Sognando
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Informazioni sul libro

Questo saggio del 1906 è articolato in tre pari: "Sognando", "La donna ispiratrice" e "Carlo Gozzi e la fiaba". Nella prima parte Matilde Serao commenta I tempi difficili, di Charles Dickens; la seconda è ambientata a Firenze, alla scoperta del suo fascino e dei suoi tesori; nella terza analizza criticamente l'opera del drammaturgo veneziano Carlo Gozzi.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9791220810814

CARLO GOZZI E LA FIABA (1720-1806)


I.

Il nobile e appassionato eroe, la dolce e amorosa eroina teneramente conversano d’amore, Truffaldino e Brighella scambiano i soliti lazzi sul loro famoso appetito e sulla loro famosa poltronaggine, quando un tremuoto scuote la scena, tuona, lampeggia e innanzi agli occhi stupefatti della coppia sentimentale, innanzi alle due maschere popolari appare un negromante, o una fata, o un genio, o una statua che con tono fatidico pronuncia una sentenza crudele contro la felicità degli innamorati, sacrandoli a un imminente avvenire di lacrime e di disperazione. La radice di questa sentenza è in qualche antico delitto commesso dal padre o dal fratello dell’eroe e che costui deve amaramente scontare; è in qualche misteriosa secolare pena che uno spirito superiore va espiando e per la cui fine è necessario il sacrificio e, talvolta, la morte dell’eroina; è in una contingenza bizzarra di fati avversi per cui, quasi senza ragione, i due fedeli debbono vedere ferocemente contrastato e forse ucciso il loro amore. Le anime dell’eroe e della eroina cercano ribellarsi subito al dolore, alla divisione, alla miseria: ma è una ribellione debole e breve: l’uomo, la donna, chinano il capo e si apprestano alla gran prova, anzi alle grandi prove, giacché il destino, per bocca di una di queste statue, di queste maghe, di questi geni, chiede loro cose complicate, lunghe, terribili, che confinano con l’impossibile, che, spesso, sono impossibili. Chinano il capo: e le maschere, loro servi, loro confidenti, loro ministri, si abbandonano alle più meste facezie, alle burlette più funebri, seguendo anche essi la sorte atroce dell’eroe e dell’eroina.
E qui il meraviglioso, cominciato con l’apparizione sorprendente di quel cancelliere degli spiriti, lettore di stranissime sentenze, che è uno stregone o una fata, questo meraviglioso si esplica, ampiamente, turbando la mente e la esistenza dei personaggi gozziani. Oramai tutte le leggi comuni della natura sono sciolte: il tempo, lo spazio non esistono più: i tre mondi si confondono: le belve parlano, l’acqua canta e suona, i morti leggono dei libri, le donne diventano uomini e gli uomini si mutano in statue. Così, anche nel mondo morale degli affetti, tutto si sconvolge, gli amanti più folli vilipendono le amate, le mogli scacciano i mariti che adorano, le madri gittano nelle fornaci i figli. Tutto accade: tutto, cioè quello che è strano, ma anche quello che è impossibile, viaggi di migliaia di miglia in poche ore, risurrezione di morti, ringiovanimento di vegliardi, palazzi sorti in una notte e crollati in un minuto, battaglie combattute in un attimo e in meno di un attimo perdute o vinte. A traverso questi paesaggi stupefacenti, questi mondi disorganizzati e folli, questi prodigi impensati e inauditi, questi sentimenti escogitati e contradittorii, gli eroi e le eroine di Carlo Gozzi seguitano la loro terribile vita di tormenti, affrontando tutti gli ostacoli e sopportando tutte le pene, agonizzando di dolore o di stanchezza, invocando il cielo, imprecando al cielo, passando per tutti gli stadi più alti della disperazione: la loro esistenza non somiglia più a quella di nessuna creatura umana, ed essi vanno, vanno, dominati dal Fato, in lotta con esso, impari lotta con un potere così forte e così segreto.
Ma non è mica il Fato greco, quello che combatte i principi persiani e le principesse cinesi di Carlo Gozzi: è in fondo un Fato molto mal ridotto. Giacché le sue sentenze, apparentemente atroci e inflessibili, contengono sempre una scappatoia, per cui questi valorosi e impetuosi signori, queste instancabili ed entusiaste donne possono sfuggire alla disgrazia estrema. Vi è sempre una speranza, nei rescritti dei maghi e delle streghe gozziane! Altrimenti la tragedia fiabesca si chiuderebbe alla terza o quarta scena e buona notte. Un piccolo lumicino brilla sempre in fondo alla foresta, come nella gentil fiaba puerile del Petit Poucet, come in tutte le istorie meravigliose. Questo fioco lume, vedete, è la tenue, quasi disperata speranza, diciamo così, che è alla fine di tutte le torture estraumane dei personaggi di Carlo Gozzi, è il filo intorno al quale si tesse tutta la trama della fiaba; e man mano, come l’intreccio si annoda e si infoltisce e si distende, la poca speranza cresce, il picciolo lume si fa più vicino, più vicino, è un ricovero, è una casa, è la salvazione, l’uomo ha vinto tutte le prove, la donna ha superato tutti gli ostacoli, i regni della natura rientrano nel loro ordine e l’amore uscito più terso e più compatto da quel crogiuolo incandescente, trionfa.
Voi, tutto questo lo sapete, non è vero? Lo sapete anche se non avete letto le fiabe del drammaturgo veneziano; giacché tutto il contenuto della sua opera è preso dalle tradizioni fiabesche di tutti i paesi, giacché egli ha rivestito di scenario e di dialogo tutti i racconti che le balie, le vecchie zie, le nonne narrano ancora ai bimbi che non vogliono dormire. L’amore delle tre melarance e l’Augellin belverde, il Corvo e la Donna serpente, la Zobeide e il Re Cervo e infine quanto costituisce il teatro delle fiabe gozziane, risveglia le memorie delle stanze domestiche, dei focolari confortevoli, delle antiche voci un po’ tremolanti che il nostro cuore non sa dimenticare, delle ore estatiche trascorse a udire le istorie singolari, mentre già il sonno appesantiva le palpebre e il racconto diventava qual era, sogno. Io ritengo che questo sia uno dei grandi segreti del successo di queste fiabe, allora: e come esse potessero tener testa e persino, ahimè, soverchiare la novella arte goldoniana, presa alle sorgenti istesse della vita quotidiana e schietta. Il più austero uomo è stato un fanciullo e la più frivola e la più spensierata donna è stata una bimba: i ricordi risalgono, evocati, al fior dell’anima, e un senso di diletto, non scevro di una velata malinconia viene a molcere l’austerità e a fissare la spensieratezza, mentre il medesimo uomo austero troverà sconveniente la rappresentazione dell’ordinaria esistenza e la medesima donnetta frivola s’irriterà di vedere dipinta così veracemente la sua leggerezza e la sua instabilità: e ambedue, è naturale, preferiranno Carlo Gozzi a Carlo Goldoni. Ognuno ha il suo tempo di fiaba nell’anima, tempo di semplicità, d’innocenza, di credulità e di sorriso che si può rievocare, più tardi, in modo fittizio e fugace, è vero, ma sempre efficacemente!
Accennare, qui, tutte le origini delle fiabe di Carlo Gozzi, sarebbe un po’ lungo e un po’ minuto; pure, probabilmente, abusando della vostra pazienza, lo farei: me ne trattiene il simpatico ingegno così intuitivo, la coltura, la ricerca felice ed esauriente che ha fatto, su Carlo Gozzi e sul suo teatro, Ernesto Masi, per cui tutti quelli che si affaticano nell’arte e nelle lettere, umilmente come me, o altamente come altri, gli debbono una vivida ammirazione. Lo Cunto de li Cunte del nostro novellatore napoletano Basile, la Posilipeata di Masiello Reppone sotto cui si nasconde l’altro napoletano Pompeo Sarnelli, Le Mille e una notte, i Mille e un giorni, il Gabinetto delle Fate, tutte le antichissime leggende orientali hanno dato il loro contingente al fiabista veneziano: persuaso che come tout le monde aveva più spirito del signor di Voltaire, anche tout le monde avesse più fantasia del conte Carlo Gozzi, egli ha interrogato tutte le fonti popolari. Vi è, persino, nel Sinadabbo della Zobeide il tipo di Barba Blu, il mangiatore di mogli: Sinadabbo se ne stanca dopo cinquanta giorni, come Hassan, l’eroe della Namouna di Alfredo de Musset se ne stanca dopo una settimana: vi è, persino, nel Re Cervo, una delle più forti, delle più vivaci fiabe del Gozzi, un caso di avatar, di scambio d’anime, leggenda orientale indiana che, più tardi, Théophile Gautier doveva narrare curiosamente nel suo lungo racconto Avatar. È quasi un repertorio, il contenuto delle tragedie fiabesche del conte veneziano: un repertorio che egli ha mescolato un po’ confusamente, ma che ha tutto espletato.
E allora, qual è l’elemento personale che il Gozzi ha dato a queste fiabe? Ma, una cosa importantissima: la rappresentazione per mezzo di un intreccio di dramma, per mezzo di personaggi, di dialoghi, di scene: tutto un mondo vivo creato sui vecchi elementi, tutta una serie di opere teatrali che hanno un valore indiscusso per il loro tempo. Drammaturgo, il conte Carlo Gozzi era: e aveva la passione pel teatro penetrata sino alle sue midolla di uomo e di letterato: tutta la vita, malgrado i suoi sonetti, a centinaia, per nozze e per monache, malgrado le sue dissertazioni, egli non è mai stato né poeta né critico, ma autore drammatico, niente altro. Il materiale, dunque, fiabesco e la volontà di favorire la truppa Sacchi che egli proteggeva e dove, persino, aveva collocato i suoi amori, oltre che le sue simpatie e le sue amicizie, risvegliarono in lui le più belle qualità di autor comico e drammatico, dettero l’impulso a un ingegno che nel teatro trovava il migliore suo campo. Teatralmente parlando, queste fiabe sono, massime alcune di esse, scritte con vigore, con misura, con evidenza: in due o tre di esse, come la Turandot, come il Corvo, come l’ Amore delle tre melarance, vi è, persino, nella espressione dei caratteri, della psicologia. — Io vi prego di non sorridere! — Noi moderni ci vantiamo assai di essere psicologi, tutti, anche quelli che non sanno di lettere e di arti, anche i semplici scienziati, anche i medici, anche gli avvocati, anche tutti gli umani. Ma fra cento anni, quanto e come l’umanità sarà più psicologa di noi, mentre quelli che vissero cento anni prima di noi erano psicologi senza saperlo e senza pretendervi! Il caro conte Gozzi poteva esser presuntuoso ed era, in ben altre cose: ma nel rendere un carattere femminile, nel fare emergere le espressioni di un momento drammatico, servendosi, pur troppo, della rettorica di cento anni fa, egli è efficacissimo e incosciente della sua forza e della sua efficacia. Le fiabe, infine, sono dei veri drammi nel loro inizio e nel compimento: sono l’agitazione di un mondo di personaggi e di passioni che l’autore ci mostra, cogliendone il lato più significativo, dando di essi e di esse la figura più rassomigliante e il senso più vero.
Vedete, infatti, se nella Turandot che non è punto una fiaba, ma una bella e vera commedia a base drammatica, in questa Turandot dove non sono né apparizioni, né negromanti, né nomini che si cangiano in belve, né melarance che contengono una fanciulla, in questa Turandot che è la commedia di una giovanetta fiera e saputella, — una seccatrice, diremmo noi — che non vuole sposarsi perché odia gli uomini, vedete se l’autor drammatico rifulge! La vecchia istoria dei tre enigmi che il divino Shakespeare ha reso così magnificamente, con tanta onda di poesia, di tenerezza, di passione, nel suo Mercante di Venezia, quei tre enigmi che il presunto sposo della piccola e leggiadra Portia deve risolvere, è servita al Gozzi, per questa Turandot, come servì, più tardi, saranno ven...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. SOGNANDO
  3. Indice
  4. Intro
  5. SOGNANDO
  6. LA DONNA ISPIRATRICE
  7. CARLO GOZZI E LA FIABA (1720-1806)
  8. Ringraziamenti