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Pius PP. XII, ALLOCUTIO ad E.mos PP.DD. Cardinales, in festo S. Eugenii I PP., Beatissimo Patri fausta ominante, 1 Iunii 1946, in «Actae Apostolicae Sedis», XXXVIII, 1946, pp. 257-258.
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Per i prigionieri e gli espatriati
Ed ora, Venerabili Fratelli, dopo di aver gustato con voi la intimità di questa ricorrenza festiva, come potremmo lasciarvi sena rivolgere il Nostro pensiero a tanti e tanti altri Nostri figli, che la guerra e il dopoguerra privano già da lunghi anni di ogni gioia familiare. A loro i giorni di festa, gli anniversari domestici fanno sentire, anche più dolorosamente che negli altri dì, l’amarezza dell’esilio. Intendiamo di parlare dei prigionieri di guerra e internati civili; poi di coloro che, dopo di essere stati spogliati, talvolta fino all’ultimo centesimo, dei loro risparmi, sono stati scacciati dalla casa e dalla terra nativa; e di quelli infine, soli o in gruppi randagi, a cui non basta l’animo di far ritorno alle loro antiche dimore (in verità, nelle circostanze presenti, non più tali per loro), e che cercano ansiosamente di crearsi altrove un nuovo focolare.
Noi abbiamo già anche recentemente parlato di loro nel Nostro; ultimo Messaggio natalizio e nel discorso al Corpo diplomatico riunito intorno a Noi nel passato febbraio. Ben volentieri certamente riconosciamo che, nei mesi testé trascorsi, importanti contingenti di prigionieri di guerra sono stati rimpatriati. Se dunque oggi nuovamente discorriamo di queste centinaia di migliaia di uomini, trattenuti ancora in prigionia, e degli infelici senza patria né tetto, è perché Ci sentiamo a ciò spinti dalle innumerevoli suppliche che implorano il Nostro intervento e perché un tale stato di cose richiede imperiosamente un soccorso urgente ed efficace.
Per i prigionieri di guerra quelle molteplici e pressanti invocazioni Ci pervengono da ogni classe sociale. Sono madri che aneli di riavere il figlio lontano; sono spose che non possono più oltre sostenere il peso delle necessità familiari gravante sulle loro del e ormai consunte forze; sono figli che invano attendono il confortante sorriso e il valido aiuto del padre, che li formi e li prepari al; aspre esigenze della vita. Comunità di cittadini e autorità pubbliche domandano il ritorno della gioventù, che è la forza migliore per poter iniziare e sviluppare quell’opera di ricostruzione dei propri Paesi, alla quale è connessa la generale restaurazione della società delle genti.
Fra quei prigionieri alcuni, giovanissimi, arruolati in massa immediatamente prima della fine della guerra, si son visti, senza aver mai maneggiato un fucile, gettati in un campo di concentramento. Degli altri, ancora assai numerosi, non pochi, da ben sette anni lontani dal loro paese, ne hanno passati forse già cinque o sei languendo in cattività o trascinando miseramente la vita nelle squadre di lavoro. Noi non ignoriamo che i freddi testi del diritto internazionale non obbligano il vincitore a liberare i prigionieri che dopo la conclusione della pace. Ma i bisogni spirituali e morali dei prigionieri stessi e dei loro congiunti, che si vanno aggravando di giorno in giorno, i diritti sacri del matrimonio e della famiglia, gridano al cielo più altamente e fortemente che tutti i testi giuridici, ed esigono che si ponga alfine un termine al regime dei campi di prigionia e di concentramento. Che se l’uno o l’altro degli Stati vincitori, per motivi di ordine economico, stimasse di non poter rinunziare alle braccia di quei lavoratori, sarebbe ben da considerarsi se un tale vantaggio non verrebbe egualmente o anche meglio assicurato, sostituendoli con uomini liberi del paese stesso dei prigionieri a condizioni giuste e umane di disciplina e di lavoro.
Non Ci è nemmeno ignota un’altra difficoltà più volte addotta per giustificare i dolorosi indugi dei ritorni in patria, vale a dire la scarsezza di naviglio e le impellenti necessità di altri trasporti; non possiamo tuttavia non auspicare che la pietà umana e la saggezza civile, per cui i rimpatri devono a tutti stare a cuore, abbiano a primeggiare sopra altri calcoli ed interessi, anche legittimi, e sappiano suggerire gli opportuni espedienti per combinare la restituzione dei prigionieri, dislocati oltremare, ai loro focolari con le esigenze dei traffici postbellici.
Quanto poi alle altre due categorie di espatriati o altrimenti costretti a dimorare lungi dalla loro terra, talvolta in regioni che hanno già una popolazione superiore a quella che in tempi normali la loro agricoltura e la loro industria potrebbe nutrire, sarebbe necessario di provvedere alla collocazione di quegli infelici nei paesi d’oltremare e Noi abbiamo ferma fiducia che gli Stati e paci di accoglierli non mancheranno di aprir loro le porte e di compiere così un’opera di tanto alta e cristiana carità.
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* Die 1 mensis Iunii a. 1946.
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Pius PP. XII, CONSTITUTIO APOSTOLICA De spirituali emigrantium cura [ Exsul Familia], Arce Gandulphi, apud Romam, anno Domini millesimo nongentesimo quinquagesimo secundo, die prima mensis Augusti, in «Actae Apostolicae Sedis», XXXXIV, 1952, pp. 649-704.
PIUS EPISCOPUS
SERVUS SERVORUM DEI
Ad perpetuam rei memoriam.
Exsul Familia Nazarethana Iesus, Maria, Ioseph, cum ad Aegyptum emigrans tum in Aegypto profuga impii regis iram aufugiens, typus, exemplar et praesidium exstat omnium quorumlibet temporum et locorum emigrantium, peregrinorum ac profugorum omne genus, qui, vel metu persecutionum vel egestate compulsi, patrium locum suavesque parentes et proprinquos ac dulces amicos derelinquere coguntur et aliena petere.
Decreverat enim omnipotens et misericors Deus ut consubstantialis Filius «in similitudinem hominum factus et habitu inventus ut homo» [1] , una cum Virgine Immaculata Matre pioque Custode, in isto quoque aerumnarum ac merorum genere primogenitus esset in multis fratribus [2] eosque anteiret.
Quae solaminis in adversis argumenta et exempli prolationes ne elanguescerent sed potius in exsulibus ac emigratis producerent unum in laboribus confugium spemque christianam foverent, oportuit peculiari cura sedulaque adsistentia ab Ecclesia ipsi donarentur, qua morigerae vitae aleretur praxis et integra servaretur a maioribus tradita fides; insimul novi generis obstaculis apud exteras regiones ingruentibus, antehac haud cognitis nec praevisis, paria opponerentur remedia et apta suppeditarentur auxilia, praesertim adversus insidias pravorum hominum, impie, proh dolor, quaeritantium emigratorum consuetudinem potius ad spiritualem ipsorum ruinam quam ad materialem eorumdem utilitatem.
Quantae vero angoris causae exstitissent immo et exstarent si huiusmodi evangelicum ministerium defecisset aut deficeret! Gravius enim dolendum foret quam tristibus divi Augustini temporibus cum Hipponensis Episcopus sacerdotes enixe hortabatur ne, prementibus calamitatibus, gregem ullo modo sine pastore derelinquerent bona, si cum ovibus permansissent, futura ostendens, mala autem, si defuissent, certa praedicens: «Ubi si ministri desint, quantum exitium sequitur eos, qui de isto saeculo vel non regenerati exeunt vel ligati! quantus est etiam luctus fidelium suorum, qui eos secum in vitae aeternae requie non habebunt! quantus denique gemitus omnium, et quorumdam quanta blasphemia de absentia ministeriorum et ministrorum! Vide quid faciat malorum temporalium timor, et quanta in eo sit acquisitio malorum aeternorum. Si autem minitri adsint, pro viribus quas eis Dominus subministrat, omnibus subvenitur: alii baptizantur, alii reconciliantur, nulli Dominici corporis communione fraudantur, omnes consolantur, aedificantur, exhortantur, ut Deum rogent, qui potens est omnia quae timentur avertere» [3] .
TITULUS PRIMUS
DE MATERNA ECCLESIAE IN EMIGRANTES SOLLICITUDINE
I
Sancta igitur Mater Ecclesia, impenso animarum amore compulsa, partes universalis salvifici mandati sibi a Christo concrediti implere contendit, curam praesertim spiritualem etiam de peregrinis de advenis, de exsulibus, de emigrantibus universis pro viribus gerens ope in primis Sacerdotum, qui gratiae charismatum collazione ac divini verbi praedicatione christifidelium fidem caritatis vinculo sollicite confirmarent.
Quae proinde hac in re Ecclesia longe anteactis temporibus gesserit, placet breviter tantum attingere; fusius autem quae nostra tempora respiciunt disseremus.
Primum ideo recolimus quae S. Ambrosius egit et verba ab ipso prolata, quum praeclarus ille Mediolanensis Pastor, ut deductos captivitatem miseros, post imperatorem Valentem apud Hadrianopolim profligatum, redimere valeret, vasa sacra confregit, hac quivi dem ratione motus, ut egenos a damnis materialibus praecaveret eosque ab instantibus spiritualibus periculis, sane gravioribus, erip ret. «Quis autem est tam durus – sic Ambrosius – immitis, ferrea cui displiceat quod homo redimitur a morte, femina ab impuritatibus barbarorum, quae graviores morte sunt; adulescentulae vel pueruli, vel infantes ab idolorum contagiis, quibus mortis metu imquinabantur? Quam causam nos etsi non sine ratione aliqua gessimus, tamen ita in populo prosecuti sumus, ut confiteremur multoquef se commodius astrueremus, ut animas Domino quam aurem servaremus» [4] .
Enitet pariter nava Pastorum et sacerdotum alacritas, qui verae fidei beneficium hominumque commercium ac consuetudinem novarum regionum incolis comparare et irruentibus incultis populis, religioni christianae ac gentium humanitati uno tempore genitis, indigenarum consociationem afferre studuerunt.
Inclitos iuverit recolere religiosos Ordines pr...