e successo." – Gordon Comstock, figlio della piccola borghesia britannica, si ribella contro il mondo del denaro, contro la morale della sua classe, fondata sulla rispettabilità e sul mito della "buona posizione", e coltiva ambizioni letterarie mantenendosi come commesso in libreria. Il denaro diventerà per lui un'ossessione: respingere la schiavitù dei soldi, piuttosto che sottomettersi ai codici sociali dell'epoca. In questa sfida disperata, la pianta dell'aspidistra, il fiore nazionale inglese, diventa per il protagonista il simbolo del mondo e del conformismo borghese che detestava.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788831384544
Argomento
Literature
Categoria
Classics
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi denaro, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo.
Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi denaro, non sarei nulla.
Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi denaro, non mi gioverebbe a niente.
Il denaro è paziente, è benevolo; il denaro non invidia; il denaro non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa…
Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, denaro; ma la più grande di esse è il denaro.
I Corinzi xiii (riadattato)
1
L’orologio suonò le due e mezza. Nel piccolo ufficio sul retro della libreria di Mr. McKechnie, Gordon – Gordon Comstock, ultimo rappresentante della famiglia Comstock, ventinovenne e già discretamente logorato dagli anni – ammazzava il tempo disteso alla scrivania, aprendo e chiudendo un pacchetto di Player’s Weights con il pollice.
Il din-don di un altro orologio più lontano – dal pub Prince of Wales, sul lato opposto della strada – increspò l’aria stagnante. Gordon chiamò a raccolta le forze, raddrizzò la schiena e ripose il pacchetto di sigarette nella tasca interna. Moriva dalla voglia di fumare, ma gli erano rimaste solo quattro sigarette. Era mercoledì, e non avrebbe avuto soldi fino a venerdì: sarebbe stato tremendo non avere tabacco quella sera e per tutto il giorno seguente.
Già tormentato dalle ore senza tabacco del giorno dopo, si alzò e andò verso la porta: una figura piccola e fragile, ossa delicate e movimenti nervosi. Il cappotto era sdrucito all’altezza del gomito destro e gli mancava il bottone di mezzo; i pantaloni preconfezionati di flanella erano macchiati e sformati. Le scarpe avevano bisogno di essere risuolate: era chiaro anche solo guardandole dall’alto.
Le monete tintinnarono nella tasca dei pantaloni mentre si alzava. Conosceva la somma esatta. Cinque penny e mezzo: due penny e mezzo e un Joey. Si fermò, tirò fuori la miserabile moneta da tre penny e la guardò. Orribile, inutile arnese! E che idiota ad averla accettata! Era successo ieri, mentre comprava le sigarette. “Non le spiace se le do una moneta da tre penny, vero signore?”, aveva cinguettato quella stronzetta di commessa. Ovviamente, aveva accettato. “No, certo che no”, aveva detto, maledetto idiota!
Gli fece male il cuore a pensare di avere soltanto cinque penny e mezzo in totale, tre dei quali non potevano neanche essere spesi. Come si fa a comprare qualcosa con una moneta da tre penny? Non è una moneta, è la risposta a un indovinello. Sembri un perfetto idiota quando la tiri fuori dalla tasca, a meno che sia insieme a una manciata di altre monete. “Quant’è?”, chiedi. “Tre penny”, dice la commessa. E tu frughi ben bene in tasca e tiri fuori quella cosina assurda, tutta sola, appiccicata alla punta del dito come un gettone del gioco delle pulci. La commessa tira su col naso. Ha capito subito che si tratta della tua ultima moneta da tre penny. Noti che le lancia uno sguardo fugace: si sta chiedendo se ci sono rimasti attaccati i rimasugli del pudding di Natale.1 A quel punto, esci dal negozio con fare altero, sapendo che non potrai entrarci mai più. No! Non spenderemo il nostro Joey. Rimangono due penny e mezzo; due penny e mezzo che devono durare fino a venerdì.
Erano le ore solitarie del dopo pranzo, c’era da aspettarsi che sarebbero entrati pochi clienti, o addirittura nessuno. Era solo con settemila libri. La stanzetta buia che dava sull’ufficio, piena fino al soffitto di libri tendenzialmente vecchi e invendibili, odorava di polvere e carta muffita. Sugli scaffali in alto, vicino al soffitto, i volumi rilegati in pelle di enciclopedie fuori catalogo dormivano impilati di fianco come bare in una fossa comune. Gordon scostò le tende blu piene di polvere che facevano da passaggio alla stanza successiva. Quest’ultima, meglio illuminata della precedente, ospitava i libri destinati al prestito. Era una di quelle biblioteche a due penny senza cauzione che i ladri di libri adorano. Non c’erano altro che romanzi, ovviamente. E che romanzi! Ma anche questo era prevedibile.
Ottocento di numero, i romanzi coprivano tre pareti della stanza fino al soffitto, fila su fila di sgargianti coste oblunghe. Pareva che i muri fossero stati costruiti con dei mattoni multicolore messi in verticale. Erano in ordine alfabetico: Arlen, Burroughs, Deeping, Dell, Frankau, Galsworthy, Gibbs, Priestley, Sapper, Walpole. Gordon li guardava con odio inerte. In quel periodo odiava tutti i libri, e i romanzi più di tutti. Era orribile pensare a tutta quella scialba spazzatura raffazzonata ammassata nello stesso posto. Pudding, pudding di rognone. Ottocento fette di pudding che lo accerchiavano, una cripta di pudding. Il pensiero era opprimente. Attraversò la soglia diretto all’ingresso, lisciandosi i capelli. Era un movimento dettato dall’abitudine. Potevano esserci delle ragazze fuori dalla porta di vetro, dopotutto. A guardarlo, Gordon non faceva una grande impressione. Era alto appena un metro e settanta, e dato che i suoi capelli di solito erano troppo lunghi, davano l’impressione che la testa fosse un po’ troppo grande per il corpo. Mai del tutto dimentico della sua bassa statura, manteneva una postura eretta e il petto all’infuori quando sapeva che qualcuno lo stava guardando, con un’aria sprezzante che a volte abbagliava le persone più ingenue.
Non c’era nessuno fuori. La stanza di fronte, contraria...

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