Diritto alla salute e attivismo simbolico
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Diritto alla salute e attivismo simbolico

Il caso del Brasile

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Il caso del Brasile

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Il libro mira ad identificare qual è la semantica utilizzata dalla suprema corte brasiliana (STF: Supremo Tribunale Federal) relativamente al principio della separazione dei poteri, nei casi di procedimenti riguardanti violazioni del diritto alla salute. L’obiettivo è di stabilire se il STF agisca in maniera puramente simbolica o se invece contribuisca ad una reale effettivizzazione della norma.
Verrà dunque analizzata l’applicazione delle norme relative al diritto alla salute da parte del Supremo Tribunal Federal, attraverso un esame delle motivazioni addotte dalla corte nelle sue decisioni. L’idea di partenza è che l’analisi della “verbalizzazione” delle decisioni (cioè il linguaggio stesso utilizzato dalla corte) renda possibile studiare il diritto quale sistema di comunicazione.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833793214
Argomento
Diritto

CAPITOLO PRIMO

SEPARAZIONE DEI POTERI, COMPLESSITÀ E INSTABILITÀ SOCIALE

“Il potere assoluto genera ingiustizia”
(Dionigi di Alicarnasso, 4 K-S)1
Sommario
1. Separazione dei poteri, abuso di potere e instabilità sociale – 2. Stato-giudice, diritto e politica – 3. Complessità e contingenza sociale nel processo decisionale nel contesto del principio della separazione dei poteri

1. Separazione dei poteri, abuso di potere e instabilità sociale

Dall’analisi della bibliografia relativa alla separazione dei poteri, risulta evidente come, storicamente, all’attenzione al problema dell’abuso di potere abbia fatto seguito quella relativa alla sua stabilità. Si è cercato di garantire una continuità all’esercizio del potere, soprattutto vista l’instabilità della volontà popolare, peraltro sovrana. Non vi erano, in origine, le condizioni che potessero garantire tale continuità e il rispetto del “patto sociale originario”, alla base della democrazia stessa. Storicamente dunque, i problemi principali sono stati due: (i) l’abuso di potere e (ii) il rafforzamento delle istituzioni.
Questo processo evolutivo non si è realizzato in maniera omogenea. Al contrario, è avvenuto in modo eterogeneo e non uniforme, in contesti temporali e geograficamente differenti, all’interno di regimi costituzionalisti rappresentativi. Ciò vale anche per il Brasile, dove, fin dall’epoca imperiale, si è cercato di realizzare la separazione dei poteri, lasciando talvolta in secondo piano il controllo degli abusi di potere2.
La separazione dei poteri è stata dunque intesa come principio liberale: per essere considerato tale, un paese deve adottare espressamente tale principio nella sua costituzione, conformemente all’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (in seguito inserito nella Costituzione francese del 3 settembre 1791)3.
La borghesia, storicamente, ha assunto il compito di rivendicare la libertà dell’individuo nei confronti dello Stato, valore di cui gli strati popolari inferiori non avevano mai goduto. Tuttavia, tale libertà era parte di un corredo più ampio di diritti, che ha finito per legittimare socialmente la separazione dei poteri quale strumento per la limitazione di quello dello Stato, a vantaggio della libertà economica della borghesia.
Nel corso del tempo, tuttavia, come documenta Paulo Bonavides, nuovi valori, sono gradualmente emersi nel dibattito democratico, e così termini quali separazione e divisione sono stati sostituiti da concetti quali distinzione, coordinamento e collaborazione.4
Inoltre, rispetto alla separazione proposta da Montesquieu, va registrata la critica di Hegel, che non concorda con il filosofo francese, e legittima invece l’unità del potere nel senso proposto da Rousseau, all’interno di un impianto organicista d’interdipendenza di poteri coordinati e non separati fra loro.5
Nel contesto brasiliano, come illustra José Reinaldo de Lima Lopes, dopo la fine dell’impero, il compito di proteggere la stabilità istituzionale è stato gradualmente attribuito al STF. In questo modo, non c’è voluto molto perché tale corte affrontasse concretamente il compito attraverso le sue decisioni. L’influenza del “potere moderatore” (Benjamin Constant) è diretta chiaramennte a soddisfare le esigenze degli Stati liberali: ciò risulta evidente nel conflitto tra il liberalismo e la democrazia degli antichi rispetto a quella dei moderni.
Nel tempo, il regime liberale ne è uscito rafforzato: potremmo chiamarlo liberale-individualista, volto a tutelare gli interessi dell’élite terriera e del clientelismo imperiale, e non quelli della borghesia nel senso tradizionale europeo (si era peraltro molto lontani culturalmente dall’idea di una rivolta armata contro la nobiltà).
In Brasile i valori liberali sono stati usati per servire gli interessi delle oligarchie rurali e dei funzionari dello Stato portoghese “scialacquatore”. Si può affermare che il processo liberale in Brasile è nato dalla volontà dei governanti – che, occorre precisare, sono rimasti al potere dopo la sua instaurazione – e non da un percorso rivoluzionario, e forse per questo motivo è arrivato a convivere persino con la schiavitù6.
Si ritiene infatti che la separazione dei poteri sia nata dalla necessità storica, fondata essenzialmente, in accordo con la concezione dello Stato della classe allora dominante, su un chiaro conflitto sociale in cui le parti hanno combattuto, a partire dai rispettivi ideali. La sua semantica è “artificiale”, contingente, costruita su valori importanti in un preciso momento storico. Secondo questa stessa linea di pensiero, il STF, responsabile per l’attribuzione di senso alle norme costituzionali, ha condotto ad una nuova visione del principio repubblicano, il cui ripensamento è oggi incoraggiato da chi reclama l’effettività dei diritti sociali7.
Come conseguenza di questo processo storico di lotte politico-sociali, il potere giudiziario – fra i poteri, quello più tipicamente liberale – risulta sotto pressione di fronte a questioni sociali di ogni tipo, sollevate dalle trasformazioni sociali e tecnologiche, ma soprattutto dall’inefficienza delle politiche pubbliche, carenti nel soddisfare perfino le necessità essenziali dei cittadini, e ancor di più deficitarie rispetto alle garanzie per le generazioni future, in particolare nell’ambito dei diritti sociali. A causa di tutto ciò, il potere giudiziario è chiamato ad adottare una nuova postura, la quale spinge anche a ripensare il modello della tripartizione dei poteri.
Del resto, come descritto nella seconda parte di questo lavoro, si discute di ciò all’interno dello stesso STF, allo scopo di ridisegnare un potere nato originariamente per lo Stato liberale, ma che è chiamato ad adattarsi agli obiettivi dello Stato Sociale8 e alle esigenze di una società chiamata costantemente a ripensarsi, come illustrato da Octavio Ianni9.
Tra l’altro occorre osservare che, a differenza della storia recente del Brasile, in cui i cambiamenti politici, sociali e istituzionali sono avvenuti principalmente a causa della volontà e dei comportamenti delle élite economiche e, perché no, di quelle intellettuali, come emerge dalle ricerche di Sérgio Buarque de Holanda, i cambiamenti istituzionali attuali sono causati in gran parte da un numero elevatissimo e sempre crescente di citazioni in giudizio avanzate anche dalle fasce più svantaggiate della popolazione, individualmente o attraverso l’azione di movimenti sociali10.

2. Stato-giudice, diritto e politica

Il senso comune concepisce spesso i giudizi dei magistrati quale prodotto di convinzioni o credenze personali, più che di un ragionamento elaborato e coerente. Così non ci si spiegano certe decisioni inaspettate, che generano proteste, come ad esempio la concessione della libertà a un pericoloso criminale. Chi è esterno al mondo giuridico la considera un controsenso di fronte a una semplice ovvietà: chi ha commesso un reato ed è pericoloso, deve restare in prigione. Le strade vanno “ripulite”.11
Così, quando una determinata norma viene interpretata allontanandosi dalla rigida aderenza alla legge e, come osserva Marcelo Neves, viene inglobata in una “gerarchia aggrovigliata”, accade che il senso di tale processo non venga compreso all’esterno del sistema giuridico, generando proteste e scandalo12.
Al contrario, attraverso una semantica più accurata, tecnica, è possibile identificare il processo di formazione della decisione. Si tratta di un percorso che dal caso concreto, mediante il ricorso a principi universali, giunge alla decisione specifica, che prende forma nella mente del giudice, influenzata costantemente da aspetti etici e giuridici13.
In quest’ottica, seguendo Tercio Sampaio Ferraz Jr., la dottrina giuridica è vista come una tecnica decisionale. È la strada che l’interprete segue fino al momento dell’applicazione della norma al caso concreto. In questo processo, vengono seguite le regole procedurali, tra cui la necessità di giustificare la decisione attraverso la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, che illustrano il ragionamento seguito dal giudicante. Ciononostante, come afferma Ferraz Jr.: “Nel cuore del processo si nasconde il convincimento, non il metodo (motivazione)”. L’autore completa il suo ragionamento dicendo che se così non fosse, sarebbero sufficienti i computer per giudicare, senza dover ricorrere agli uomini. Pertanto, la convinzione del magistrato è in qualche misura un atto individuale, soggettivo, che prende una forma obiettiva al momento della costruzione delle motivazioni14.
Nella moderna democrazia l’opinione della maggioranza è sufficiente per giungere a una decisione. Non si ricorre all’unanimità, ritenuta improbabile. La maggioranza rappresenta il consenso possibile, senza per questo ignorare la minoranza. All’interno del corredo semantico della democrazia, la positività del diritto ha un ruolo centrale: il disaccordo e il conflitto tra il bene e il male hanno un ruolo ben definito. Il confronto sulla strada migliore da intraprendere, o anche la selezione dei valori appropriati, spetta al parlamento. In questo modo i principi vengono positivizzati. Da quel momento, è diritto soltanto ciò che viene stabilito, e che successivamente può essere alterato. Si tratta di un diritto “artificiale”, prodotto della democrazia quale forma di riduzione della complessità sociale: fra le molte opzioni possibili, se ne sceglie una specifica15.
Dunque il diritto si costruisce inizialmente attraverso il consenso della maggioranza, e successivamente le corti “materializzano” la regola generale astratta nella norma concreta specifica, prendendo come punto di partenza le norme approvate dal sistema politico. In questo senso il diritto è autodeterminazione (operativamente chiuso) in quanto funziona solamente sulla base di se stesso, senza influenze esterne dirette. Parallelamente, la Costituzione rappresenta la garanzia per la differenziazione del sistema giuridico: essa costituisce il limite cognitivo per l’apprendimento (apertura cognitiva) tanto del potere legislativo quanto di quello giudiziario16.
Se dunque la politica fornisce al diritto le sue premesse decisionali, non per questo si tratta, in alcun modo, di un rapporto mezzi-fini. Non vi è supremazia di un sistema sull’altro. Di conseguenza, il diritto non si limita ad eseguire quanto la politica dispone, come spiega anche Campilongo17. Il sistema giuridico parte sì dalle premesse decisionali del sistema politico, ma, sulla base del proprio operare specifico, ridurrà la complessità esterna, compiendo una selezione delle diverse interpretazioni possibili e delle relazioni tra le norme – finanche pronunciandosi sulla validità delle norme stesse. La complessità ridotta nel processo legislativo viene elaborata nuovamente nel procedimento giuridico: vi sarà una nuova decisione, che tuttavia non ignorerà le norme approvate in precedenza e la loro forza vincolante18.
Richiamando i concetti di differenziazione delle società e comunicazione specializzata di ogni sottosistema societario (Luhmann), vediamo che il sistema politico si riproduce a partire dalla distinzione governo/opposizione. La sua funzione è quella di produrre decisioni vincolanti per la società. È essenziale dunque capire come ciò avvenga. Il gran numero di scelte possibili accresce la complessità sociale e dunque la contingenza. Di fronte a tale ambiente ipercomplesso, occorre ridurre la complessità compiendo scelte a partire da tante possibili alternative. E questo è esattamente il gioco democratico: partiti che rappresentano i loro elettori discorderanno o concorderanno sui valori, che devono essere trasformati in contenuti giuridici.
Riportando tutto ciò alla logica dicotomica della comunicazione societaria, ci troviamo di fronte alla distinzione fra governo e opposizione. Entrambi agiscono, di regola, in base ad interessi propri, e il confronto parlamentare, attraverso il voto, darà vita a determinate leggi. Il peso da affrontare, a livello cognitivo, è elevato, proprio a causa dell’alto tasso di complessità e contingenza sociali, ma viene ridotto attraverso la decisione. A partire dall’approvazione legislativa di un determinato disegno di legge, il suo contenuto diventerà legge e, conseguentemente, avrà forza vincolante. Per questo motivo, il sistema del diritto ha a che fare con un livello inferiore di complessità: il suo punto di partenza sono delle norme già fissate, positivizzate, da applicare ai casi concreti, con una ulteriore riduzione di complessità, attraverso un’azione ermeneutica che si combina con un’azione interpretativa di natura comunicativa: fatti, regole e principi, come vedremo in breve.
Secondo la teoria della società proposta a partire dalla teoria dei sistemi sociali, è importante considerare il potere quale medium della comunicazione simbolicamente generalizzato, cioè quale mezzo che assicura probabilità di successo alla comunicazione. Nell’ambito dello Stato democratico di diritto, esso consente una comunicazione continua e costante tra i sottosistemi del diritto e della politica, cognitivamente aperti ma operativamente chiusi. La relazione tra politica e diritto deve dunque essere regolata per evitare l’insorgere di casi di “corruzione sistemica” la quale, come illustra Marcelo Neves, produce una sorta di “incrocio” tra potere e diritto che ne nette in pericolo le rispettive strutture. Il mantenimento della loro separazione invece, garantendo la rispettiva autonomia operativa, limita anche i casi di “abuso” di un sistema sull’altro, garantendo in questo modo la realizzazione delle rispettive funzioni, essenziali per la riduzione della complessità ambientale19.

3. Complessità e contingenza sociale nel processo decisionale nel contesto del principio della separazione dei poteri

La complessità comporta la contingenza, sia sul piano sociale generale che su quello giuridico. Mentre aumentano le possibilità di scelta, cresce anche la varietà dei risultati possibili. Oggi si sceglie l’opzione 1, domani, l’opzione 2, ma entrambe sono ugualmente “corrette”. Questa caratteristica è tipica della società moderna, così com...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. 1. Separazione dei poteri, complessità e instabilità sociale
  7. 2. L’azione del Supremo Tribunal Federal nell’ambito diritto alla salute – una lettura pragmatica dei precedenti giurisprudenziali
  8. 3. La “razionalità interpretativa” del Supremo Tribunal Federal nell’ambito del diritto alla salute: simbolica o effettiva?
  9. 4. Risultati della ricerca – il paradosso brasiliano: concretizzazione del diritto alla salute, sistema politico, giustizia distributiva e commutativa
  10. Il punto cieco del sistema
  11. Riferimenti bibliografici
  12. Appendice A – elenco delle decisioni analizzate