Il comportamento magico
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Il comportamento magico

storia, etnologia, psicologia e psicopatologia del fenomeno sociale

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Il comportamento magico

storia, etnologia, psicologia e psicopatologia del fenomeno sociale

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Il Comportamento Magico è una sintesi storico-filosofica e psicologica del fenomeno magico, inteso come tecnica di affidamento e di salvezza, che parte dalla definizione della parola “magia” per descrivere le sue possibili declinazioni in magia bianca, verde, grigia, rossa, nera e blu. Attraverso una carrellata storica, nel tempo, vengono presentate le varie forme e tipologie di magia utilizzate dai popoli, dal più lontano passato fino all’attualità dell’oggi, e sono presi in considerazione gli aspetti più filosofico-teorici del pensiero magico, utilizzato come tecnica pratica di controllo della realtà e come affermazione di potere sul mondo, mettendo in luce la differenza intercorrente
tra magia, religione e pensiero scientifico.
I “comportamenti magici” esprimono tradizioni, usi, costumi, ma anche pregiudizi delle popolazioni, e costituiscono, pertanto, vere e proprie tecniche di sopravvivenza dei popoli, ma anche stati patologici o più direttamente correlati e correlabili a quella che l’Etnologo Ernesto de Martino ha definito, nei suoi studi, “miseria psicologica” di certa gente del Mezzogiorno Italiano. Lo studio condotto propone un’interpretazione finale della magia che, a parere dei due autori del testo, è malattia e cura terapeutica ad un tempo, a seconda di
quale sia l’uso che, del comportamento magico, se ne voglia fare. I riferimenti scientifici, storico-filosofici, etnologici, sociologici e psicologici, agli autori presi in esame, sono plurimi e tutti degni di nota, perché trattasi di lavori prodotti da autorevoli studiosi e da ricercatori di primissimo piano, nelle loro discipline.
Il Comportamento Magico è, per questi motivi, un libro attuale, che si propone al lettore attraverso suggestioni originali e nuove. Da leggere e da conoscere per le svariate possibili chiavi ermeneutiche che suggerisce negli ambiti entro i quali dispiega la sua ricerca.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788884596581

II Capitolo

Il delicato rapporto tra magia e psicopatologia evidenziato da alcuni autori in letteratura-saggistica e filosofia

2.0 Magia e storia in Ernesto de Martino

Ernesto de Martino definisce la pratica della magia «una lotta per la presenza contro il rischio della dissoluzione». Come il mito, essa non distingue tra soggetto e oggetto, che si fondono in una sola realtà, dando luogo alla confusione e alla commistione della parte con il tutto. Il nome diventa una sola cosa con la sua immagine, lungi dall’essere la mera rappresentazione della cosa stessa. La religione introduce invece una separazione delle forme, iniziando a operare una distinzione tra soggetto e oggetto. L’Io si pone in relazione con Dio, cercando di ingraziarsi la sua benevolenza con preghiere, sacrifici ed espiazioni. Si assiste a un passaggio graduale dal primitivo al contemporaneo, in cui si può osservare una derivazione delle forme più evolute da quelle primitive, in epoca storica successiva. Allo stesso modo, la storia ha sostituito la magia, introducendo il nesso di causalità nella spiegazione degli eventi naturali, e superando la fantastica interpretazione dell’immaginazione caotica e vitalistica del pensiero originario. Contro la distinzione delle forme crociane, in arte, filosofia, economia ed etica, de Martino predilige la netta superiorità del momento artistico creativo, perché è propriamente all’arte che fa riferimento il comportamento magico. Il mago, lo Sciamano, non è altro che il “Cristo Magico”, l’eroe della presenza, che sa assumersi la responsabilità della comunità, contro il rischio della sua dissoluzione, prendendo su di sé il nulla come possibilità, e facendolo fiorire nel “ci sono” della presenza e della cura. È il passaggio dalla natura, in cui l’uomo vive senza consapevolezza del suo esistere, alla storia, laddove quella presenza si fa cosciente di sé, unitamente al terrore che l’esistente possa sempre e comunque, da un momento all’altro, dissolversi nel niente. Non si fa fatica a comprendere l’angoscia del nulla, che de Martino59 interpreta attraverso la crisi della presenza e la possibilità, per l’esserci, di dissolversi e sparire, se si pensa che lo studioso approdò a queste conclusioni dopo le tristi vicende della Seconda Guerra Mondiale, con il tremendum che quel conflitto aveva portato sulla scena. I crimini dei lager, dei gulag, delle foibe. Poi la bomba atomica. Tutte le costruzioni umane erano diventate volatili e labili. Strutture di carta pesta che in un solo attimo potevano essere spazzate via per sempre. L’opera antropica, che segna il passaggio culturale dalla natura alla storia, non aveva nulla di compiuto, di definitivo, di assoluto. Ma veniva continuamente e sempre rimessa in discussione, perché labile, volatile, precaria, e destinata a scomparire nel tempo. L’angoscia del nulla, della desertificazione, attanagliavano l’umanità nella morsa gelida dell’orrido che si era appena consumato, col terrore che tutto quel male potesse ancora ripetersi. Il Novecento, il secolo breve dei due conflitti mondiali, e della Rivoluzione Russa, aveva dimenticato la magia buona, la magia bianca. Lo Sciamano, il Cristo Magico, l’Eroe della presenza, si erano dissolti come neve al sole. E adesso si sperava in un nuovo avvento messianico. Solo la magia poteva salvare il mondo dalla follìa stregonesca dell’uomo senza Dio, che pretende nietzscheanamente di sostituirsi a Dio60. L’umanità passava, irreversibilmente, dal mondo del divino al piano della storia, nel quale, per sopravvivere, doveva tornare a inventarsi un mondo nuovo, un futuro possibile61. Così la magia lasciava, pian piano, il suo posto. De Martino studia Croce62, assimilandolo e contrapponendosi, allo stesso tempo, al pensiero del “filosofo napoletano”, come viene definito il pensatore nato a Pescasseroli. Per Benedetto Croce, difatti, la magia è il cominciamento della storia, ed è il suo primo atto nel mondo della natura, come tentativo di affermare la presenza umana contro il rischio della dissoluzione. Perché non vi può essere storia senza magia, che sia completamente fuori dalla natura, dal momento che bisogna presupporre quest’ultima per il verificarsi successivo dell’accadimento dei fatti veri e reali che quella significa e rappresenta63. Anche in de Martino la magia è sostanzialmente il primo atto della storia deputato a sconfiggere la paura della dissoluzione e la crisi della presenza dell’umanità totalmente immersa nella natura. In quanto tale, il comportamento magico intende riaffermare la presenza umana nella storia, che vuole orientare e dirigere, e alla quale non lascia lo spazio per soccombere. Il mago qui è evidentemente interpretato come l’homo faber, autore del suo proprio destino, non succube, ma dotato di capacità di azione e di intervento pragmatico sul mondo. Egli è l’assolutamente umano, che cambia, modifica, ordina e organizza la realtà esterna, in modo intelligente e adattivo all’ambiente. La magia e la religione con i loro riti esorcizzano il rischio dell’assenza e della scomparsa umana dalla scena del mondo. Compito identico lo avranno successivamente la scienza e la tecnica. Ma anche l’economia con la ricerca dell’utile, secondo l’insegnamento crociano della dialettica dei distinti nelle quattro forme dello spirito. Perché per il neoidealista la storia è sempre e comunque Storia dello Spirito. Per de Martino invece, che è studioso e seguace di Marx, non esiste storia senza prassi. E la storia è il luogo in cui si concretizza l’esistenza, che va oltre la natura e costruisce la cultura. Ed è proprio l’economia, nella interpretazione storiografica di tipo marxiano che ne fa de Martino, ad avere la meglio sulle altre forme dello spirito, arte, filosofia ed etica, della dialettica crociana dei distinti. Perché la storia per Marx è prassi e lavoro, in quanto è storia dei rapporti economici, e non si dà se non dentro il materialismo storico e nel materialismo dialettico della lotta di classe. Così, le quattro forme dello spirito della dialettica crociana, arte, filosofia, economia ed etica, esorcizzano, al pari della magia, della religione con i suoi miti, della scienza e della tecnica, la paura di sparire dalla scena esistenziale del mondo. La paura che genera l’idea che il mondo possa finire. E riaffermano con forza la presenza umana, attraverso i segni culturali che l’umanità in cammino disegna nella sua storia, nell’intento di dominare l’imprevedibilità della natura. Già Kant64 studiava la metafisica come umana necessità della ragione di dare una spiegazione e offrire un senso al mondo65. E Heidegger66 sosteneva che l’esistenza autentica non è quella che si vive nel “si dice” della chiacchiera, ma è quella che si attualizza nell’incontro dialogante e dialogato con l’altro esserci, con il quale si condivide umanamente l’essere per la morte, cioè la finitezza storica dell’esserci, e del suo stare al mondo. Per de Martino, il passaggio dalle forme esistenziali obnubilate e ambigue, che attraversano i percorsi della magia e della religione, fino alla coscienza certa della presenza umana, che riafferma se stessa nella costruzione culturale del mondo esterno, non è possibile se non passando attraverso la storia, vissuta come dovere imprescindibile di tutta l’umanità, che vuole continuare a essere presente, nonostante la catastrofe del secolo breve, per esorcizzare il rischio, sempre incombente, della dissoluzione e dell’assenza. Difatti, se ci si ferma all’interpretazione primitiva del mondo, vissuto attraverso l’atavico animismo magico, si rischia di scivolare nella patologia schizofrenica che separa i fatti e gli eventi, spiegandoli sommariamente ed estrapolandoli dalle loro effettive cause reali. Mentre soltanto la comprensione storica del mondo costruisce il significato culturale su quello estemporaneo e deterministico della natura, testimoniando la libertà individuale e collettiva nell’agire responsabile e pragmatico. L’umanità imprime, nella storia, un senso orientato all’andamento lineare e ordinato del tempo, dalla necessità del passato, alla possibilità del presente, fino all’azione progettuale orientata verso il futuro, inserendo il nesso causale dentro la lettura dei fatti, e riaffermando il dovere della presenza, contro la desertificazione e la vuota possibilità dello spettro del nulla. Ma è ancora possibile, attualmente, scrivere una storia della magia? Della magia si può e si deve fare storia — risponde de Martino67. Ma il punto focale della questione, per comprendere il fenomeno magico, non è tanto insito nella contestualizzazione culturale dell’evento, quanto piuttosto si concentra nell’attitudine, del nostro etnologo, a estrapolare dalla localizzazione culturale, e geografico-territoriale, quelle caratteristiche della magia lucana che la rendono un elemento tipico della mentalità collettiva, e del comune sentire, del Regno di Napoli, e del Mezzogiorno italiano, sebbene poi, ogni epoca storica, e ogni luogo geografico, abbiano le loro evidenti manifestazioni di cultura popolare, differenti le une dalle altre. Un tratto condivisibile della mentalità magica è, ad esempio, la superstizione religiosa, tipica di un certo paganesimo di fondo, delle origini, che potrebbe indurre a propendere per una laicità pagana intrinseca alla mentalità contadina del Sud. Tale paganesimo sarebbe espressione della ritualità formale, e tutta esteriore, degli stessi culti religiosi dei fedeli cattolici. E si manifesterebbe nel verificare che molti riti sacramentali, uno per tutti il Battesimo, vengono ritenuti comunemente una forma tipica di rituali beneauguranti, apotropaici e propiziatori. Vi sono, poi, dei rituali tipici, di città e luoghi geografici, che connotano la dimensione culturale e spirituale, segnando alcuni territori in modo del tutto particolare. Come il caso della città di Napoli e della jettatura.

59 Cfr. E. de Martino, Il Mondo Magico, Torino, Boringhieri 1973, pag. 189 e seg.
60 La modernità è segnata dalla morte di Dio, dalla fine di ogni morale, di ogni possibilità umana, di ogni riconoscimento reciproco nella società, decretando l’avvento della ghettizzazione dell’ebreo, del folle, dell’eremita, dello stregone, e l’emarginazione dello spirito libero – che rifiuta la morale generalmente accreditata. La definizione del tempo storico passa adesso attraverso la trasvalutazione di tutti i valori, nella conversione dalla morale degli schiavi a quella aristocratica e cavalleresca dei signori. Perché la morte di Dio, la fine di ogni religione, l’inizio dell’ateismo di necessità, segnano irreversibilmente, nella storia umana, anche un punto di non ritorno. Il deicidio, il crimine peggiore, è stato compiuto. E con la morte di Dio giunge anche l’alba di una nuova epoca, segnata dal nichilismo, dal vuoto assoluto, dalla fine di tutti i valori, dalla dissoluzione della morale.
61 Nietzsche orienta la progettazione del Post Mortem Dei attraverso la trasvalutazione di tutti i valori, che passava per la morale aristocratica dei signori, del dire di sì alla vita, alla gioia, alla salute, alla bellezza, alla forza e alla vendetta.
62 Benedetto Croce, sostenitore dello storicismo assoluto, interpreta tutti i fatti umani come storia, ma sempre hegelianamente intesa come storia dello spirito. Facendo una distinzione tra la storia passata, che è il regno della necessità, e la storia presente e futura, come luogo della possibilità e dell’apertura. Se, però, de Martino distingue nettamente la storia dalla magia dei primitivi, facendo derivare quella da questa, e aggiungendovi il nesso di causalità, in Croce non esiste un’opposizione così netta ed evidente tra la magia, come luogo delle possibilità e dell’apertura, in cui tutto può accadere, senza necessariamente dover avere una spiegazione razionale, e la storia, come regno nel quale quelle infinite possibilità si sono ormai concretate, nel nesso causale, diventando perciò assolute e necessarie.
63 Stride, con questa concezione della magia dei primitivi, come presupposto della storia umana, e suo atto primo, l’interpretazione del comportamento magico come patologico sintomo di un disturbo di adattamento e di disagio mentale, dalle forme più lievi a quelle più gravi delle psicosi schizofreniche, che hanno al centro del loro essere la paura della dissoluzione e il rischio della presenza. Eppure, sia Hegel, che Freud, come lo stesso Croce, erano sostenuti dall’idea che il comportamento magico evidenziasse lo stato di una condizione patologica della mente umana.
64 Vedi il Kant del periodo critico, autore della Ragion Pura (1780), della Ragion Pratica (1788) e della Critica del Giudizio (1790).
65 Anima, mondo e Dio non hanno, difatti, alcuna valenza conoscitiva di tipo scientifico, né la loro realtà è dimostrabile alla stregua di un teorema di matematica, eppure, sosteneva il filosofo tedesco, era necessario, per la mente umana, credere nelle tre idee di ragione, per un innato bisogno di ordine, per arginare il caos, per riaffermare la presenza dell’esserci.
66 Cfr. Heidegger, Essere e Tempo, Milano, Longanesi 1976, pag. 263 e seg.
67 Vedi E. de Martino, Sud e Magia, Milano, Feltrinelli Editori 1959.

2.1 Il magico Sud

In Sud e Magia di Ernesto de Martino, pubblicato per la prima volta nel 1959, l’autore si occupa prevalentemente di studiare e rappresentare le forme della magia lucana, nel meridione italiano, partendo dall’...

Indice dei contenuti

  1. Pagina di servizio
  2. Ringraziamo
  3. Dediche
  4. Introduzione
  5. — Amore, dimmi qualcosa di bello —, chiese lei. — (∂+m)ψ=0 —, rispose lui
  6. I Capitolo
  7. II Capitolo
  8. III Capitolo
  9. IV Capitolo
  10. Bibliografia
  11. Gli Autori
  12. Il "Comportamento Magico" è un libro attuale perché...