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Fantascienza - romanzo breve (85 pagine) - Caro Wolfgang, non oltrepassi quella siepe

Poco prima della fine della sua permanenza milanese, il diciassettenne Wolfgang Amadeus Mozart viene chiamato dal conte massonico Gennati per musicare l'inno Tu Sole Vivifico. Ospitato nella residenza del conte, a Mozart viene offerta ogni libertà eccetto una: non oltrepassare la siepe che tiene nascosta l'altra ala del giardino. La giovane curiosità porterà Mozart a fare una scoperta da fare tremare le vene e i polsi. I misteri del giardino di Gennati condurranno l'artista ad affrontare una verità inimmaginabile, rivelando i pericoli insiti nella violazione delle leggi della natura.

Mario Luca Moretti è nato a Milano nel 1968. Laureato in Lingue e Letterature Straniere, lavora come operatore aeroportuale a Malpensa dal 1999 al 2007 e a Linate dal 2007. Sposato, vive in provincia di Milano. Appassionato fin da bambino di fantascienza e fantastico, ma anche di cinema, dal 2016 collabora a vari blog, come Andromeda, La Zona Morta, Nuove Vie e Cose da Altri Mondi, per i quali ha scritto articoli, recensioni, racconti e traduzioni.

Insieme a Giovanni Mongini ha scritto il libro Dietro le quinte del cinema di fantascienza (Edizioni Della Vigna 2018, Scudo Edizioni 2021), diviso in tre volumi, il primo dei quali è stato finalista al Premio Italia 2019 e al Premio Vegetti 2020. Sole Vivifico è il suo primo romanzo breve.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788825417685
Argomento
Literatur

1.

Il serpente fissò il volto di Wolfgang tenendo la testa erta sul suo corpo arrotolato. Poi guizzò in avanti. La testa si avventò sulla mano sinistra di Wolfgang, conficcando i denti nella carne fra il pollice e l'indice. Il ragazzo gridò per il dolore e lo spavento, si drizzò in piedi, barcollò all'indietro e poi ruzzolò a terra, trascinando con sé il serpente, che non aveva mollato la presa. Il giovane gridò ancora, inorridito da ciò che vedeva penzolare dalla sua mano. Il corpo del serpente sciabolava impazzito nell'aria.
All'improvviso, Wolfgang sentì una specie di gracidio sopra di sé. Alzò la testa di scatto e vide l'ibis rosso calare come una freccia verso il basso. "Verso di me", pensò Wolfgang.
L'ibis invece puntò dritto sul serpente. Gli chiuse il collo col becco. La bocca del rettile si spalancò come azionata da una molla, liberando la mano di Wolfgang, da cui schizzarono due fiotti di sangue.
L'uccello trascinò la serpe a terra e la tenne schiacciata: una zampa sulla coda, un'altra sul tronco e il becco avvinghiato al collo. Fra i due scoppiò una lotta furiosa. Il rettile cercava continuamente di alzare la testa per mordere l'ibis, ma questi non allentava la sua stretta. Wolfgang guardava quella scena rapito e incredulo, ma una fitta improvvisa e acuta dalla mano già dolorante lo distrasse, facendogli mandare un altro grido. La zona morsa s'era gonfiata ed aveva un colore livido. I due buchi pulsavano e mandavano dei sottili ma continui rivoli di sangue. Guardò di nuovo i due animali. La zampa sinistra dell'ibis stava tagliando la coda della sua preda come una sega, e alla fine questa si staccò. La mutilazione della coda non bastò ad uccidere il serpente, la cui testa continuava ad agitarsi nel disperato tentativo di liberarsi. Il becco affondò sempre più nella carne del serpente, finché anche la testa non si separò dal corpo. L'ibis, come soddisfatto del lavoro, si alzò da terra e riprese il suo volo. Ma Wolfgang non lo guardò librarsi. Continuò invece a fissare i tre pezzi che si agitavano spasmodici, allontanandosi sempre più uno dall'altro. Nemmeno la morte era riuscita a placare la frenesia del serpente.
Una debolezza improvvisa e crescente avvolse il ragazzo. Anche la sua vista cominciò ad offuscarsi. Dai tre tronconi vide uscire dei brevi lampi che emettevano dei nervosi sfrigolii. “Sto impazzendo?” si chiese Wolfgang, “o sto morendo? Prima di morire si delira? Si hanno allucinazioni? San Carlo proteggimi. Ho paura, non lasciarmi.” Con la mano sana cercò la medaglietta di San Carlo Borromeo che aveva al collo ma non la trovò. I tre pezzi, che ora gli sembravano sei, come due i cespugli da cui era schizzato il serpente, sembrarono quietarsi, ma continuavano a lampeggiare.
– Amedé, come stai? – Una voce femminile e familiare gli ridiede una breve lucidità. Anche la vista migliorò, le immagini si stabilizzarono. Wolfgang girò la testa verso la voce. Era Mirza, come aveva pensato. La sua testa avvolta nella cuffietta di domestica coprì tutta la sua visuale. Wolfgang colse nitidamente la sua espressione ansiosa. – Stai sanguinando… – aggiunse la ragazza, con quella sua cadenza armonica e modulata che lasciava ammirato l'orecchio esperto di Wolfgang. Il ragazzo con sollievo realizzò che la vista e l'udito avevano ripreso a funzionare alla perfezione. Ma fu solo per un breve attimo. Poi svenne.

2.

Due giorni prima, Wolfgang Amadeus Mozart fu colpito dal simbolo sullo sportello della carrozza che era venuta a prenderlo: una G chiusa in un rombo formato da quattro rose disposte in modo tale che i quattro boccioli indicassero i punti cardinali. Era il simbolo della famiglia dei conti Gennati. L'ultimo rampollo della casata, il conte Ignazio, lo aveva invitato su esortazione di un comune amico, il dottor Franz Anton Mesmer.
A Milano, dove aveva soggiornato sei mesi, aveva trovato ad aspettarlo la carrozza con la G, come si aspettava, e ci era salito fiducioso, ansioso di svolgere l'incarico per il quale il conte lo aveva convocato e di conoscere il conte stesso.
Cinque anni prima, nel giardino della tenuta del dottor Franz Anton Mesmer si era svolta la prima di Bastian und Bastiane, un singspiel composto dallo stesso Wolfgang: una piccola e breve opera con solo tre cantanti, la storia di un amore contrastato fra due pastori quasi omonimi, salvato dall'intervento di un mago. Mesmer era un buon amico del padre di Wolfgang, Leopold, e ad entrambi il padrone di casa aveva parlato di un suo amico lombardo, il conte Ignazio Gennati, che aveva interessi in comune sia con il giovane Mozart che con Mesmer stesso. Infatti se da una parte Gennati era un suonatore dilettante di flauto e cembalo, dall'altra era uno scienziato che studiava le proprietà curative del magnetismo: lo stesso tipo di studi che aveva dato fama e prestigio a Mesmer.
Ma tra Mesmer e Gennati c'era un altro legame, spiegò Mesmer: entrambi erano fratelli della Libera Muratoria di Rito Scozzese. Massoni.
– So che siete entrambi interessati a conoscere la nostra Fratellanza – disse Mesmer ai due Mozart. – Tu, Wolfgang, sei troppo giovane per farne parte, ma abbastanza cresciuto per conoscere i nostri ideali e i nostri scopi. E i nostri riti. Questo mio amico ha scritto un inno che vorrebbe mettere in musica. Il tuo talento di compositore ti ha già reso famoso in tutto l'impero. Potresti scrivere tu la partitura di quell'inno.
Passarono però anni prima che questa proposta si concretizzasse. Sapendo che Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart avrebbero trascorso un lungo periodo a Milano, arrivò l'invito del conte Ignazio Gennati, con cui si chiedeva al diciassettenne Wolfgang di trascorrere il periodo finale di questa visita nella sua villa di Vignano, una località sulle colline dell'Alto Milanese. Lo scopo era conoscere l'illustre giovane e incaricarlo di mettere in musica l'inno poetico del conte, intitolato Tu Sole Vivifico.
Leopold approvò la cosa: un conte lombardo era un buon appoggio. Wolfgang era ormai di casa in Italia. Leopold puntava sulla corte imperiale, e Milano restava una buona sponda d'appoggio. Leopold era più scettico sul fatto che il suo Wolfgang frequentasse gli ambienti massonici. Certo, i massoni erano di solito persone influenti, ma non gli piaceva il fatto che praticassero riti strani, forse magici, e ancor meno gli piaceva la loro segretezza e chiusura, ma se serviva alla carriera di suo figlio… Così, a fine marzo 1773, i due Mozart si erano separati: Leopold era ripartito per Salisburgo, Wolfgang per Vignano.
E quindi Wolfgang Amadeus Mozart, giovane prodigio musicale la cui fama si espandeva non solo nell'Impero Asburgico, ma ormai in tutta Europa, insieme all'ammirazione per le sue sempre più celebri melodie sinfoniche e liriche, soddisfatto per il successo della sua opera Lucio Silla, che aveva da poco chiuso le sue repliche al Teatro Ducale di Milano, si accingeva a varcare il cancello di villa Gennati. La residenza si trovava in cima a una bassa collinetta boscosa, alla fine del villaggio. Affacciandosi dal finestrino, Wolfgang vide lo splendido giardino terrazzato che sovrastava la villa vera e propria, ponendosi in diagonale ad essa. Wolfgang contò quattro terrazze, ognuna decorata con vasi di rose e piccole statue di putti.
Varcato il cancello, la carrozza fece una breve salita, passando per il cortile antistante la casa, composto da quattro piccoli spiazzi verdi che formavano un incrocio con una piccola rotonda. La carrozza si fermò nella rotonda. Fermi nel sentiero che portava all'ingresso della villa c'era una coppia in piedi. I padroni di casa, pensò il ragazzo.
Il cocchiere aprì lo sportello della carrozza. Wolfgang scese mentre la coppia gli si avvicinava. L'uomo aveva già la mano tesa. La sua corporatura era imponente, in parte per la sua altezza, in parte per amore della buona tavola. A differenza di Wolfgang non portava la parrucca ed era calvo, ma sotto il cranio lucido esibiva una folta barba precocemente grigia per i suoi quarant'anni, lunga fin quasi al petto.
– Herr Mozart, che onore averla in casa nostra! – esclamò. – Sono il conte Ignazio Gennati, e questa è mia moglie, la contessa Astrid. – Parlava in tedesco con un forte accento lombardo. Le loro mani finalmente si strinsero. La presa di Gennati era ben salda. – L'onore è solo mio – rispose in italiano Mozart – ma vi prego, parlate con me in italiano. Ormai lo parlo bene, sono di casa a Milano, ma un po' di esercizio non guasta mai.
La stretta di mano del conte fu stranamente lunga… e insolita. Il conte appoggiò il suo pollice sulla membrana della mano di Wolfgang, premendo forte e facendo fare alla stessa mano una torsione verso destra. Poi si staccò.
– Il mio tedesco è molto peggio del suo italiano, Herr Mozart – esordì la contessa Astrid. – Ormai sono almeno 10 anni che non vedo la mia Prussia, e non so se riusciremmo a parlare in tedesco – disse la nobildonna in un italiano dalla cadenza un po' meccanica. Il suo sorriso era caldo e gioviale mentre tendeva la mano destra per il rituale baciamano. Era una donna di età indefinibile, ma dal volto attraente e con la pelle come seta, eccezionalmente liscia, il suo fisico aveva un delicato equilibrio di forme, dove nulla sembrava piccolo o grande, né vistoso. I capelli erano di un biondo intenso, tipicamente nordico, come l'azzurro dei suoi occhi.
Rialzatosi dall'inchino, Wolfgang replicò: – La sua ospitalità mi ripagherà di qualunque problema di lingua, contessa. Ma vi prego, chiamatemi Wolfgang, mi farà sentire più a mio agio.
– Faccio strada, Wolfgang, così le mostro la villa e la sua stanza. – Guardando le due borse da viaggio già prelevate dal domestico, aggiunse: – Vedo che lei viaggia leggero, meglio così.
Prima di varcare la soglia, Wolfgang diede un ultimo sguardo alle terrazze. Rimase colpito dal verde smagliante dei loro prati, ma anche dall'armonia quasi geometrica delle loro forme, dal senso di pace, di equilibrio che emanava dalla loro posizione a salire. Come il tentativo di ricreare in casa quella serenità tipica di un paesaggio collinare, cercando persino di abbellirlo – o meglio di farlo proprio, di rinchiuderlo – con quelle linee, con quelle sculture.
Entrando, Wolfgang e i suoi ospiti passarono sotto un porticato che dava in un altro cortile. Davanti ad ogni colonna del porticato c'era una finestra sormontata da una decorazione dipinta. Wolfgang, com'era tipico di lui, spostava lo sguardo ovunque potesse, scrutando e memorizzando quanti più particolari possibili. Riuscì però a vedere con chiarezza solo il dipinto più grande, quello sopra l'ingresso appena varcato. Raffigurava una donna alata, vestita di bianco e contornata di stelle, che reggeva con aria sognante una grande spiga di grano. Essendo un operista era esperto di mitologie, ma gli ci volle qualche momento di riflessione prima di riconoscere in lei il segno zodiacale della Vergine.
Girando a destra la piccola comitiva entrò in una porticina e salì due rampe di scale. I quattro entrarono così in un lungo corridoio dal soffitto squadrato e dalle pareti affrescate. In un angolo all'entrata Wolfgang scorse la statua in bronzo di una figura che riconobbe come Giano Bifronte.
– La sto conducendo alla sua stanza – spiegò Ignazio. – Il riposo sarà senz'altro la sua prima necessità. Si svegli con comodo. Poi mia moglie e la nostra domestica l'accompagneranno a visitare il resto della villa.
La stanza degli ospiti era in fondo a quel corridoio.
Il domestico appoggiò le valige a terra ed aprì la porta, entrando per primo. Wolfgang lo seguì e si soffermò a scrutarla, mentre il domestico portava le borse all'interno.
La camera era ben arredata. Contro la parete era appoggiato un letto a baldacchino. La cima del letto era sovrastata da un falco in legno, dal quale pendevano le tende gialle che ricadevano sulle quattro testiere del letto, legate ad essi da quattro cordoni viola.
Dal soffitto a cassettoni pendeva un piccolo ma prezioso lampadario in cristallo. Sulla parete a sinistra del letto era appeso un quadro che mostrava il profeta Elia mentre sale in cielo sul carro di fuoco. Ai suoi lati due specchi. A sinistra del quadro, vicino alla porta, un camino, spento al momento. Sul muro a destra del letto si apriva invece una finestra. Sotto il quadro e a destra del letto c'erano due comodini con delle candele. Sempre alla destra del letto due piccoli quadri. Ancora più a destra uno scrittoio con una sedia.
– Spero sia di suo gradimento – disse la voce della contessa alle spalle di Wolfgang, distraendolo dal suo esame. – Certamente, contessa – rispose il ragazzo regalandole un sorriso smagliante – e voi sarete senz'altro degli impagabili padroni di casa.
Rimasto solo, Wolfgang si slacciò la giacca e la camicia, continuando a ispezionare la stanza. Si avvicinò ai due piccoli quadri sopra il comodino. Uno, di forma verticale, rappresentava San Carlo Borromeo in preghiera. Wolfgang ne fu lieto: era molto devoto a quel santo e portava sempre una sua medaglietta al collo. Il quadretto di sotto invece era di forma orizzontale e mostrava un sole luminoso da cui si dipanavano sette raggi, ognuno dei quali terminava con una stella. Wolfgang decise che era troppo stanco per chiedersi cosa significasse e si preparò per dormire.

3.

La sala da pranzo era sobria ma elegante, con le sue pareti dal tenue e rilassante color ocra, e con quegli arazzi appesi alle pareti. La tovaglia candida aveva dei fini ricami di pizzo. Le sedie in broccato riproducevano il tema delle quattro rose a rombo, ma invece della “G” al loro interno c'erano le lettere iniziali degli antenati di Ignazio, come lui stesso aveva appena spiegato. I commensali erano solo tre: i conti Gennati e Mozart.
Lo sguardo indagatore di Wolfgang si stava soffermando sull'arazzo alla sua destra. Mostrava un pastore addormentato su una roccia, mentre una figura femminile, forse una fata, si chinava su di lui allungando una pudica mano.
– Le presento la servitù, ora – disse il conte richiamando la sua attenzione. Wolfgang non s'era accorto dell'arrivo di due persone al suo fianco. Un uomo e una giovane donna che reggevano i piatti con gli antipasti.
– Conosce già Stratos, era con noi questo pomeriggio. – Infatti era il valletto che aveva pagato il cocchiere e aveva portato le borse di Wolfgang. Era un omone calvo e alto come il suo padrone, grande e grosso, dall'aspetto impressionante, con un volto i cui muscoli e la cui pelle sembravano tesi come tamburi. Indossava una tipica livrea scura da domestico. Wolfgang realizzò che, se quel pomeriggio non aveva dato la minima attenzione ad un uomo così imponente, significava che davvero l'ambiente aveva catturato tutta la sua attenzione!
– È greco, ma vive in Lombardia fin da bambino. Lavora con la mia famiglia da quindici anni ed è fidatissimo. La ragazza si chiama Mirza. È un'orfana, la mia famiglia l'ha accolta da bambina e devo dire che l'abbiamo educata molto bene. È un'ottima domestica e una ragazza dalle mille virtù. Se e quando si sposerà, le abbiamo già garantito una buona dote.
Wolfgang le sorrise. Era una ragazza mora dall'aspetto mediterraneo, alta, formosa al punto giusto. Il sorriso che mandò al ragazzo era caldo, amichevole, espansivo. La sua camicia aveva una scollatura che non si poteva definire generosa ma che faceva vedere abbastanza curve da accendere la fantasia di un diciassettenne. Ma ancor più di quello fu il suo viso che rapì l'attenzione di Wolfgang. Era un viso dalle proporzioni perfette: dalla fronte al mento tutti i tratti del suo viso formavano un equilibrio e un'armonia unici. La sua fronte liscia e spaziosa terminava nelle curve simmetriche delle sopracciglia e degli occhi, scuri e profondi, gli zigomi lievemente inclinati racchiudevano un naso dalle curve dolcissime, le cui narici ondulate erano riprodotte dalle pieghe sinuose delle sue labbra, morbide senza essere carnose, e le sue guance si inclinavano e chiudevano in un mento affusolato, e con una leggera inclinazione sulla sinistra: era questa l'unica imperfezione del suo viso, ed aggiungeva un'ombra sardonica e irriverente al suo sorriso dolce e appena accennato. Da sotto la sua cuffia da cameriera scendevano due cascate di riccioli bruni e folti. A Wolfgang sembrarono una degna cornice di tanto quadro.
Stratos si limitò ad un cortese cenno del capo. Wolfgang si ricordò che non aveva detto una parola neanche al momento del suo arrivo. Che fosse muto?
– Siamo qui per servirla, signor Mozart – disse Mirza.
– Le tue forme hanno la perfezione di un violoncello – le rispose Mozart. – Violoncellotta ti chiamerò! – E ammannì quel suo sorriso infantile e bonario col quale riusciva sem...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. 1.
  3. 2.
  4. 3.
  5. 4.
  6. 5.
  7. 6.
  8. 7.
  9. 8.
  10. 9.
  11. 10.
  12. 11.
  13. 12.
  14. 13.
  15. 14.
  16. 15.
  17. 16.
  18. 17.
  19. 18.
  20. 19.
  21. 20.
  22. 21.
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