Il lumicino della ragione
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La lezione laica di Norberto Bobbio

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La lezione laica di Norberto Bobbio

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L'immagine, ripresa da Locke, ben si addice a illustrare un laicismo che trova il proprio centro in una concezione dello Stato che nelconflitto tra la religione e l'irreligione non prende posizione né per la credenza né per la miscredenza, lasciando che ognuno se ne vada per le strade che gli comanda la sua spiritualità. Sarà buona quella strada, o cattiva? Non sappiamo. Sappiamo soltanto che è la sua strada. E tanto basta per chi «ritiene che la verità abbia molte facce, e non vi sia alcun criterio oggettivo e assoluto per distinguere la verità dall'errore» (sono parole di Bobbio). In questo caso, spiegava, «l'unico rimedio è l'incontro o lo scontro delle opinioni, dei giudizi, delle idee, vale a dire una situazione che non può attuarsi senza libertà», a cominciare evidentemente dalla libertà di coscienza che proprioperciò è la pietra angolare del laicismo bobbiano. E dunque, contro l'oggettivismo morale, il relativismo etico. Contro i richiami di una fede obbediente, le esigenze di una volontà autonoma. E contro i privilegi del confessionalismo, le parificazioni dello Stato laico: pur con i toni conversevoli chetestimoniavano la squisitezza dell'uomo, quello di Bobbio è un pensiero «contro» che perciò non sopporta contaminazioni spurie né troppo elastiche interpretazioni. E il saggio di Gaetano Pecora ne scruta ogni più riposta piega, non rinunciando nemmeno asegnalarne talune incertezze e oscillazioni, ma giunge un momento in cui gli sviluppi stessi dei presupposti bobbiani fanno scattare la molla di una ultima risoluzione che dice: «questo sì, questo no»; la tale idea è compatibile e può entrare nei territori della laicità; la talaltra è incongrua e deve restarne fuori. Per cui anche quando la ragione è tremula e vacillante, anche allora essa accende un cerchio di luce nel quale si vede ancora sufficientemente bene; almeno per quel tanto da distinguere, da separare e, se del caso, da contrapporre. Distinguere, separare, contrapporre: sono precisamente le virtù per le quali la lezione di Bobbio ha scavato un solco profondo nella memoria di tutti e ha tanto da insegnare ancora oggi.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855222860

II. Il laicismo di Bobbio: tra dubbi, misteri (e qualche certezza)

«Non so come, ma noi siamo doppi in noi stessi».
Montaigne

1. Il laicismo di Bobbio (visto da dentro).

A chi ci ha seguito fin qui, diamo ora l’avviso: «Signori, si cambia passo». Non più la ricostruzione (tendenzialmente) adesiva, ma la decostruzione critica del pensiero di Bobbio. Critica perché? Intanto perché capita sempre così con i grandi: giunge un momento in cui il loro fascino ci fa più esigenti, meno disponibili, come se temessimo gli effetti quasi ipnotici della loro pagina. Federico Chabod, che era Chabod, passato in proverbio per la distinzione dei modi e dunque impermeabile al gusto rimescolato della polemica troppo puntuta, proprio Chabod una volta si aprì così: «più ho imparato da un libro e da un uomo e più sento il bisogno di criticarlo».
Scalate tutte le differenze, lo stesso vale per Bobbio che, anzi, per il carattere del suo magistero, per l’orma personalissima che vi lasciava sopra – aperta, problematica, dubbiosa –, quasi li coccolava i suoi critici e si rinfrancava dei loro rilievi. Non a caso, sulla stazione ultima della vita, quasi alla fine del viaggio terreno, Bobbio volle riassumersi in queste poche linee di confessione semplice e diritta: «La mia opera – disse – è cresciuta insieme con quella dei miei critici e, crescendo, si è talora impercettibilmente e inconsapevolmente modificata, tanto da provocare il rimprovero […] di discontinuità, se non addirittura di contraddittorietà o d’incoerenza». Poi, confessione nella confessione, aggiungeva: «Ammetto che fra gli elogi, il più gradito, che mi viene rivolto spesso, è quello della chiarezza». Ma, subito rientrando nella sua misura di abituale modestia, precisava: «la chiarezza non sempre è un pregio e l’oscurità non sempre è un difetto. So pure che c’è una chiarezza ingannevole. Se uno dei miei autori prediletti, e celebrati per la loro chiarezza, Thomas Hobbes, è stato considerato reo di “confusing clarity”, io non mi debbo ritenere sminuito se mi capita di essere bersaglio di analoga accusa»1.
Altrove classificheremo, discerneremo e, quando del caso, criticheremo pure noi; però, qui, nella sua viva presenza, sentiamo tutta la ritrosia di una sensibilità refrattaria allo scroscio degli applausi (esageroma nen, «non esageriamo con le lodi», gli ricantava dentro lo spiritello piemontese che l’abitò per sempre), e avvertiamo altresì la schiettezza di una intelligenza resa ancora più insoddisfatta e fatta ancora più inquieta precisamente dalle critiche che essa stessa sollecitava. Che abisso, dunque, il cuore dell’uomo! Questo argomento, però, è una voragine aperta dinanzi a noi che ci fermiamo a tempo, sull’orlo, per nulla interessati a sondare le profondità umane e solo diretti a stabilire se le giunture dei ragionamenti bobbiani scricchiolano davvero e fino a che punto le impalcature della sua laicità accusano i rappezzi di interventi promiscui («contraddittori», avrebbe detto Bobbio).
Certo, bisogna pur fare la sua parte a un pensiero che si dispiega in un arco di tempo oltremodo lungo. Si va dal 1934, l’anno del primo saggio, fino a poco prima della morte (avvenuta nel 2004). Settant’anni, dunque. Settant’anni di scritti. Ovvio che in un giro così largo tante idee cambiassero e tante, tante acquisizioni che parevano corazzate in armatura di verità venissero rimeditate e talora abbandonate. Si aggiunga poi che Bobbio non ebbe il genio della sintesi; piuttosto fu dominato dal demone dell’analisi, dal gusto e quasi diremmo dalla voluttà per le distinzioni più sottili e le gradazioni più fini. Il che – come ebbe a dire lui stesso – lo portò a «sminuzzare l’universo in tanti pezzettini da esaminare uno alla volta»2, senza che provasse grande gusto a raccoglierli in un’organica veduta d’insieme. Ne viene che bisogna prendere aspetti singoli del suo magistero, isolare frammenti particolari della sua produzione senza star lì a chiedersi se quei frammenti e quei particolari si rispondano tra di loro con gli accenti dell’intima coerenza.
E tuttavia, per quanto frastagliati e non conducenti a una strada maestra, pure tra i molteplici sentieri esplorati da Bobbio ce ne è uno, magari uno solo ma c’è, ce ne è uno in particolare dove si coglie quell’aerea, quell’impalpabile eppure riconoscibilissima cosa che è l’ansia del sistema, che proprio in quanto sistema si tiene pago di sé solo se assistito dall’equilibrio, dalla simmetria e dalle giuste proporzioni. Ebbene, è proprio sul tema della laicità che gli umori sistematici di Bobbio hanno tentato i loro esercizi più impegnativi.
Riusciti questi esercizi, non riusciti o riusciti solo parzialmente è cosa che potremmo dire subito, come di volata; che però, appunto per tale frettolosa sollecitudine, prenderebbe un po’ della perentorietà apodittica e finirebbe per mettere in mala grazia il lettore; il lettore, intendiamo, che non vuole ragionare tronco e per formule ellittiche. Meglio allora invocarne la pazienza e invitarlo lungo un percorso cadenzato al termine del quale la conclusione potrebbe annunciarsi quasi da sola, con la fresca confidenza delle verità spontanee e naturali. Ma se proprio questo ragionamento pacato, pacatamente discorsivo e senza furia di traguardi fulminei, dovesse spazientirlo troppo, allora gliela anticipiamo, sì, la conclusione ma con una immagine di trasparenti acquerelli dentro i quali, poi, bisogna comunque insistere con colori più rilevati.
E l’immagine è la seguente: visto da lontano, l’allestimento laico di Bobbio si presenta come una costruzione tirata perfettamente a lucido, compatta e uniforme (uniforme soprattutto). Poi, avvicinandoci e ficcandoci meglio gli occhi dentro, scopriamo non l’uniformità dei materiali ma quasi due blocchi sovrapposti, ciascuno dei quali porta una verità, una verità sua propria, che fa stacco con l’altra e garbatamente la contraddice. È come se ci fosse una scena e una contro-scena, un sopra e un sotto; e benché sopra cantino di vena le ripetute affermazioni di Bobbio, nondimeno esse faticano a conquistarsi l’adesione del lettore. Sono sotto, se pure costrette e tenute un po’ in ombra, sono le spiegazioni che Bobbio fornisce sotto, quelle che vanno diritte al segno.
Scena, contro-scena; sopra, sotto: tutto questa industria di immagini per dire cosa? Per dire che la laicità di Bobbio, con una serie di ragionamenti inanellati gli uni con gli altri (e già scanditi nella prima parte del nostro saggio), alla fine plana sul terreno della tolleranza, la quale però è lavorata da una doppia, inconciliata ispirazione che proprio per questa sua interna duplicità mette in affanno e costringe talvolta a bilanciarsi su di un equilibrio instabile.
Ma prima di giungere su questo terriccio incerto e anche un po’ farinoso giova ripetere le tappe che, in Bobbio, fanno catena tra loro e che da ultimo si risaldano in circolo legato con la tolleranza. Trattandosi di ripetizione, secondo l’uso delle migliori repliche, i pensieri cadranno in velocità gli uni sugli altri e il lettore non avrà da rammaricarsi se scalcheremo la sostanza viva della sapienza di Bobbio con passaggi resi ancora più svelti e serrati dall’esigenza della rapidità.

2. Lo Stato laico. Tra princìpi contrari e verità consustanziali.

In punto di metodo viene insegnato che un concetto rimane fumoso e indistinto fin quando non si individui un concetto contrario che dall’esterno lo perimetri e lo circoscriva. In questo senso (ma solo in questo senso) si ha ragione di dire che la verità è «fatta di due contrari che si contraddicono» (Pascal). Per cui, vedendosi le verità sempre due alla volta, con l’una che prende dal fondo le proposizioni dell’altra e le rovescia a testa in giù, si va al centro dello Stato laico stabilendo in via prioritaria quale ne sia il suo contrario/contraddittorio, con cosa cioè lo Stato laico è incompatibile (che è quanto implica la «contrarietà») e rispetto a cosa esso è alternativo (che è invece quanto vuole la «contraddittorietà»).
Ebbene, come abbiamo stabilito nella prima parte del saggio, la realtà che gli riesce a un tempo alternativa e incompatibile è quella dello Stato confessionale, dello Stato cioè che pone la forza dei pubblici poteri al servizio di una confessione tenuta per esclusiva o privilegiata. Niente esclusivismi, invece, e neppure nessun privilegio nello Stato laico che è laico appunto perché si livella su una misura unica, la stessa per tutti, dinanzi alla quale perciò scompaiono sia gli innalzamenti sia gli abbassamenti, ognuno essendo egualmente libero di manifestare con atti esteriori la credenza (o la miscredenza) maturata nel foro interno della propria coscienza.
Più brevemente: lo Stato laico è il displuvio dai due fianchi da cui scorrono l’eguale libertà (esterna) di culto e l’altrettanto eguale libertà (interna) di coscienza. Ecco: l’esterno e l’interno, combinati insieme, allestiscono l’essenziale della libertà religiosa. Altro, magari, si potrà aggiungere a siffatta libertà; nulla però le si può togliere di queste due componenti senza sconciarla all’incontrario di quella che è. Ecco perché Bobbio, come del resto tutti quelli che nelle cose del laicismo hanno lo sguardo lungo, si mette a fuoco col netto del tema quando lo scarnisce così: gli Stati laici sono gli Stati che «pongono a fondamento della libera convivenza dei loro cittadini il principio della libertà religiosa»3.
Insomma la libertà di culto e la libertà di coscienza, nello Stato laico, si svolgono sincrone tra loro perché tutt’e due sono collegate a un unico mozzo – la libertà religiosa – che le fa girare nel medesimo verso. Ma il discorso non può fermarsi qui. Assolutamente no. C’è bisogno di uno sforzo supplementare; occorre farsi sotto e con prudentissima misura entrarci dentro, proprio dentro questo meccanismo centrale (la libertà religiosa, appunto) per stabilire quale sia l’unto che ne lubrifica gli ingranaggi e che alla fine li fa funzionare. Diversamente non avremmo mai l’esatta intelligenza che si richiede a chi vuole trattare la laicità come di cosa veramente sua. Perciò Bobbio non poteva arrestarsi lì, sulle soglie dello Stato laico, senza domandarsi cosa ci fosse tra i bulloni e nelle pulegge della libertà religiosa. E tutte le volte che l’ha fatto, tutte le volte che s’è provato con questa opera di montaggio e di rimontaggio interno, sempre, con implacabile regolarità, ne ha addentato le ruote con il richiamo al valore della tolleranza. Dovrà pur significare qualcosa che tra tante idee che mutano, una ve ne è nell’archivio dei suoi pensieri dalla quale Bobbio non si è mai distratto e che ha coltivata come cosa sua, proprio sua e di nessun altro, con quella trepida dedizione e con quell’autonomia fiera di chi dice a se stesso: questa è una verità che mi appartiene!
Se noi proviamo a muoverci sulle sue pagine come sulla spola di un telaio, andando avanti e indietro, indietro e avanti nel tempo, ci troveremo sempre a tessere il filo di una medesima convinzione e cioè: sul pinnacolo dello Stato laico possono pure soffiare venti diversi, ma tutti poi si riuniscono sotto la bandiera della tolleranza. Ammainatela quella bandiera e avrete distrutto la laicità.
Spiccando fior da fiore dal cespo delle numerose citazioni che Bobbio sparse nel corso dei decenni: «l’unico principio che si può considerare propriamente laico è quello della tolleranza»4; poi, rimontando la corrente del tempo e salendo un po’ nel giro sonoro della medesima affermazione: «lo spirito laico ha prodotto una delle più grandi conquiste del mondo moderno, la tolleranza religiosa dal cui seno è scaturita la tolleranza delle idee in genere e da ultimo delle opinioni politiche»5; e infine, ancora più indietro e con una nota vibrata che non gli era consueta: «Il nostro primo compito è quello di riscoprire e praticare il principio della tolleranza. Parlo del principio della tolleranza con una certa fierezza […] il principio della tolleranza è stato il grande contributo dato dal pensiero laico alla storia moderna».
Poi, come portava il suo genio di chiarificatore, subito tornato docente, spiegava: «È un principio nato dal razionalismo moderno, nelle coscienze di coloro che gli orrori delle guerre di religione avevano indotto a cercare la strada della salvezza in una nuova unità al di sopra della disunione delle chiese, ispirato dalla convinzione che le religioni dividono, e solo la ragione, che è universale, che è eguale in tutti gli uomini, unisce. Il movimento del diritto naturale fu interprete di questa convinzione»6, benché Bobbio – diciamolo per inciso – di questo diritto naturale fosse un potatore spietato; garbato ma spietato.
A questo punto, aggiungere dell’altro sarebbe più d’ingombro che di profitto. Ce ne è abbastanza, crediamo, per ribadire il punto (peraltro già fermato nella prima parte di questo libro). E il punto è che anche quando si collocano sull’ultima cima, dove l’atmosfera è più rarefatta e i rumori del mondo giungono ovattati e remoti, anche allora i principi primi dello Stato laico bisogna sempre guardarli come si guardano i culmini: dalle falde. Perché è da qui che suggono la loro linfa vitale; ed è sempre da qui che essi vengono trasportati in alto, come sull’onda calda di stili di vita, di sensibilità e di ideali morali. Gli ideali morali. Ecco: la tolleranza è precisamente l’idea morale che sostiene, che tonifica e che solleva le strutture dello Stato laico, donde l’autonomia e, diremo meglio, l’auto-sufficienza delle sue regole giuridiche che svolgendosi gemelle con una determinata esigenza della vita etica – la tolleranza, appunto – ritraggono da se stesse il vigore dei convincimenti morali senza che altri sistemi (come quello religioso, per esempio) dall’esterno, debbano poi provvedere a rafforzarne la spiritualità.

3. La toll...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. I. Il trittico del laicismo: libertà, democrazia, tolleranza
  7. II. Il laicismo di Bobbio: tra dubbi, misteri (e qualche certezza)