1983: Operazione Budapest
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1983: Operazione Budapest

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1983: una banda di criminali emiliani trafuga sette capolavori del Rinascimento italiano dal Museo di Belle arti di Budapest. L'invulnerabilità del granitico e apparentemente inespugnabile sistema di Oltrecortina viene clamorosamente violata. Molto tempo dopo si saprà che servizi segreti, politica e criminalità hanno svolto un ruolo determinante in questa vicenda. Ma cosa si nasconde dietro il "furto del secolo"??IL LIBRO: Nato da un progetto di ricerca, il romanzo ricostruisce la storia di un clamoroso furto d'arte compiuto a Budapest nel 1983 da una banda di italiani di Reggio Emilia. La ferita inferta al regime totalitario e la temerarietà degli autori del furto hanno reso unica questa storia rocambolesca che mise in grave imbarazzo il presidente ungherese János Kádár. Attraverso la ricostruzione delle fasi investigative e le testimonianze dirette dei protagonisti si svelano le dinamiche che hanno spinto quei giovani criminali a compiere questa azione apparentemente isolata. A distanza di quarant'anni, però, un incredibile intreccio di interessi diversi, ma convergenti, apre uno scenario fino a oggi impensabile. Ne emerge un affresco del crimine internazionale permeato di politica, servizi e malaffare che andrà ad arricchire le pagine della storia italiana e internazionale.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788831492416
Argomento
Storia
OPERAZIONE BUDAPEST
OPERAZIONE BUDAPEST
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1. Ivano Scianti in una foto segnaletica del 1983. Archivio di Stato ungherese.
I. 13 ottobre 1983 – Il Mirabello, Reggio Emilia
È una giornata uggiosa a Reggio Emilia. Le dimensioni della città sono cresciute tanto da aver reso complicato percorrere la centrale via Emilia riparandosi dalla nebbia e dal piovigginare sotto i portici, che ormai a malapena riescono a contenere il viavai di persone.
Un uomo spunta fuori spedito dalla porta Santo Stefano con il passo accelerato di chi conosce il percorso a menadito. Allo scattare del verde del semaforo pedonale la pioggia si infittisce e, mentre attraversa la strada, l’uomo prova a ripararsi sotto il suo giaccone di pelle, piegato e crepato in più punti.
I suoi gesti non sono casuali: persino il tentativo di fumare la sigaretta sotto il giaccone teso a tenda è parte del copione assegnato al personaggio. Niente da fare, la sigaretta è umida e non brucia: la getta a terra rassegnato e affretta il passo. La sua meta è il Mirabello, un bar decadente con l’insegna luminosa rossa. L’uomo si ricompone prima di entrare nel locale. Guarda in basso: per scendere nel bar dal piano strada ci sono tre scalini insidiosi. Serve prudenza prima di entrare nel Mirabello – e quell’uomo sa bene cos’è la prudenza.
Appena aperta la porta del locale, l’aria si fa irrespirabile. L’uomo raggiunge con passo spedito un lungo bancone: la superficie di metallo sembra non essere stata più tirata a lucido da parecchio tempo; il frontale appare come un assurdo vistoso susseguirsi di rombi colorati, stampati su una plastica lucida che lascia intravedere i neon non più funzionanti. Un orologio lercio svetta in alto sulle fila di bicchieri, appeso sul muro alle spalle del barista. Il quadrante indica l’ora e la data: 15.44 del 13 ottobre 1983.
Affogati nella cortina di fumo ci sono solo tre clienti; lo stropiccìo delle pagine sfogliate della Gazzetta di Reggio fa da colonna sonora a chi fissa, un po’ perso, il vetro opaco che dà sull’esterno del bar; i violenti e ripetuti colpi di una slot machine tengono svegli i sogni dell’avventore che li ha affidati a quel gioco. Dal fondo del locale si diffonde l’audio di una vecchia tv, poggiata su una mensola tra un groviglio di cavi. Come una nenia, si accavallano dialoghi e musiche di una soap opera brasiliana. La sovrapposizione di tutti quei suoni è tediante.
Il barista è un uomo alto e snello dal viso consumato. Osserva i gesti e i movimenti degli avventori e sembra compatirli mentre lava stancamente tazze e bicchieri. Poi la sua routine s’interrompe d’improvviso: indispettito dall’arrivo dell’uomo lancia nel lavabo un bicchierino di vetro con un gesto di stizza, schizzando di caffè il suo grembiule a doppia allacciatura già sporco; lo guarda di sbieco, poi abbassa gli occhi e chiede con tono sommesso: «Il solito?». L’uomo non risponde, non è necessario. Aspetta che il barista gli versi il suo Unicum, agguanta il bicchiere a collo lungo e si volta verso la tv dove stanno passando i titoli del telegiornale di Rai 3.
A quattro mesi dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, ci si interroga sul coinvolgimento delle mafie, dei poteri occulti e della criminalità comune, ma la domanda rimane una sola: che paese è mai l’Italia?
Il barista non fa caso a quel che sente, e tuttavia l’aria nel bar si gela improvvisamente quando il tg passa alle notizie regionali:
Purtroppo non ce l’ha fatta il guardiano della villa Serra Parenti di Pavullo a Modena, ferito nel corso di una rapina il 29 gennaio scorso. L’ingente refurtiva di gioielli, quadri, forme di parmigiano – ma soprattutto la morte dell’uomo – rendono ancora più urgente la caccia ai malviventi.
L’espressione del volto del barista diventa repentinamente cupa e inquisitoria; sciacqua un bicchiere e domanda all’uomo poggiato al bancone: «Tu non ne sai niente, vero?».
L’uomo non gradisce l’insinuazione ironica del barista. Reagisce in modo scomposto, ammonendolo con uno sguardo minaccioso: «Mica quando sparisce una forma di parmigiano è sempre colpa di Ivano Scianti, capito?».
Il barista conosce bene l’irascibilità del personaggio, si pente di quel che ha detto e prova a riparare.
«Scusami».
«Questo scherzo non mi piace più, va bene?» lo redarguisce l’uomo.
Ivano Scianti è un rapinatore di professione, noto e temuto da chiunque nella cittadina emiliana – e non solo negli ambienti malfamati. La sua capigliatura folta e riccia e l’abitudine di girare in città con l’autista lo rendono inconfondibile. È un ladro d’arte, mobilio e gioielli di ogni tipo: la sua specialità sono le fabbriche e, soprattutto, i musei. Gli avventori del bar sanno chi è e cosa fa, e per questo preferiscono schivarlo; lui non li biasima né se ne cura, sbatte 500 lire sul bancone e si appresta ad andare via.
«Ah, Ivano!» lo richiama il barista. Scianti, minaccioso, si gira di scatto. «Per due volte ti ha cercato uno qui,» gli dice il barista indicando il telefono «dice di essere “il Greco”, che devo dirgli?».
L’uomo, piccato, gli risponde: «Non sono fatti tuoi».
«Ma dice che tu gli hai detto di chiamare qui al Mirabello».
«Mi serviva un posto fidato, evidentemente…».
Lo dice con un pronunciato gesto di stizza, per far capire che di lui e di quel posto non si fida più. Il barista, dal canto suo, non vuole capitolare. Tutto il resto può aspettare: si asciuga le mani con un cencio e scavalca il bancone lateralmente. Poi, con tono remissivo, si rivolge all’uomo: «Ivano, a me la voce di questo non piace. Per questo ti ho provocato, scusa…».
Ivano ci pensa, si ferma, si gira verso di lui ruotando simultaneamente testa e corpo e gli ordina: «Fammi chiamare alle 5».
«E se non richiama?».
«Chiamerà!».
Accompagnato dal bofonchiare incomprensibile del barista, si avvia lentamente verso l’uscita, per la felicità di qualche cliente – che preferisce star lontano da un criminale come lui – e la perplessità di qualcun altro – che intuisce e sospetta che Scianti sia finito in giri più grandi di quelli a lui consoni.
Quando esce dal locale un violento colpo di slot machine rinforza il rumore della porta a vetri che sbatte e risuona nel bar finché l’uomo non si perde n...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. OPERAZIONE BUDAPEST
  6. 1992-1993
  7. 2018 – EPILOGO
  8. Ringraziamenti
  9. Novità