Il Morbo Di Parkinson: Le Fasi Finali
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Il Morbo Di Parkinson: Le Fasi Finali

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Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che implica la perdita progressiva del controllo sui movimenti e intacca direttamente l'indipendenza e la qualità di vita del paziente, dei suoi familiari e di chi se ne prende cura. Quest'opera complementa il libro "Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia" pubblicato a luglio 2020 e redattato in collaborazione con la dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, il dottor Marcos Altable Pérez e il dottor Juan Moisés de la Serna. Questo volume, a cura del dottor Fabián Cremaschi, il dottor Ángel Moreno Toledo e il dottor Juan Moisés de la Serna, si focalizza sulle ultime fasi del morbo di parkinson, analizzandone gli effetti e i trattamenti disponibili.

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Informazioni

Editore
Tektime
Anno
2021
ISBN
9788835418283

Trattamento Chirurgico del Morbo di Parkinson: Passato, Presente e Futuro

Prof. Dr. Fabián Cremaschi
In collaborazione con:
Dr. Alejandro Vázquez. Medico Neurochirurgo. Servizio de Neurochirurgia, Ospedale Santa Isabel de Hungría, Mendoza, Argentina.
Renzo Fausti; Enzo Duca; Martín Glantz e Víctor Núñez. Studenti di Medicina dell’Area di Neurologia Clinica e Chirurgica del Dipartimento di Neuroscienze della Facoltà di Scienze Mediche dell’Università Nazionale di Cuyo (Argentina).
Tutti i diritti sul testo e sulle immagini appartengono a Fabián Cremaschi®.

Introduzione al trattamento chirurgico

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa cronica e progressiva causata dalla morte dei neuroni che producono una sostanza chimica chiamata dopamina in un’area specifica del cervello. La diminuzione della dopamina produce la disfunzione di uno specifico circuito cerebrale (via nigrostriatale), che porta i pazienti a manifestare il caratteristico movimento lento (bradicinesia), tremore e rigidità muscolare.
Nonostante i grandi progressi degli ultimi anni, sia nella diagnosi che nel trattamento, la malattia rimane incurabile. È per questo che noi medici siamo impegnati in trattamenti che migliorino significativamente la qualità della vita dei malati e dei loro caregivers.
I trattamenti sono di vario tipo e devono completarsi a vicenda. La cosa più importante è iniziare con le terapie non farmacologiche, che devono essere avviate a tutti i pazienti e devono essere continuate per tutta la vita.
I pazienti sono posti come una piramide, come mostrato nella figura, essendo l’educazione del paziente e di chi lo circonda, la cosa più importante. Oggi abbiamo molte informazioni disponibili, ma non tutto è della migliore qualità scientifica e il paziente finisce spesso più confuso e ansioso se non è orientato correttamente. L’educazione corretta è quindi alla base del trattamento. Riteniamo che il paziente non debba essere “passivo”, ma debba essere un “malato attivo” fin dall’inizio e non aspettarsi che il personale sanitario o le persone a lui vicine facciano tutto per lui. Ha tutti gli strumenti disponibili per essere il protagonista del proprio trattamento.
Ricevere la notizia di aver diagnosticato il morbo di Parkinson costituisce un duro colpo a livello emotivo sia per il paziente che per la sua cerchia affettiva. Gli aspetti psicologici ed emotivi, quindi, sono fondamentali. Nessun trattamento si rivelerà efficace se il paziente soffre di disturbi dell’umore, perché per quanto sia ben medicato, un paziente molto stressato continuerà a tremare in modo incontrollabile, correndo il rischio di aumentare le dosi dei farmaci, con gli effetti collaterali che questo comporta, quando la strategia più efficace sarebbe quella di controllare l’ansia e/o depressione iniziale. Il sostegno al nucleo familiare, per supportare il caregiver è un altro aspetto di estrema importanza. Tutta la famiglia è colpita, soprattutto all’inizio della malattia e questo non deve essere minimizzato. L’attività fisica, la terapia occupazionale e la nutrizione adeguata svolgono un ruolo fondamentale poiché i farmaci o l’intervento chirurgico da soli non sono sufficienti a migliorare tutti i complessi aspetti motori della malattia. Questo completa il concetto di “malato attivo” di cui abbiamo parlato in precedenza.
Quando tutto questo è compreso e accettato, si passa al trattamento farmacologico prescritto da un neurologo. Solo in casi particolarmente necessari valutiamo la possibilità di effettuare uno dei tanti trattamenti chirurgici attualmente disponibili. Il problema che incontriamo è che il paziente ha molte volte una visione opposta: non appena diagnosticata la malattia vorrebbe che gli mettessimo il “mircochip” nel cervello che lo “guarisce”. Questa è spesso la visione del paziente e/o dell’accompagnatore:
Per essere pratici e volendo riassumere gli oltre 15 anni di esperienza personale e 70 anni di storia di questo trattamento in modo globale, analizzeremo i 10 temi sul trattamento chirurgico che più interessano i pazienti:
-È adatto a tutti i pazienti? Per chi è indicato?
-Chi deve coordinarlo?
-Quanto è risolutivo? È sicuro?
-Rapporto tra costi ed efficacia
-È nuovo? È sperimentale?
-Da quanto tempo esiste il trattamento di neurochirurgia funzionale?
-Quanti tipi di intervento esistono?
-¿Come avviene l’operazione?
-La fase post-operatoria
-Qual è il futuro della Neuromodulazione?


- È adatto a tutti i pazienti? Per chi è indicato?

In medicina, non esistono cure adatte per tutti i pazienti. Il trattamento chirurgico è considerato per il 20 - 30% dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Come sappiamo chi operare e chi no? Chi trae beneficio dall’intervento chirurgico? È la soluzione giusta per me? Le centinaia di pubblicazioni scientifiche su questo tipo di trattamento fanno sì che la selezione del paziente si basi su protocolli di valutazione molto rigorosi e sistematici.
È molto importante fare una selezione accurata dei pazienti che riceveranno il trattamento chirurgico. Per questo, la prima cosa da stabilire è anche la più ovvia: avere l’assoluta certezza che il paziente soffra di Morbo di Parkinson primario e non di un altro tipo di parkinsonismo. Quest’affermazione rischia di passare per una verità lapalissiana, ma in realtà non è sempre facile capire questa differenza per il paziente o per il medico senza esperienza in materia.
Esistono all’incirca 80 malattie, denominate parkinsonismi, che sono simili, ma non uguali al morbo di Parkinson primario. Pertanto, prima di prescrivere qualsiasi trattamento facciamo la seguente valutazione iniziale:
Morbo di Parkinson idiopatico, secondo i criteri della “Parkinson Desiderase Society Brain Bank” (Giba & Lees, 1989; Highes et. Al. 1992).
Morbo di Parkinson idiopatico, con un’evoluzione di almeno 5 (cinque) anni.
Il controllo dei sintomi è inadeguato nonostante il trattamento farmacologico ottimale. Si deve dimostrare che almeno una volta c’è stata una risposta, anche se minima.
Assenza di problemi medici che interferiscano con l’intervento proposto. Non ci sono coagulopatie, ipertensione arteriosa cronica non trattata, insufficienza epatica, renale, polmonare o cardiaca.
Risposta superiore al 33% nella sottoscala III UPDRS, dopo la stimolazione dopaminergica mediante il test L-Dopa o Apomorfina.
Importante impatto funzionale per gran parte della giornata (ad esempio, impossibilità di camminare, necessità di assistenza per svolgere le attività quotidiane).
Schema farmacologico ottimizzato e stabile per almeno tre mesi prima dell’intervento.
Assenza di demenza. (Risultato sulla scala di Mattis > 130/134).
Assenza di psicosi.
Assenza di depressione grave e/o tendenze suicide.
Paziente collaboratore, motivato per affrontare l’operazione e in grado di completare le autovalutazioni.
Paziente in grado di dare il suo consenso.
Studi con immagini di non più di un anno, che escludono una patologia organica cerebrale o atrofia grave.
Il Neurologo Clinico è perfettamente in grado di usare i protocolli diagnostici per assicurarsi che si tratti di morbo di Parkinson primario, tra cui l’utilizzo di diverse scale diagnostiche e l’ausilio delle moderne immagini strutturali e funzionali del cervello.
Oltre a risultare positivo al morbo di Parkinson, devono essere passati almeno 4 o 5 anni dalla diagnosi; il paziente deve avere avuto un’ottima risposta iniziale alla levodopa ed essere refrattario al trattamento conservativo.
Ne deriva un concetto molto importante, che è quello di “paziente refrattario”. Il paziente refrattario è quello che, dopo 4 o 5 anni dall’inizio del trattamento ha esaurito tutte le possibilità di trattamento; lentezza, rigidità e tremore alterano significativamente la qualità della vita del paziente.
Un’altra situazione che si presta a considerare l’intervento chirurgico è che il farmaco produce effetti collaterali che sono tanto o più gravi e inabilitanti della malattia stessa, come le discinesie.
Le discinesie sono un tipo di movimenti anormali fluttuanti - diversi dal tipico tremore – che sono causati dai f...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. Definizione di Parkinson avanzato
  3. Parkinson avanzato: le conseguenze dei sintomi non motori a livello psicologico ed emotivo
  4. Trattamento del Parkinson Avanzato
  5. Trattamento Chirurgico del Morbo di Parkinson: Passato, Presente e Futuro