Intellettuali e uomini di corte
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Padova e lo spazio europeo fra Cinque e Seicento

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Intellettuali e uomini di corte

Padova e lo spazio europeo fra Cinque e Seicento

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L'Università di Padova si è distinta nei suoi otto secoli di storia per essere fin dalle origini un'università di frontiera, un punto di incontro per gli studenti dell'intera Europa e un centro propulsore del rinnovamento culturale e scientifico del continente. Lo Studio e la città offrono ai giovani scolari provenienti da Ungheria e Polonia, Germania e Francia, ma anche dalla Scozia e dall'Inghilterra, dalla Dalmazia, dalla Grecia e dalle isole mediterranee, molto più che un semplice percorso di alta formazione professionale. La creazione di reti di amicizie, relazioni diplomatiche, sodalizi intellettuali è una risorsa di valore inestimabile, un patrimonio umano di esperienze e intrecci affascinanti che oggi possiamo raccontare attraverso testi, libri e documenti d'archivio per rivivere i momenti più coinvolgenti di una storia intellettuale che è anche la storia della nostra modernità. Nell'epoca dello splendore veneziano, il «Ginnasio», le accademie e i circoli cittadini che animano la vita studentesca offrono una palestra mentale perfetta ai futuri uomini di corte, educati alla filosofia, alla medicina e al diritto, ma anche alle arti indispensabili della conversazione, delle lingue moderne, della poesia, della comunicazione epistolare, del liuto e della scherma, in una parola della cortegiania. I tesori di lettere e scienza acquisiti negli anni padovani accompagnano gli ex studenti nelle loro carriere europee di medici, giuristi, precettori di nobili e sovrani, costituendo un fattore determinante nell'ascesa sociale. Intensa è anche la circolazione di libri a stampa e manoscritti, testimoniata dai cataloghi antichi delle biblioteche studentesche e dall'attuale patrimonio librario europeo. I libri, non meno degli uomini, sono alfieri di libertà e di tolleranza, di curiosità e di apertura al mondo: è l'eredità di quella piccola Europa padovana, ancora viva nell'Università di oggi per consentirle di affrontare da protagonista le sfide internazionali del nostro tempo.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855222815
Argomento
History
Categoria
World History

Parte prima

Le carriere degli studenti

I. Pannonius e gli studenti ungheresi a Padova

di Cinzia Franchi
Passando attraverso il giardino interno che unisce l’edificio storico della sede di Palazzo Maldura alle Aule Calfura, in quella che fino al 2019 era la sede centrale del Dipartimento di Studi linguistici e letterari (Disll) dell’Università di Padova, ci si imbatte inevitabilmente nel busto dorato che raffigura un giovane con i capelli a caschetto e il volto allungato e sorridente. L’opera di Éva Oláh Arrè, inaugurata il 7 ottobre 2017, donata dalla stessa artista all’Università di Padova, è divenuta ormai una figura amica, accanto alla quale ci si fa fotografare per ricordare un giorno speciale come quello della laurea, o semplicemente per arricchire il proprio portfolio fotografico su Instagram. La scritta «Janus Pannonius» che si trova sotto il busto non sempre rappresenta un disclaimer infallibile: eppure l’umanista Pannonius (Giano Pannonio), italianato, è stato uno dei «padovani onorari» ungheresi più noti e celebrati, il primo poeta della storia della letteratura ungherese, che scrisse solo in latino i suoi versi. L’espressione italianato è riportata nelle Vite di uomini illustri di Vespasiano da Bisticci. Con esso, l’autore intende sottolineare che da parte di alcuni, come appunto lo stesso Pannonius, vi fosse nei confronti della letteratura italiana «adesione, assimilazione, metamorfosi».
Janus Pannonius rappresenta una delle figure eminenti dell’umanesimo italiano e del più grande umanista d’Ungheria: poeta celeberrimo, la sua lirica è influenzata indelebilmente dal periodo trascorso a Ferrara presso la scuola di Guarino Veronese a partire dal 1447, quando aveva solo 13 anni, e da quello dei suoi studi patavini (1454-1458), dall’essere immerso in un ambiente contemporaneamente intellettuale e profondo ma anche goliardico, carnale e giocoso. Da quasi ottant’anni il suo ritratto, opera di Gian Giacomo Dal Forno, è collocato nella «Sala dei Quaranta», che precede l’Aula magna del Palazzo Bo di Padova, insieme ai ritratti di tanti altri studenti stranieri di tutta Europa. Gli studenti di oggi che gioiosamente si fanno i selfie d’ordinanza vicino al busto di Pannonius forse sanno poco o niente di lui e degli altri «pellegrini accademici» di tutta Europa che a Padova vissero e studiarono, creandone e rafforzandone la fama di libera città universitaria, in modo particolare tra medioevo e Rinascimento.
Per seguire le tracce di questi «pellegrini dello studio», dobbiamo partire dal XII secolo, allorché in Europa nasce la nuova figura sociale dello studente, pioniere di quell’esperienza definita peregrinatio academica che poi sarebbe divenuta viaggio di formazione (Grand Tour). A questa nuova figura l’imperatore Federico I concede nel 1155 quel riconoscimento giuridico che va a costituire la base di successivi privilegi concessi da papi, imperatori o sovrani, attraverso cui viene definito il suo status sociale e giuridico. Con la costituzione imperiale Authentica «Habita» (o Privilegium Scholasticum Friderici I), promulgata definitivamente nel 1158, venivano stabiliti privilegi speciali e immunità per quelli che oggi definiremmo «studenti fuori sede». Federico I Barbarossa istituisce dunque alcune concessioni in favore di studenti e maestri (docenti), riconoscendo loro, attraverso l’autorità imperiale, i diritti fondamentali relativi ai seguenti punti: 1) libertà di movimento in sicurezza per studenti e maestri nel raggiungere i centri di studio che desiderano liberamente frequentare; 2) protezione imperiale per i medesimi contro ogni molestia, danno o rappresaglia; 3) la giurisdizione sugli studenti è sottratta ai magistrati cittadini per essere affidata ai rispettivi maestri e, per quelli di condizione ecclesiastica, al vescovo locale.
Lo studente in questione presenta caratteristiche abbastanza riconoscibili: il peregrinus academicus è un «animale urbano», in quanto vive nella città in cui si trova il suo Studio, ciò che facilita l’incontro e il rapporto con i maestri e i professori dei quali segue le lezioni e gli insegnamenti dentro e fuori dall’università, così come di altri intellettuali non necessariamente incardinati nei ruoli universitari; come animale urbano vive generalmente in «branchi studenteschi» o corporazioni che hanno non solo propri costumi, ma seguono norme e leggi proprie, godendo di alcuni privilegi e finendo così per costituire una sorta di corpo separato rispetto alla popolazione locale, che da lontano ne osserva la vita, i comportamenti, le forme comunicative che includono la goliardia e i riti di iniziazione. Tuttavia, questi studenti spesso stranieri non si sentono estranei alla città di adozione proprio per il rapporto che si crea con maestri e insegnanti, con i quali talvolta addirittura convivono, così come con gli altri studenti e all’interno delle associazioni studentesche. Tra gli studenti ospiti presso casa Lutero, ad esempio, negli anni della sua docenza a Wittenberg vi fu tra gli altri Mátyás Dévai Bíró, il «Lutero ungherese», autore della prima Ortographia Ungarica (Cracovia 1549), mentre alla scuola del Veronese a Ferrara si viveva in forma comunitaria e Pannonius condivise non solo gli insegnamenti, ma anche la quotidianità con giovani umanisti come Galeotto Marzio da Narni – in seguito uno degli umanisti più famosi alla corte del re Mattia Corvino –, Andrea Mantegna, i fratelli Bellini. Tali relazioni facevano contemporaneamente radicare gli studenti nella città-Studio e davano loro la formazione necessaria e sufficiente per spiccare poi il volo verso i loro paesi d’origine, nei quali generalmente tornavano per intraprendere carriere laiche o ecclesiastiche.
Il primo peregrinus academicus ungherese lo incontriamo nel 1221 a Bologna: è il domenicano Paulus de Hungaria (anche Paolo Dalmata, Paolo Ungaro, Paulus Hungarus), che diverrà professore di diritto canonico presso l’Alma Mater e scriverà un manuale per confessori (Summa de poenitentia, 1220-1221) e un capitolo complementare al corpus del diritto canonico dell’epoca, Notabilia. Nella sua monografia sui giuristi ungheresi del medioevo, György Bónis stima in un centinaio il numero degli studenti che frequentarono l’Università di Ferrara nel XV secolo, in 205 quello degli studenti di Padova tra il 1222 e il 1526 (secondo altri dati si arriva a 300 per l’insieme delle discipline insegnate nello Studio patavino) e a Bologna, infine, dove gli ungheresi erano all’ottavo posto nella «classifica» delle tredici nationes che frequentavano lo Studio e che partecipavano alla vita della città e all’amministrazione dell’Università, tra il XIII e il XV secolo in 180 studiarono diritto. Troviamo inoltre studenti ungheresi, anche se in numero esiguo, nelle Università di Venezia, Perugia, Firenze, Siena, Pavia e Napoli.
In seguito all’invasione mongola dell’Ungheria del 1241, la peregrinatio academica magiara subì un arresto, per riprendere vigore nuovamente dalla fine degli anni cinquanta del Duecento fino ai primi decenni del XVII secolo, quando comincia a registrarsi un forte calo nel numero degli studenti ungheresi. Una tendenza simile possiamo osservarla a Padova, dal momento in cui la polarizzazione confessionale porta gli studenti protestanti ungheresi verso le università della Germania e quelli cattolici a Roma. D’altra parte, la situazione politico-territoriale dell’Ungheria era cambiata a partire dal 1526, data della battaglia di Mohács in cui l’esercito ungherese viene sconfitto da quello ottomano e nella quale, oltre a migliaia di soldati ungheresi, morì anche il re d’Ungheria Luigi II. Da lì avrà inizio l’avanzata ottomana che porterà alla conquista turca di Buda (1541) e all’occupazione dell’Ungheria centrale per quasi 150 anni, mentre la parte nord-occidentale rimase sotto il controllo asburgico e la Transilvania mantenne la propria indipendenza territoriale, pagando un tributo al Sultano. Un secolo e mezzo dopo, l’integrità del Regno d’Ungheria sarà ristabilita, ma a caro prezzo: verrà incorporato nell’Impero asburgico. Infatti, in seguito alla sconfitta dell’esercito ottomano alle porte di Vienna nella battaglia contro le truppe guidate da Eugenio di Savoia, nel 1683, che costringerà il Turco alla ritirata liberando così i territori dell’Europa centrale ancora sotto l’occupazione ottomana, gli Asburgo inizieranno la loro avanzata nel centro-est dell’Europa acquisendo nuovi territori.
È a Padova e a Bologna che nasce quella che possiamo definire l’«università degli studenti»: i professori erano «impiegati retribuiti» che la città o le stesse comunità di studenti invitavano a insegnare. Insegnanti e studenti rappresentavano un mondo interconnesso nelle facoltà e, nelle università del medioevo, rispettivamente insegnavano e studiavano tradizionalmente le discipline impartite negli ambiti delle arti, della teologia, del diritto (diritto canonico e diritto romano) e della medicina. Le facoltà, sotto la direzione del decano, godevano di relativa autonomia, come unità strutturate sulla base di un documento di fondazione e dotate di un proprio consiglio, una sorta di comitato direttivo. Gli studenti con la licentia ubique docendi ottenuta alla fine del corso di studi accademici erano autorizzati a insegnare ovunque, il che consentiva loro di non rimanere legati necessariamente a un solo territorio, laico o episcopale che fosse il mecenate di riferimento. Il titolo di magister o di doctor, che certificava il riconoscimento dei risultati scientifici raggiunti, aveva lo stesso valore indipendentemente dall’università presso la quale era stato conseguito. Per gli studenti ungheresi, così come per quelli di altre nationes, questo titolo poteva aprire la strada a una carriera laica o ecclesiastica di alto livello alla quale altrimenti non avrebbero potuto aspirare. Esisteva inoltre un grado accademico, il doctore bullati, che corrispondeva a un atto pontificio. Il papa, infatti, si poteva riservare il diritto di dare, con una bolla, il titolo di dottore a qualunque candidato, sulla base dei suoi meriti.
La cultura dell’umanesimo, che circolò ed ebbe influenza in modo diverso nei vari paesi europei, si era diffusa anche in Ungheria dall’inizio del Quattrocento. Il suo pieno dispiegarsi coincide nel territorio dell’antica Pannonia romana con la fine dell’epoca angioina e con la fioritura delle arti sotto il regno di Mattia Corvino (Matthias Corvinus o Matthias I, nato Mátyás Hunyadi), divenuto baluardo dell’Europa cristiana di fronte alla sempre più minacciosa avanzata dei turchi nei Balcani. Mattia Corvino aveva sposato Beatrice d’Aragona e instaurato rapporti economici e soprattutto artistici e culturali con la Firenze di Lorenzo il Magnifico, il quale divenne suo interlocutore privilegiato. Durante il suo regno (1458-1490), Mattia Corvino incarnò il prototipo del vero «re soldato, legislatore e mecenate» umanista, se consideriamo quell’aspetto dell’umanesimo che aspirava a creare la possibilità di coltivare liberamente le arti e le scienze e a utilizzare le competenze raggiunte dai migliori in tali campi anche dal punto di vista pratico. In tal senso, in Europa erano in primo luogo proprio le case regnanti a chiamare al proprio servizio un numero sempre più ampio di tecnici, professionisti e specialisti educati e istruiti secondo nuovi metodi. In ciò avevano un ruolo sempre più importante, determinante proprio per le università, formando i migliori rappresentanti ed esperti nei vari ambiti delle arti e delle scienze. Oltre che alla corte del regnante, nel Regno d’Ungheria chi si era formato presso un’università poteva essere al servizio del vescovo nella diocesi o del conte o comes, in ungherese ispán o főispán della contea (comitatus, in ungherese: megye). Come già sottolineato, la formazione universitaria appariva infine indispensabile per poter ricoprire cariche ecclesiastiche e laiche di più alto livello, inclusa quella episcopale.
Amante della cultura e grande mecenate, Mattia Corvino chiamò alla sua corte molti famosi e colti umanisti dall’Italia, tra i quali spiccano Antonio Bonfini, che insegnò anche a Padova, e Galeotto Marzio, che a Padova si era formato. La loro opera è ormai parte integrante dell’eredità culturale magiara. Galeotto Marzio soggiornò per lunghi periodi in Ungheria, dove fu anche bibliotecario della Biblioteca reale, la famosa Biblioteca corviniana che raccoglieva attraverso tremila codici i tesori della letteratura antica, umanista e rinascimentale d’Europa e che purtroppo in larga parte venne distrutta in seguito all’invasione ottomana seguita alla sconfitta di Mohács del 1526. Galeotto Marzio scrisse inoltre un’opera in latino di intento didattico dedicata al padre del sovrano, il condottiero, politico e per un breve periodo reggente del Regno d’Ungheria (1446-1450) János Hunyadi, che venne pubblicata postuma: De egregie, sapienter, iocose dictis ac factis Regis Mathiae (Vienna 1563). Antonio Bonfini si recò a sua volta in Ungheria, dove divenne lo storiografo di Mattia Corvino, per il quale tra il 1487 e il 1496 compose una storia dell’Ungheria dal titolo Hungaricarum Rerum Decades Quattuor et Dimidia, terminata solo dopo la morte del sovrano ungherese e pubblicata postuma a Basilea nel 1543.
Il primo «attivista umanista» ungherese è János Vitéz de Zredna, zio di Janus Pannonius. Vitéz fu prima vescovo di Várad, poi arcivescovo di Esztergom e cancelliere di Mattia Corvino e investì parte delle sue ricchezze nel sostegno all’istruzione di giovani meritevoli ma senza mezzi economici, come György Handó, proveniente da una famiglia di servi della gleba, che grazie appunto al vescovo poté recarsi a studiare a Padova, dove si laureò in Lettere e in Diritto canonico. Handó sarà poi uno dei vicecancellieri del vescovo ungherese, per diventare in seguito arcivescovo e primo cancelliere di Kalocsa, nell’Ungheria meridionale, nonché prevosto del capitolo della cattedrale di Pécs. Servì a lungo lo stesso Mattia Corvino occupandosi degli «affari esteri» della corte. In tale ruolo, iniziato all’ombra di Janus Pannonius nel 1465, si recherà a Roma varie volte tra il 1467 e il 1469, l’ultima per questioni legate al matrimonio tra Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona. Sia lo zio János Vitéz, appassionato collezionista di libri, che il nipote Janus Pannonius sono immortalati nelle succitate Vite di Vespasiano da Bisticci, dedicate dal cartolaio, umanista, scrittore e libraio fiorentino ai suoi clienti più famosi. Il terzo ungherese a cui viene dedicata una biografia che riguarda anche la biblioteca da lui approntata è proprio György Handó.
János Vitéz si occupa anche degli studi del nipote, inviandolo appena tredicenne in Italia, dove entra nella scuola di Guarino Veronese a Ferrara, scuola di formazione e trampolino di lancio per poter poi proseguire gli studi a Padova. La formazione umanista nella sua prima fase si realizzava soprattutto attraverso l’insegnamento privato, dai maestri, nelle loro scuole collocate presso le famiglie nobili e principesche d’Italia: se Guarino è dagli Este a Ferrara, presso i Carrara a Padova troviamo dal 1390 Pier Paolo Vergerio e Vittorino de’ Rambaldoni da Feltre a Mantova, dove per ventidue anni diresse la Ca’ Zoiosa (Casa Giocosa), una scuola-convitto di impostazione umanistica destinata ai giovani Gonzaga e di altre principesche casate italiane, ma che poteva essere frequentata anche da allievi di talento, locali o stranieri. Tale scuola formò politici, clerici, umanisti dal 1423 fino alla morte di Vittorino da Feltre (1446).
Janus Pannonius o, all’italiana, Giano Pannonio alias Johannes de Chesmicze (al secolo, János Csezmicei, ovvero Ivan Česmički in croato, a motivo dell’origine paterna), proveniva da una famiglia della media nobiltà della Slavonia, all’epoca parte del Regno d’Ungheria. Sua madre Borbála era la sorella minore del vescovo di Esztergom ed è appunto quest’ultimo a inviare nel 1447 l’adolescente a Ferrara, alla scuola di Guarino da Verona, per poi proseguire a Padova con gli studi di diritto canonico e diritto romano (1454-1458), periodo nel quale la sua formazione comprende anche le basi necessarie per affrontare gli impegni diplomatici che lo attenderanno al ritorno in Ungheria presso la corte del re Mátyás. Pannonius torna infatti in Ungheria proprio nel 1458, allorché Mattia Corvino sale sul trono. Il promettente giovane comincia a ricevere dal sovrano incarichi importanti. Due anni dopo diviene vescovo di Pécs, pur continuando a risiedere a Buda e a lavorare presso la cancelleria del re, al quale resta vicino, partecipando agli intensi rapporti e agli scambi culturali realizzatisi durante il suo regno, nel quale non solo Pannonius, ma molti di coloro che si erano laureati in Italia ebbero un ruolo particolarmente importante. La fioritura delle arti in Ungheria sotto il regno di Mattia Corvino, infatti, si realizzò nel periodo più critico per l’Europa tutta. Coincise con la grande avanzata dell’Impero ottomano nei Balcani, che trasformò l’Ungheria nel «baluardo della cristianità». I turchi avevano occupato Bisanzio (1453) e assediato Belgrado (1456) – in quest’ultimo caso, l’esercito ungherese capitanato da János Hunyadi, padre del futuro re Mattia Corvino, e da Giovanni da Capestrano, funse appunto da baluardo, riuscendo a bloccare l’avanzata ottomana.
Come legato del re, Janus Pannonius nel 1465 condusse le trattative a Venezia e a Roma per ottenere l’aiuto contro i turchi e fece approvare dal papa Paolo II il p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Presentazione di Rosario Rizzuto e Annalisa Oboe
  6. Il «nostro Ginnasio», fucina intellettuale dell’Europa moderna di Ester Pietrobon
  7. Parte prima. Le carriere degli studenti
  8. Parte seconda. Professioni e mobilità sociale
  9. Parte terza. Le biblioteche delle nationes
  10. Parte quarta. Lo Studio e la città
  11. Bibliografia ragionata
  12. Elenco delle illustrazioni
  13. Gli autori