Storie dipinte
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Storie dipinte

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Informazioni sul libro

Queste Storie dipinte sono già apparse a puntate, dall'aprile 2003 all'aprile 2004, nell'omonima rubrica giornalistica de "il Resto del Carlino" a cura di Riccardo Roversi.Gli scrittori (a sinistra) autori dei racconti e i pittori (a destra) autori delle illustrazioni sono:
Giorgio Bassani - Gianfranco Goberti
Diego Marani - Nadia Fanzaga
Roberto Pazzi - Michele Rio
Gianfranco Rossi - Gianni Guidi
Riccardo Roversi - Giorgio Cattani
Fabrizio Resca - Gianni Cestari
Gianna Vancini - Paola Braglia.
Aldo Luppi - Sergio Zanni
Giuliana Berengan - Carlo Salomoni
Rita Montanari - Franco Patruno
Giuseppe Muscardini - Gabriele Turola
Ivano Artioli - Andrea Zanotti
Monica Pavani - Marcello Darbo

Domande frequenti

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Informazioni

RITA MONTANARI & FRANCO PATRUNO

Domani e dopodomani

Una sirena risuonava nell’aria in direzione dell’ospedale. L’ora del tramonto pareva inghiottirne metro dopo metro l’eco che svaniva nel cielo. Qualcuno stava male, in quell’angolo insignificante del mondo dove altri milioni di persone stavano male, anche senza una sirena. Cercò di stornare il pensiero alzando lo sguardo sul verde dei rami. Il cielo s’era schiarito, ma continuava a piovere. Pioveva da tre giorni. Gli alberi grondanti chiedevano una tregua e la terra era inzuppata d’acqua e di freddo. Le auto transitavano lente dietro la noia dei tergicristalli. Ogni cosa pareva immersa in una palla d’acqua. Si affacciò sulla porta del cortile. Quell’angolo del retrocucina era il suo preferito, perché da lì poteva contemplare l’immenso giardino che confinava con la sua casa. Quegli alberi secolari erano ormai il suo paesaggio dell’anima: ogni ramo, ogni foglia, ogni nuova fioritura o morte autunnale erano i silenziosi interlocutori dei suoi pensieri, che nascevano di gemma in gemma e sfiorivano ai primi venti dell’autunno. Abbassò lo sguardo di nuovo sulla terra, richiamata alla realtà dal bambino - il figlio dei vicini - che aveva tirato fuori dalla cantina la sua bicicletta, il monopattino e l’auto a pedali. S’era messo a lavarli, ad uno ad uno, cercando di asciugarli con uno straccio inzuppato d’acqua. Lui pure era bagnato fradicio, ma pareva che non gliene importasse neanche un poco, rapito com’era nel suo intento. Uscì ad aiutarlo.
“Perché vuoi asciugarli a tutti i costi anche se continua a piovere?”.
“Perché ormai è sera”.
“E che cosa succederà questa sera?”.
“Sarà buio e domattina smetterà di piovere perché io sono stanco di questa pioggia. Preparo i miei mezzi, perché domani, al sole, girerò per tutto il giorno”.
“Dammi uno straccio. Voglio aiutarti”.
Il bambino le offrì uno straccio inzuppato. “Puoi girare con me, se vuoi. Quale ti piace di più? Il monopattino o l’auto a pedali?”.
“Quello che non vuoi tu”.
“Allora faremo cambio ogni volta, perché a me piacciono tutti e non voglio che nessuno se ne abbia a male”.
La donna strizzò lo straccio e aiutò il bambino ad asciugare i veicoli riponendoli nella cantina. “Mettili vicino alla porta, così sono pronti per domattina”. Lei ubbidì. Il bambino chiuse la porta della cantina e ciascuno dei due si diresse verso la propria entrata. “A domani! - gridò lui - Presto, appena ti alzi. Promesso?”. “Promesso!”, rispose lei.
Entrò in casa, accese la luce e si mise a preparare la cena. Presto sarebbero rientrati tutti e avrebbero volentieri mangiato qualcosa di caldo. Quella primavera assomigliava piuttosto all’autunno, o soltanto lo anticipava. Aveva quasi finito di apparecchiare, quando squillò il telefono. Dal Pronto Soccorso una voce sommessa, con la erre francese, le sussurrava con garbo parole di conforto che lei non riusciva quasi a percepire: suo marito e i suoi figli erano stati ricoverati, ma di più non sapeva dirle. Rimase inebetita, seduta sulla poltrona, con la cornetta incollata all’orecchio. La riagganciò chissà quanto tempo dopo, mentre sentiva la sua voce bisbigliare “vengo subito”. Stava cercando confusamente le chiavi di casa, quando udì dei tocchi leggeri sulla porta del cortile. Il vetro incorniciò il bambino dei vicini che era venuto a chiamarla.
“Vieni!, ha smesso di piovere. Dobbiamo girare, me lo hai promesso”.
“Ma avevi detto domani”.
“È già domani. Guarda il cielo com’è rosso. Così domani sarà dopodomani e noi gireremo di più”. Aveva ragione: il cielo era rosso e aveva smesso di piovere, ma lei non si era accorta di niente. “Sei già vestita. Esci, dài, ci divertiamo!”.
“Non posso, scusami, davvero devo andare, ma domani verrò con te come ti ho promesso; adesso proprio non posso. Ciao, a domattina”.
Lo baciò sulla testa bagnata, gli accarezzò la smorfia delusa e chiuse a chiave la porta. Il bambino rimase lì, con il naso appiccicato al vetro, a fissarla da fuori. Prima di uscire, il suo sguardo attraversò la tavola apparecchiata. La lasciò così, tale quale alle altre sere, pronta ad accogliere le risa, i racconti e anche le offese che la condivano ogni volta durante la cena. In certe sere pareva che ognuno di loro snodasse gli angoli del proprio carico di inquietudini e di paure e lo rotolasse sulla tavola, in mezzo al pane e al cibo che si colorivano di umori diversi. Lei interveniva a volte tentando di ricomporre entro una cornice le tessere che rimbalzavano da tutte le parti come se avessero un moto proprio, incurante di quello altrui. E non c’era mai verso di chiuderla, quella cornice, per nessuno di loro che litigavano perfino l’ultima parola. L’eco delle voci, mista alle risa e alle ghignate, si spandeva per la casa e poi si acquietava da sé, sfinita del proprio girovagare. E riposava nel cassetto piegata dentro la tovaglia fino all’indomani, nell’attesa di una nuova esplosione di affetti.
Uscì di corsa, pentita di avere indugiato su quelle immagini di sempre, sui fagotti srotolati che ora non le pesavano più come a volte aveva pensato e sarebbe stata disposta ad ammucchiarne a quintali, purché fosse dato a ciascuno recitare ancora quelle scene, ognuno la sua parte. Invocò il Dio buono e misterioso che abitava la sua povera fede, affinché ogni cosa rimanesse così com’era stata. Sempre così. Si affrettò verso l’ospedale, non sapendo che cosa sarebbe accaduto dopo. Domani e dopodomani. Le tornò in mente il bambino dei vicini. Mentre camminava stralunata, lo rivide girare nel cortile sull’auto gialla e rossa. All’improvviso si trovò seduta al suo fianco, nel minuscolo abitacolo foderato di pelle, che aveva asciugato con lui poco prima. Distese le gambe che le sembravano di piombo. Il bambino guidava il suo veicolo con una gioia sfrenata; poi si era messo forse a cantilenare una nenia, se lei si risvegliò davanti al Pronto Soccorso. Era già buio. Sulla strada tutti i fari erano accesi. Il bambino la salutò con la mano grassottella, “a domani, a domani!…” udì nella mente la sua voce festosa. Dentro l’ospedale, nei corridoi lunghi senza fine, era già notte fonda.
Si ritrovò in casa senza neppure sapere come. Era domani? Era dopodomani? Non sapeva. Entrò, accese la luce e continuò a vagare nel suo buio. La cucina sprofondava nel deserto intorno alla tavola apparecchiata, che giaceva nuda nel silenzio delle pareti. Sparecchiò con gesti lenti le stoviglie mute e le ripose al loro posto come paramenti sacri. Appoggiò la testa sul tavolo mentre il piombo del cuore le andava invadendo ogni fibra. Sotto gli occhi chiusi, prese corpo, foglia a foglia, il paesaggio noto: sopra gli alberi, oltre i rami, le nuvole si stendevano nell’aria, candide, stirandosi in un gesto sonnolento a ricoprire lievi il cielo ancora addormentato. Prima o poi quel cielo sarebbe stato d’altri, come di altri era stato per un numero infinito di esistenze prima di lei. Nemmeno quel disegno di cielo le apparteneva e non c’era persona o cosa sulla faccia della terra che potesse appartenere ad alcuno. Nulla mai sarebbe durato per sempre, per lei come per nessun altro. Socchiuse gli occhi per una frazione di secondo: oltre il vetro, nel cortile, il bambino dei vicini la chiamava con voce imperiosa, agitando la testa di riccioli nel chiarore del mattino. Anche il tocco della piccola mano sul vetro della porta risuonò deciso nella casa deserta. Allora egli entrò, allungò le esili braccia, la tirò con tutta la sua forza fin sulla soglia del cortile e le indicò fiero i veicoli allineati che luccicavano nel sole già alto. Poi si mise seduto ad aspettare con pazienza che lei salisse di nuovo a girare con lui.



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Maternità


GIUSEPPE MUSCARDINI & GABRIELE TUROLA

Il Vicario gabellato

Se questa storia potrà servire a danneggiare la logica a vantaggio della vita e di ogni altra emozione sensibile, si sappia che l’amanuense Mondolfo da Cherso, unico fra tutti coloro che abitano la colonia veneta in Dalmazia a scrivere in cirillico, l’ha narrata al mondo intero con lo scopo di servire se stesso e non Dio. Nella temperie dei fatti nuovi, l’amanuense non ha mai ceduto alle ingannevoli fantasie dei politici, né al gaudio scellerato di chi inneggia alla guerra. Lo scriba ha il tono ossequioso con chiunque, preoccupandosi di segnare le decime con i diversi idiomi. E questo è destino crudele, perché tutto il sapere lui può copiarlo e non avvalersene. Così l’amanuense vuole che tutti, cristiani e levantini, abbiano a conoscere nella loro parlata le vicende che accaddero a Veglia nell’autunno del 1336.
L’uomo arrivava dal mare. Sul molo c’erano i veneziani ad aspettarlo, e tutti dicevano che veniva a portare la giustizia. Ma quando la barca lo condusse vicino agli scogli, molti capirono da quel viso pallido, esangue, niente affatto segnato dall’esperienza, che l’uomo era a digiuno di giustizia e di come la giustizia si amministra. I veneziani allora si sentirono perduti, poiché quella mattina sul molo avevano creduto di trovare la forza, il dominio, che cominciava a tremolare a causa delle nuove pretese dei sudditi, insolventi da tempo nel pagare i tributi.
Dio volle che l’uomo arrivato dal mare scegliesse proprio Mondolfo come interprete delle sue volontà presso i contadini dell’isola. Così il lavoro aumentò: non più decime, non più ricevute, ma leggi nuove da scrivere in due lingue. Solo Mondolfo poteva farlo. Per questo fu caricato d’oro, e non gli sarebbe possibile oggi vergare questa pergamena fini...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. STORIE DIPINTE
  3. Indice
  4. Prefazione
  5. Intro
  6. GIORGIO BASSANI & GIANFRANCO GOBERTI
  7. DIEGO MARANI & NADIA FANZAGA
  8. ROBERTO PAZZI & MICHELE RIO
  9. GIANFRANCO ROSSI & GIANNI GUIDI
  10. RICCARDO ROVERSI & GIORGIO CATTANI
  11. FABRIZIO RESCA & GIANNI CESTARI
  12. GIANNA VANCINI & PAOLA BRAGLIA
  13. ALDO LUPPI & SERGIO ZANNI
  14. GIULIANA BERENGAN & CARLO SALOMONI
  15. RITA MONTANARI & FRANCO PATRUNO
  16. GIUSEPPE MUSCARDINI & GABRIELE TUROLA
  17. IVANO ARTIOLI & ANDREA ZANOTTI
  18. MONICA PAVANI & MARCELLO DARBO
  19. Ringraziamenti